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Ysabell si trovava in piedi pazientemente accanto a Binky, che stava facendo un tardo spuntino con un albero bonsai di cinquecento anni.

«Meno uno» disse Morty montando in sella. «Forza. Ho una brutta sensazione riguardo al prossimo e non abbiamo molto tempo.»

Albert si materializzò al centro della Università Invisibile, nello stesso punto, per essere più precisi, dal quale aveva lasciato il mondo un paio di migliaia di anni prima.

Grugnì di soddisfazione e si spazzolò via qualche chiazza di polvere dalla tunica.

Si rese conto di essere osservato: sollevò lo sguardo e scoprì di essere in un lampo ricomparso all’esistenza sotto l’austero sguardo di marmo di se stesso.

Si aggiustò gli occhiali e scrutò con disapprovazione la targa di bronzo avvitata al suo piedistallo. C’era scritto:

"Alberto Malich, Fondatore di Questa Università. AM 1222-1289. ’Non Lo Vedremo Mai Più’ ".

"Bella predizione" pensò fra sé. Se lo stimavano tanto avrebbero almeno potuto assoldare uno scultore decente. La statua era disgustosa. Il naso era completamente sbagliato. Chiamare quella poi una gamba? Come se non bastasse, la gente vi aveva inciso sopra i propri nomi. Inoltre non si sarebbe mai presentato nemmeno morto con un cappello come quello. Ovviamente, se avesse potuto farci qualcosa, non sarebbe morto affatto.

Albert puntò una saetta di ottarino contro l’orribile cosa e sghignazzò diabolicamente quando quella esplose, polverizzandosi.

«Benissimo» disse al Disco intero «sono tornato.»

Il solletico dell’incantesimo gli percorse tutto il braccio e gli esplose come un bagliore nella mente. Quanto gli erano mancate queste cose in tutti quegli anni…

I maghi arrivarono di corsa, al rumore dell’esplosione, attraverso il grande portone a due ante e giunsero alla conclusione sbagliata partendo da basi erronee.

Lì c’era il piedistallo, vuoto. C’era anche una nuvola di polvere di marmo che ricopriva ogni cosa. E, proveniente da essa, bofonchiando fra sé, c’era Albert.

I maghi che si trovavano in fondo alla folla, cominciarono ad allontanarsi il più velocemente e silenziosamente possibile. Non c’era uno solo di essi che non avesse, in qualche periodo della propria giocosa gioventù, sistemato un comune oggetto da letto sulla testa del vecchio Albert o che non avese inciso il proprio nome sulle fredde caratteristiche anatomiche della statua oppure ancora che non avesse versato birra sul piedistallo. E anche qualcosa di peggio, a dire il vero, durante la Settimana Stracciata quando le bevande scorrevano velocemente e i gabinetti sembravano troppo lontani da raggiungere barcollando. Erano sembrate tutte idee estrememente spiritose a quel tempo. Adesso, improvvisamente, non lo sembravano più.

Soltanto due figure rimasero a fronteggiare l’ira della statua, una perché gli era rimasta impigliata la tunica sotto la porta e l’altra perché era, in effetti, uno scimmione e si poteva permettere, di conseguenza, di assumere un atteggiamento rilassato nei confronti delle questioni umane.

Albert afferrò il mago che cercava disperatamente di passare attraverso una parete. L’uomo si mise a piagnucolare.

«D’accordo, d’accordo, lo ammetto! Quella volta ero ubriaco, mi creda, non volevo farlo, oddio, mi dispiace, mi dispiace tanto…»

«Che stai blaterando, amico?» domandò Albert realmente sconcertato.

«…e allora mi scusi, se ho cercato di dirle quanto sono spiacente, noi abbiamo…»

«Piantala con queste scemenze!» Albert gettò uno sguardo alla scimmia, che gli rivolse un caldo sorriso amichevole. «Come ti chiami, amico?»

«Sì, signore, la smetterò, signore, immediatamente, niente più scemenze, signore… Scuotivento, signore. Assistente bibliotecario, se a lei va bene.»

Albert lo squadrò da cima a fondo. L’uomo aveva un aspetto disperatamente trasandato, come qualcosa lasciato fuori dalla porta per essere lavato. Decise che se questa era ciò che era diventata la magia, allora qualcuno avrebbe dovuto farci qualcosa.

«Quale specie di bibliotecario terrebbe te come assistente?» gli chiese con aria irritata.

«Oook.»

Qualcosa di simile ad un morbido e caldo guanto di pelle cercò di afferrargli la mano.

«Una scimmia! Nella mia Università!»

«Orangutan, signore. Era un mago ma è stato intrappolato da qualche incantesimo, signore, adesso non vuole che noi lo trasformiamo di nuovo ed è l’unico che sappia dove si trovano i libri» disse in tutta fretta Scuotivento. «Io gli procuro le banane» aggiunse, sentendo che fosse necessaria una ulteriore spiegazione.

Albert lo fissò con sguardo truce. «Chiudi il becco.»

«Chiuderò il becco all’istante, signore.»

«E dimmi dove si trova la Morte.»

«La Morte, signore?» disse Scuotivento indietreggiando verso la parete.

«Alta, scheletrica, occhi azzurri, cammina impettita PARLA IN QUESTO MODO… la Morte. Non l’hai vista, ultimamente?»

Scuotivento deglutì. «Ultimamente no, signore.»

«Bene, devo trovarla. Tutte queste follìe devono cessare. Le fermerò immediatamente, capito? Voglio che gli otto maghi più anziani si riuniscano qui, subito, nel giro di mezz’ora con tutta l’attrezzatura necessaria per eseguire il Rito di AshkEnte, è chiaro? Non che il tuo aspetto mi ispiri alcuna fiducia. Siete una accolita di saccheggiatori di dispense tutti quanti, e tu smettila di tenermi la mano!»

«Oook.»

«Adesso me ne andrò al pub» disse seccamente Albert. «C’è un posto qua attorno in cui vendano una piscia di gatti decente, in questo periodo?»

«C’è il Tamburo, signore» disse Scuotivento.

«Il Tamburo Rotto? In Via della Filigrana? Esiste ancora?»

«Be’ a volte gli cambiano nome e lo ricostruiscono da capo ma il posto è… ehm… nello stesso posto da anni. Ritengo che lei sia piuttosto a secco, eh, signore?» disse Scuotivento, con un’aria sinistramente cameratesca.

«E tu che ne sai?» disse Albert con voce tagliente.

«Assolutamente nulla, signore» rispose prontamente Scuotivento.

«Allora andrò al Tamburo. Mezz’ora, bada. E se non mi staranno aspettando tutti quando tornerò, allora… be’, faranno meglio ad esserci!»

Uscì in un turbine dalla sala sollevando una nuvola di polvere di marmo.

Scuotivento lo guardò allontanarsi. Il bibliotecario lo teneva per mano.

«Sai che cos’è la cosa peggiore?» disse Scuotivento.

«Oook?»

«Io non riesco nemmeno a ricordare di aver camminato sotto ad uno specchio.»

Più o meno nel momento in cui Albert si trovava al Tamburo Riparato a discutere con l’oste su un sottobicchiere ingiallito che era stato tramandato con cura di padre in figlio attraverso un regicidio, tre guerre civili, sessantuno incendi devastanti, quattrocentonovanta rapine e più di quindicimila risse da osteria a ricordo del fatto che Alberto Malich doveva ancora alla gestione tre pezzi di rame più gli interessi che attualmente si aggiravano alla quantità di denaro costudita nelle camere blindate più grandi del Disco, cosa che dimostrava ancora una volta che un commerciante Ankhiano con un conto a credito non pagato ha il tipo di memoria che farebbe impallidire perfino un elefante… più o meno in quello stesso momento Binky stava lasciando una scia di vapore nei cieli che sovrastavano il grande e misterioso continente di Klatch.

Ben al di sotto, i tamburi rullavano nelle giungle ombreggiate e profumate e colonne a spirale di foschia salivano da fiumi nascosti in cui bestie prive di nome si acquattavano sotto la superficie e aspettavano che la cena passasse loro davanti.

«Non ce ne sono più al formaggio, ti dovrai accontentare del prosciutto» disse Ysabell. «Che cosa sono quelle luci laggiù?»