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«Penso proprio di no» disse. «Potrebbe essere una cosetta davvero rapida.»

Lui vide che la ragazza lo fissava tramite lo specchio.

«Quanto rapida?»

«Ehm. Molto.»

«Stai forse cercando di dire che potrebbe raggiungerci nel momento stesso della cerimonia?»

«Ehm. È più probabile che arrivi anche prima.» disse Bentagliato miserevolmente.

Non si udì alcun altro suono oltre quello del tamburellare delle dita di Keli sul bordo della tavola. Bentagliato si chiese se lei stesse forse per crollare oppure per distruggere lo specchio. Invece domandò: «Come fai a saperlo?»

Lui si chiese se se la sarebbe potuta cavare dicendo qualcosa del tipo: "Sono un mago, noi sappiamo queste cose", ma decise di non farlo. L’ultima volta che aveva pronunciato quella frase lei lo aveva minacciato con un’ascia.

«Ho chiesto ad una delle guardie informazioni sulla taverna di cui aveva parlato Morty» disse. «Poi sono riuscito a calcolare la distanza approssimativa che la cupola doveva percorrere. Morty ha detto che si muoveva ad un lento passo di marcia e io ho stimato che il suo passo è all’incirca di…»

«Così facile? Non hai usato la magia?»

«Soltanto il buon senso. È molto più affidabile, alla lunga.»

La principessa allungò una mano e diede un buffetto su quella di lui.

«Povero vecchio Bentagliato» disse.

«Ho soltanto vent’anni, mia signora.»

La principessa si alzò in piedi e si diresse nello spogliatoio. Una delle cose che si imparano quando si è principesse è di essere sempre più vecchie di chiunque sia di rango inferiore.

«Sì, suppongo debba esistere qualcosa come maghi giovani» disse da sopra le spalle. «È soltanto che la gente pensa sempre che essi siano vecchi. Mi chiedo perché sia così.»

«I rigori della professione, mia signora» rispose Bentagliato, roteando gli occhi. Poteva avvertire il fruscio della seta.

«Che cosa ti ha fatto decidere di diventare mago?» La voce di lei era attutita, come se avesse qualche cosa sopra la testa.

«È un lavoro che si fa stando in casa e che non prevede gravi sollevamenti» disse Bentagliato. «E poi immagino anche di aver desiderato conoscere come funziona il mondo.»

«Ci sei riuscito, allora?»

«No.» Bentagliato non era molto abile nelle conversazioni di società, altrimenti non avrebbe mai permesso alla propria mente di distrarsi a sufficienza da chiedere: «E che cosa ha fatto decidere te a diventare principessa?»

Dopo una pausa di riflessivo silenzio lei rispose: «È stato deciso per me, sai?»

«Mi spiace, io…»

«Essere reali è una specie di tradizione di famiglia. Ritengo che avvenga la stessa cosa per la magia: senza dubbio anche tuo padre era un mago.»

Bentagliato digrignò i denti. «Ehm. No» disse. «Non esattamente. A dire il vero assolutamente no.»

Lui sapeva perfettamente che cosa lei avrebbe detto dopo ed ecco che la frase arrivò, puntuale come il tramonto, in una voce tinta dal divertimento e dal fascino.

«Oh! È proprio vero che ai maghi non è permesso di…»

«Be’, se è tutto io dovrei davvero andare» disse Bentagliato a voce alta. «Se qualcuno dovesse desiderarmi, basta che segua le esplosioni. Io… gnnnnhhh!»

Keli era uscita dallo spogliatoio.

Ora, i vestiti femminili non interessavano particolarmente Bentagliato… a dire il vero, di solito, quando pensava alle donne, le sue raffigurazioni mentali raramente includevano la presenza di vestiti… tuttavia la vista che aveva davanti riuscì veramente a mozzargli il fiato. Chiunque avesse ideato quell’abito non aveva saputo quando fermarsi. Avevano messo dei pizzi sopra la seta e li avevano bordati con vermino nero e avevano applicato perle in ogni punto che sembrasse vuoto, avevano anche arricciato e inamidato le maniche e poi vi avevano aggiunto filigrana argentata e avevano ricominciato da capo con la seta.

Era davvero stupefacente che cosa potesse venire realizzato con qualche chilo di metallo pesante, qualche irritazione di mollusco, un po’ di roditori morti e una immensa quantità di filo che veniva fuori dal sedere degli insetti. L’abito non era tanto indossato quanto occupato: se le balze che sporgevano verso l’esterno non erano sorrette da qualche rotella, allora Keli doveva essere ben più forte di quanto lui non avesse immaginato.

«Che ne pensi?» somandò lei girandosi lentamente. «È stato indossato da mia madre, da mia nonna e da sua madre.»

«Come, tutte insieme?» disse Bentagliato, abbastanza pronto a crederlo. "Come è potuta entrare lì dentro?" si stava intanto domandando. "Deve esserci una porticina sul dietro…"

«Fa parte della eredità di famiglia. Sul corpetto ci sono diamanti veri.»

«Quale è il corpetto?»

«Questo pezzo qui.»

Bentagliato rabbrividì. «È molto imponente» disse quando poté darsi il permesso di parlare. «Non pensi, tuttavia, che sia un po’ troppo maturo

«È regale.»

«Già, ma forse non ti permetterà di muoverti molto velocemente.»

«Non ho alcuna intenzione di correre. Deve esserci dignità.» Ancora una volta la determinazione delle sue mascelle tracciò la linea di discendenza fino ad arrivare al suo vecchio antenato conquistatore, che aveva preferito muoversi sempre molto velocemente e che conosceva tanto della dignità, quanto poteva essere portato sulla punta di una affilata spada.

Bentagliato allargò le braccia.

«D’accordo» disse. «Va bene. Faremo tutto il possibile. Spero soltanto che Morty venga con qualche buona idea.»

«È difficile riporre della fiducia in un fantasma» disse Keli. «Cammina attraverso le pareti!»

«Ci ho pensato anche io» confermò Bentagliato. «È un mistero, no? Cammina attraverso le cose soltanto quando non sa di stare facendolo. Penso che sia un difetto di fabbricazione.»

«Cosa?»

«Ne ero quasi certo, la notte scorsa. Lui sta diventando reale.»

«Ma siamo tutti reali! Almeno tu lo sei e suppongo di esserlo anche io.»

«Ma lui sta diventando più reale. Estremamente reale. Quasi reale quanto la Morte e non si diventa più reali. Assolutamente non molto più reali di così.»

«Ne sei certa?» chiese Albert, con espressione sospettosa.

«Certamente» disse Ysabell. «Calcolali da solo se preferisci. Albert guardò nuovamente il grosso libro, il suo volto era il ritratto stesso della perplessità.»

«Be’, potrebbero anche essere giusti» ammise con scarsa grazia e copiò i due nomi su un pezzo di carta. «Comunque c’è un modo per scoprirlo.»

Aprì il cassetto superiore della scrivania della Morte e tirò fuori un grosso anello portachiavi di ferro. C’era un’unica chiave.

«ADESSO CHE SUCCEDE?» disse Morty.

«Dobbiamo andare a prendere le clessidre» rispose Albert. «Devi venire con me.»

«Morty!» sibilò Ysabell.

«Che c’è?»

«Quello che hai appena detto…» Lei piombò in silenzio e poi aggiunse: «Oh, niente. Soltanto che suonava strano…»

«Ho soltanto chiesto che cosa deve succedere adesso» disse Morty.

«Sì, ma… oh, non preoccuparti.»

Albert passò oltre di loro e scivolò lungo il corridoio come un ragno a due gambe finché non raggiunse la porta che veniva sempre tenuta chiusa a chiave. La chiave calzava perfettamente. La porta si aprì. Non si sentì nemmeno il minimo cigolio dai cardini, soltanto un soffio di silenzio più intenso.