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«Lei non viene mai qui fuori, sai» disse Ysabell, osservando il pesce. «L’ha fatto soltanto per farmi divertire.»

«Non ha funzionato?»

«Non è reale» disse lei. «Nulla è reale qui. Non realmente reale. A lei piace semplicemente agire come un essere umano. In questo momento si sta sforzando moltissimo, hai notato? Penso che tu stia avendo una certo influsso su di lei. Sapevi che una volta ha cercato di imparare a suonare il banjo?»

«Mi sembra più un tipo da organo.»

«Non è riuscita a venirne a capo» disse Ysabell, ignorandolo. «Lei non è in grado di creare, capisci?»

«Hai detto che ha creato questo stagno.»

«È la copia di uno che ha visto da qualche altra parte. Tutto qui, è una copia.»

Morty si assestò meglio, sentendosi a disagio. Un piccolo insetto gli stava camminando lungo una gamba.

«È molto triste» disse il ragazzo, sperando che fosse approssimativamente il tono giusto da adottare.

«Già.»

Lei raccolse una manciata di sassolini dal sentiero e cominciò a gettarli, soprappensiero, nello stagno.

«Le mie sopracciglia sono davvero tanto male?» chiese.

«Uhmm» rispose Morty «temo di sì.»

«Oh.» Pluf, pluf. La carpa la stava osservando carica di disprezzo.

«E le mie gambe?» chiese lui.

«Sì. Mi dispiace.»

Morty fece appello, con grande ansia, a tutto il suo limitato repertorio di banalità e poi cedette.

«Non importa» disse in modo galante. «Almeno tu puoi usare le pinzette.»

«Lei è molto gentile» disse Ysabell, ignorandolo «anche se lo fa distrattamente.»

«Non è esattamente la tua vera madre, no?»

«I miei genitori sono rimasti uccisi attraversando il Grande Nef anni fa. C’è stata una tempesta, penso. Lei mi ha trovato e mi ha portato qui. Non so perché lo abbia fatto.»

«Forse si sentiva in pena per te?»

«Lei non sente nulla. Non intendo dirlo in maniera negativa, mi capisci? È soltanto che non ha nulla con cui sentire, niente come-cavolo-si-chiamano, niente ghiandole. Probabilmente ha pensato di avere pena per me.»

Lei voltò il pallido volto rotondo verso Morty.

«Non voglio sentire una singola parola contro di lei. Cerca di fare del suo meglio. È soltanto che ha sempre talmente tante cose a cui pensare.»

«Mio padre era anche lui un po’ così. Voglio dire, è.»

«Ritengo però che abbia le ghiandole.»

«Penso proprio di sì» disse Morty sentendosi un po’ a disagio. «Non è precisamente una delle cose alle quali ho pensato molto, le ghiandole, voglio dire.»

Ognuno dei due guardò fisso il grosso pesce. La carpa li fissò di rimando.

«Ho appena sconvolto l’intera storia del futuro» disse Morty.

«Ah, sì?»

«Vedi, quando lui ha cercato di uccidere lei io ho ucciso lui, ma il fatto è che, secondo la storia, sarebbe dovuta morire lei e il duca sarebbe diventato re, ma la cosa peggiore, la cosa peggiore è che sebbene lui sia corrotto fino al midollo avrebbe unito le città, alla fine esse avrebbero costituito una federazione e i libri dicono che ci sarebbero stati cento anni di pace e di prosperità. Voglio dire, saresti portato a pensare che ci sarebbe stato un regno di terrore o roba del genere, ma, apparentemente, la storia a volte ha bisogno di questo tipo di persone e invece la principessa sarebbe soltanto un’altra monarca. Voglio dire, non cattiva, magari anche piuttosto buona, ma semplicemente non quella giusta e adesso tutto questo non succederà e la storia sta crollando a brandelli ed è tutta colpa mia.»

Il ragazzo si fermò, aspettando ansiosamente la replica di lei.

«Avevi ragione, sai?»

«Davvero?»

«Avremmo dovuto portare delle molliche di pane» disse. «Immagino che trovino anche delle cose da mangiare nell’acqua, scarafaggi e così via.»

«Hai ascoltato quello che ti ho detto?»

«A che proposito?»

«Oh. Niente. Niente di importante, davvero. Scusami.»

Ysabell sospirò e si alzò in piedi.

«Immagino che tu non veda l’ora di andartene» disse lei. «Sono contenta di avere chiarito questa storia del matrimonio. È stato alquanto piacevole parlare con te.»

«Potremmo instaurare una specie di rapporto odio-odio» disse Morty.

«Generalmente non riesco a parlare con la gente con cui lavora mia madre.» La ragazza sembrava incapace di allontanarsi, come se stesse aspettando che Morty aggiungesse qualcosa.

«Be’, non farlo» fu tutto quello che lui fu in grado di pensare.

«Ritengo che tu debba metterti al lavoro, adesso.»

«Più o meno.» Morty esitò, conscio del fatto che in qualche maniera indefinibile la discussione si fosse spostata dalla secca e stesse ora fluttuando su qualche strana profondità che non riusciva a comprendere fino in fondo.

Ci fu un rumore che…

A Morty fece venire in mente il vecchio giardino di casa sua, provocandogli un fremito di malinconia. Durante i rigidi inverni sulle montagne Ramtop la famiglia allevava nel cortile le resistenti bestie di montagna tharga, gettando loro della paglia quando necessario. Dopo il disgelo primaverile il cortile era aumentato di parecchi centimetri di spessore e aveva sopra una crosta piuttosto solida. Ci si poteva camminare sopra se si stava molto attenti. Se non lo si era, e si sprofondava fino al ginocchio nello sterco, allora il rumore che produceva lo stivale mentre ne veniva estratto, verdastro e fumante assomigliava parecchio al suono dell’anno che cambia, al cinguettio degli uccelli e al ronzare delle api.

Si trattava esattamente di quel rumore. Morty esaminò immediatamente le proprie scarpe.

Ysabell stava piangendo, non con piccoli singulti da damigella ma con enormi singhiozzi a bocca spalancata, come gorgoglii provenienti da un vulcano sottomarino che combattevano l’uno contro l’altro ognuno per essere il primo a risalire in superficie. Erano singhiozzi che esplodevano sotto pressione, maturati in una struggente infelicità.

Morty chiese: «Come?»

Il corpo di lei veniva scosso come il letto di un fiume in una zona terremotata. Lei armeggiò velocemente nelle maniche alla ricerca del fazzoletto, ma esso, date le circostanze, non avrebbe avuto una maggiore utilità rispetto ad un cappellino di carta durante un temporale. Lei cercò di dire qualche cosa, che venne fuori come uno scroscio di consonanti frammiste a singhiozzi.

Morty chiese ancora: «Ehm?»

«Volevo dire, quanti anni pensi che io abbia?»

«Quindici?» tirò ad indovinare lui.

«Ne ho sedici» piagnucolò lei., «E sai da quanto tempo ho sedici anni?»

«Mi dispiace, io non capis…»

«No, non potresti. Nessuno potrebbe.» Lei si soffiò ancora una volta il naso e, nonostante le mani tremanti, riinfilò accuratamente il fazzoletto alquanto bagnato su per una manica.

«A te è permesso di uscire» disse lei. «Tu non sei qui da un periodo sufficientemente lungo da essertene accorto. Il tempo, qui, è immobile, non lo hai notato? Oh, qualcosina passa, ma non si tratta di tempo reale. Lei non può creare il tempo reale.»

«Oh.»

Quando la ragazza riprese a parlare, lo fece con la tipica voce delicata, attenta e soprattutto audace di uno che si è ricomposto nonostante le travolgenti avversità ma che potrebbe lasciarsi nuovamente andare da un momento all’altro.

«Sono una sedicenne da trentacinque anni.»

«Eh?»

«È già stato abbastanza brutto il primo anno.»

Morty ripensò alle ultime poche settimane che aveva trascorso e annuì di solidarietà.

«È questo il motivo per cui hai letto tutti quei libri?» chiese lui. Ysabell abbassò lo sguardo e rigirò un piede nel ghiaietto con atteggiamento imbarazzato.