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E il fragore della sabbia.

Morty e Ysabell rimasero in piedi sull’arco della porta, ammutoliti, mentre Albert avanzava attraverso i corridoi pieni di clessidre. Il suono non entrava nel corpo soltanto attraverso le orecchie, vi arrivava anche passando per le gambe fino ad arrivare al cranio e riempiva il cervello finché quello non riusciva a pensare ad altro oltre che al frusciante, sibilante e cupo rumore, il suono di milioni di vite che si stavano vivendo. E stavano correndo verso la loro inevitabile destinazione.

Sollevarono lo sguardo sulle infinite scansie di clessidre, ognuna differente, ognuna con un nome. La luce che proveniva dalle torce si diffondeva dalle pareti cogliendone la parte illuminata così che su ogni pezzo di vetro brillava una stella. Le pareti più lontane della stanza si perdevano in una galassia di luce.

Morty sentì le dita di Ysabell stringerglisi su un braccio. Quando la ragazza parlò aveva una voce sforzata.

«Morty alcune di esse sono così piccole.»

«LO SO.»

La presa di lei si allentò, molto delicatamente, come quando uno appoggia l’asso finale su un castello di carte e ritira la mano con grande attenzione in modo da non distruggere l’intero edificio.

«Ripetilo un po’?» disse con voce pacata.

«Ho detto che lo so. Io non ci posso fare nulla. Non eri mai stata qui dentro, prima?»

«No.» Lei era indietreggiata leggermente e stava fissando gli occhi di lui.

«Non è un posto peggiore della biblioteca» disse Morty e, in fondo, ci credeva. Tuttavia nella biblioteca potevi leggere, qui invece vedevi accadere le cose.

«Perché mi stai fissando in quel modo?» aggiunse.

«Stavo soltanto cercando di ricordare di che colore hai gli occhi» rispose lei «perché…»

«Se voi due avete finito!» latrò Albert al di sopra del fragore della sabbia. «Da questa parte!»

«Marroni» disse Morty a Ysabell. «Sono marroni, perché?»

«Sbrigatevi!»

«Farai meglio ad andare ad aiutarlo» disse Ysabell. «Sembra che si stia agitando molto.»

Morty la lasciò, la sua mente era improvvisamente diventata una palude di disagio, e camminò impettito sul pavimento piastrellato fino al punto in cui Albert stava battendo un piede a terra tradendo una certa impazienza.

«Che devo fare?» chiese.

«Seguimi e basta.»

La stanza si aprì in una serie di passaggi, ognuno carico di file di clessidre. Qui e lì le scansie erano inframmezzate da pilastri di pietra su cui erano incisi segni angolari. Albert gettò ad essi qualche occhiata occasionale: principalmente, però, avanzò lungo il labirinto di sabbia come se ne conoscesse a memoria ogni svolta.

«C’è una clessidra per ognuno, Albert?»

«Sì.»

«Questo posto non sembra sufficientemente grande.»

«Non sai nulla di topografia m-dimensionale?»

«Ehm. No.»

«Allora io eviterei di esternare opinioni, se fossi in te» disse Albert.

Si fermò di fronte ad una scansia carica di clessidre, gettò un’occhiata al pezzo di carta, fece scorrere la mano lungo la fila e, repentinamente, ne afferrò una.

Il bulbo superiore era quasi vuoto.

«Tieni questa» disse. «Se questa è giusta allora l’altra dovrebbe essere qui nelle vicinanze. Ah, Eccola qui.»

Morty si rigirò le due clessidre fra le mani. Una aveva tutti i segni caratteristici di una vita importante, mentre l’altra era tozza e alquanto insignificante.

Morty lesse i nomi. Il primo sembrava appartenere ad un nobile delle regioni dell’Impero Agateo. Il secondo era una collezione di pittogrammi che egli ritenne fossero originari del Klatch.

«A te» sogghignò Albert. «Prima cominci, prima avrai finito. Ti porterò Binky davanti al portone d’ingresso.»

«I miei occhi ti sembrano a posto?» chiese Morty con atteggiamento ansioso.

«Non riesco a vederci niente di strano» rispose Albert. «Un po’ arrossati esternamente, un po’ più azzurri del solito, niente di speciale.»

Morty lo seguì nel percorso a ritroso oltre le lunghe scaffalature di clessidre, con aspetto pensieroso. Ysabell lo guardò prendere la spada dalla rastrelliera accanto alla porta e saggiarne il filo agitandola nell’aria, proprio come faceva la Morte, sogghignando in modo cupo al soddisfacente suono del rombo di tuono.

Lei riconobbe perfino la camminata. Lui stava incedendo impettito.

«Morty?» sussurrò lei.

«SÌ?»

«Ti sta accadendo qualcosa.»

«LO SO» disse Morty. «Però penso di riuscire a controllarlo.»

Udirono il rumore di zoccoli all’esterno e Albert aprì la porta entrando e sfregandosi le mani.

«Benissimo, ragazzo, non c’è tempo per…»

Morty estrasse la spada stendendo completamente il braccio. Essa fendette l’aria producendo un rumore simile alla seta che si strappa e si infilzò nello stipite vicino all’orecchio di Albert.

«IN GINOCCHIO, ALBERT MALICH.»

Albert rimase a bocca spalancata. Gli occhi gli rotearono di fianco verso la lama luccicante che si trovava a pochi centimetri dalla sua testa e poi si restrinsero in due fessure sottili.

«Non oserai certamente, ragazzo» disse.

«MORTY.» Le sillabe schioccarono fuori veloci quanto una sferzata di frusta e doppiamente rabbiose.

«C’era un patto» disse Albert, ma nella sua voce filtrava la tipica cantilena del dubbio. «Esisteva un accordo.»

«Non con me.»

«C’era un accordo! Dove andremmo a finire se non potessimo rispettare un accordo?»

«Non so dove andrei a finire io» disse con voce profonda Morty. «PERÒ SO DOVE ANDRESTI A FINIRE TU.»

«Non è giusto!» Ora si trattava soltanto di un lamento.

«NON C’È GIUSTIZIA. CI SONO SOLTANTO IO.»

«Smettila» disse Ysabell. «Morty, ti stai comportando da sciocco. Tu non puoi uccidere nessuno, qui. E poi, non vorrai davvero uccidere Albert.»

«Non qui. Però potrei rispedirlo indietro nel mondo.»

Albert sbiancò.

«Non lo faresti!»

«Ah, no? Posso portarti indietro e lasciarti lì. Non penso che ti sia rimasto molto tempo, non è così? NON È COSÌ?»

«Non parlare in quel modo» disse Albert, non riuscendo comunque a sostenere il suo sguardo. «Sembri la Padrona quando parli in quel modo.»

«Potrei essere ben peggiore della Padrona» disse Morty con tranquillità. «Ysabell, puoi andare a prendere il libro di Albert, per favore?»

«Morty, penso davvero che tu sia…»

«DEVO CHIEDERLO UN’ALTRA VOLTA?»

Lei corse via dalla stanza, pallida in volto.

Albert gettò un’occhiata in tralice a Morty per tutta la lunghezza della spada e fece un sorrisetto storto, un sorriso che non aveva nulla a che fare con l’umorismo.

«Non sarai in grado di controllarlo per sempre» disse.

«Non mi interessa nemmeno. Voglio soltanto controllarlo per un periodo di tempo sufficiente.»

«Adesso sei ricettivo, vedi? Quanto più la Padrona resta lontana, tanto più tu diventi come lei. L’unica cosa è che per te sarà peggiore, perché ricorderai tutto del fatto che sei umano e…»

«E tu, allora?» disse seccamente Morty. «Che riesci a ricordare, tu, del fatto di essere umano? Se tornassi indietro, quanta vita ti resterebbe da vivere?»

«Novantun giorni, tre ore e cinque minuti» rispose immediatamente Albert. «Sapevo di averla alle calcagna, capisci? Qui, però, sono al sicuro e lei non è una cattiva padrona. A volte non so che cosa farebbe senza di me.»

«Già, nessuno muore nel regno della Morte. E a te piace questa cosa?» domandò Morty.

«Io ho più di duemila anni, io. Ho vissuto più a lungo di chiunque altro al mondo.»

Morty scosse la testa.

«Non lo hai fatto e lo sai bene» disse. «Hai soltanto allungato un po’ le cose. Nessuno può effettivamente sostenere di vivere, qui. Il tempo, in questo posto, è soltanto una finzione. Non è reale. Nulla cambia. Preferirei morire e vedere che cosa succede dopo piuttosto che passare qui l’eternità.»