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«Eh? Ma io non sono solo, no? Ci sei anche tu.»

«È esattamente questo il punto, non ti pare?»

«Oh. Sì. Scusa. Ehm, ci vediamo domani mattina, allora.»

«Buona notte, Bentagliato. Chiuditi la porta alle spalle quando esci.»

Il sole si trascinò fino all’orizzonte, decise di fare una corsetta e cominciò a sorgere.

Sarebbe comunque occorso del tempo prima che la sua lenta luce si riversasse sul Disco addormentato, ammassando la notte come un gregge di fronte a sé, e quindi le ombre notturne regnavano ancora sulla città.

Esse di addensavano ora attorno al Tamburo Riparato in Via della Filigrana, la più importante delle taverne cittadine. Questa era famosa non tanto per la sua birra, che aveva l’aspetto di sciacquatura di piatti e il sapore di acido da batteria, quanto per la sua clientela. Si diceva che se rimanevi seduto a sufficienza al Tamburo, prima o poi qualche grandioso eroe del Disco ti avrebbe rubato il cavallo.

L’atmosfera all’interno era ancora rumorosa per le chiacchiere e pesante per il fumo sebbene l’oste stesse facendo tutte quelle cose che gli osti fanno generalmente quando ritengono che sia ora di chiudere i battenti come spegnere alcune delle luci, ricaricare l’orologio, appoggiare un panno sopra i rubinetti e, qualora potesse tornare utile, controllare lo stato di salute della propria mazza chiodata. Non che i clienti facessero il benché minimo caso alla cosa. La maggior parte dei frequentatori del Tamburo non avrebbe considerato perfino la mazza chiodata nulla di più di una allusione.

Essi erano tuttavia, sufficientemente accorti da essere vagamente preoccupati dalla figura alta e scura che si trovava davanti al bancone e stava bevendo sistematicamente tutto quello che il bar conteneva.

I bevitori solitari e accaniti generano sempre un campo mentale che assicura loro una completa privacy, ma questo, in particolare, stava irradiando una specie di malinconia fatalistica che stava lentamente facendo svuotare il bar.

Questa cosa non destava alcuna preoccupazione al barista, in quanto la figura solitaria si era imbarcata in un esperimento estremamente costoso.

Ogni posto in cui si beve, in tutto il multiverso, possiede cose del genere… quelle intere mensole di bottiglie appiccicose dalla forma strana che non contengono solamente liquidi dai nomi esotici, che sono generalmente blu o verdi, ma anche una grossa sequenza di stranezze che le bottiglie di bevande vere e proprie non si abbasserebbero mai a contenere, come ad esempio frutti interi, pezzetti di ramoscelli e, in casi estremi, anche piccole lucertole affogate. Nessuno sa perché i baristi ne raccolgano così tante, visto che esse hanno tutte lo stesso sapore di melassa sciolta nella trementina. È stato ipotizzato che essi sognino del giorno in cui qualcuno entrerà arrivando dalla strada e, in maniera del tutto spontanea, chiederà un bicchierino di Pesca di Cornovaglia con Una Idea Di Menta e, nel giro di una notte, quel posto diventerà un luogo Da Andare A Visitare.

Lo straniero stava procedendo lungo una fila di bottiglie.

«CHE COS’È QUELLA VERDE?»

L’oste gettò un’occhiata all’etichetta.

«C’è scritto che è Brandy di Melone» rispose dubbioso. «C’è anche scritto che è stato imbottigliato secondo un’antica ricetta di qualche monaco» aggiunse.

«L’ASSAGGERÒ.»

L’uomo guardò in tralice i bicchieri vuoti che giacevano sul bancone, alcuni di essi contenevano ancora qualche pezzetto di macedonia, ciliege sullo stecchino e ombrellini di carta.

«Sei sicuro di non avere già bevuto abbastanza?» chiese. La cosa che gli dava un po’ fastidio era di non riuscire a vedere la faccia dello straniero.

Il bicchiere, con la bevanda che si era cristallizzata fuori dai bordi, scompariva all’interno del cappuccio e tornava fuori vuoto.

«NO. CHE COS’È QUELLO GIALLO CON LE VESPE DENTRO?»

«C’è scritto Cordiale di Primavera. Va bene?»

«SÌ. E POI ANCHE QUELLO BLU CON LE MACCHIOLINE DORATE.»

«Ehm. Vecchio Soprabito?»

«SÌ. E POI LA SECONDA FILA.»

«Quale precisamente?»

«TUTTI QUANTI.»

Lo straniero era ancora decisamente in posizione verticale, mentre i bicchieri con il loro carico di sciroppo e vegetazione assortita scomparivano all’interno del cappuccio come se si trattasse di una catena di montaggio.

"Questo sì" pensò l’oste "questo sì che è stile, questa è la volta buona che riesco a comprarmi una giacca rossa e magari riesco anche a mettere le noccioline in qualche ciotolina sul bancone, sistemo un po’ di specchi in giro e sostituisco la segatura." Prese in mano uno straccio intriso di birra e diede al legno qualche passata entusiastica, amalgamando le gocce dei bicchierini in una macchia color arcobaleno che staccò la vernice. L’ultimo dei clienti abituali si infilò il cappello e barcollò fuori, bofonchiando fra sé e sé.

«NON RIESCO A CAPIRE A CHE SERVA» disse lo straniero.

«Prego?»

«CHE COSA DOVREBBE SUCCEDERE?»

«Quanti bicchieri hai già bevuto?»

«QUARANTASETTE.»

«Allora più o meno tutto» disse il barista e, visto che conosceva il suo mestiere e sapeva che cosa si aspettavano da lui le persone quando bevevano da sole alle ore piccole, cominciò a lucidare un bicchiere con uno straccio e disse: «La tua signora ti ha sbattuto fuori, eh?»

«PREGO?»

«Stai annegando le tue preoccupazioni, no?»

«NON HO PREOCCUPAZIONI.»

«No, certamente no. Scusami se ne ho parlato.» Diede al bicchiere un altro paio di strofinatine. «Pensavo soltanto che ti potesse aiutare avere qualcuno con cui parlare» disse.

Lo straniero rimase in silenzio per qualche istante, riflettendo. Quindi domandò: «TU VUOI PARLARE CON ME?»

«Sì. Certo. Sono un buon ascoltatore.»

«NESSUNO AVEVA VOLUTO PARLARE CON ME PRIMA.»

«È una vergogna.»

«NON MI INVITANO MAI ALLE FESTE, SAI?»

«Tze.»

«TUTTI MI ODIANO. OGNUNO MI ODIA. NON HO UN SOLO AMICO.»

«Ognuno dovrebbe avere un amico» sentenziò saggiamente il barista.

«IO PENSO…»

«Sì?»

«IO PENSO… CHE POTREI DIVENTARE AMICO DELLA BOTTIGLIA VERDE.»

L’oste fece scivolare la bottiglia ottagonale lungo il bancone. La Morte la prese e la inclinò sopra al bicchiere. Il liquido andò a cadere sull’orlo.

«TU… IO… PENSI… UBRIACO, VERO?»

«Io servo chiunque possa stare in posizione eretta» rispose l’oste.

«HAI ASSSCCCIIOLUUTAMMENTEE RAAAGIOOONE. MA IO…»

Lo straniero si interruppe agitando un dito in aria con fare declamatorio.

«COSA… DICEVO… STAVO… IO?»

«Hai detto che io pensavo che tu fossi ubriaco.»

«AH. SCI’, PERÒ IO POSSCIO TORNARE SCIOBRIO IN OGNI MOMENTO VOGLIO. QUESCTO È UN ESPERIMENTO. E ADESSCIO IO MI PIACEREBBE FARE UN ESCPERIMENTO NUOVO CON LA BOTTIGLIA ARANCIONE.»

L’oste sospirò e gettò un’occhiata all’orologio. Non c’era dubbio che stesse guadagnando un sacco di soldi, in particolar modo visto che lo straniero non sembrava incline a preoccuparsi dei prezzi gonfiati o del resto mancante. Ma si stava facendo tardi: a dire il vero era tanto tardi da essere già presto. C’era poi anche qualcosa nel cliente solitario che lo sconvolgeva. La clientela del Tamburo Riparato beveva spesso come se non esistesse il domani, ma questa era la prima volta in cui l’uomo aveva la sensazione che essa potesse avere ragione.

«VOGLIO DIRE, CHE COSA HO DA SPERARE IO PER IL FUTURO? DOV’È IL SENSO DI TUTTO QUESTO? E POI DI CHE SI TRATTA, IN REALTÀ?»

«Non te lo so dire, amico mio. Ritengo che ti sentirai meglio dopo una bella dormita.»

«DORMITA? DORMITA? IO NON DORMO MAI. IO SONO PROPRIO PROVERBIALE PER QUESTO.»