Alla fine trovò quello che stava cercando. Era l’arco di una porta bordato di luce color ottarino che conduceva ad un breve tunnel. C’erano delle figure all’altro capo di esso, che gli facevano dei cenni.
«ARRIVO» disse, e poi si voltò, udendo un improvviso rumore dietro di sé. Settanta chili di giovane carne femminile lo colpirono dritto al petto e lo sollevarono dal terreno.
Morty atterrò con Ysabell inginocchiata sopra di lui che lo teneva fermamente per le braccia.
«LASCIAMI ANDARE» esclamò lui. «SONO STATO CONVOCATO.»
«Non tu, idiota!»
Lei fissò all’interno delle pozze azzurre e prive di pupille degli occhi di lui. Era come guardare dentro un tunnel passandovi di corsa. Morty si inarcò e gridò una imprecazione tanto antica e violenta che, nel forte campo magico, essa prese una forma reale, sbatté le ali di pelle e se la svignò. Un temporale privato si riversò sulle dune di sabbia.
Gli occhi di lui attirarono di nuovo quelli di lei. Ysabell distolse lo sguardo subito prima di cadere come un sasso lungo un pozzo di luce blu.
«TE LO ORDINO.» La voce di Morty avrebbe potuto scavare dei buchi nella pietra.
«La mamma ha provato ad usare quel tono con me per anni» disse lei tranquillamente. «Generalmente quando voleva che pulissi la mia camera da letto. Non ha funzionato nemmeno allora.»
Morty gridò un’altra bestemmia, che si materializzò nell’aria e cercò di andarsi a seppellire nella sabbia.
«IL DOLORE…»
«È tutto nella tua testa» disse lei, facendosi forte contro la potenza che voleva trascinarli verso quella scintillante porta. «Tu non sei la Morte. Sei soltanto Morty. Sei tutto quello che pensi di essere.»
Nel centro della azzurra foschia dei suoi occhi erano comparsi adesso due minuscoli puntolini marroni, che venivano a galla a vista.
La tempesta attorno a loro si sollevò e scomparve. Morty strillò.
Il Rito di Ashk-Ente, molto semplicemente, convoca e trattiene la Morte. Gli studenti dell’occulto sapranno benissimo che esso può venire eseguito tramite un banale incantesimo, tre pezzetti di legno e quattro centilitri di sangue di topo, ma nessun mago che vale il proprio cappello aguzzo si sognerebbe mai di fare qualcosa di così poco impressionante: tutti sapevano nel profondo del cuore che se un incantesimo non prevedeva imponenti candele gialle, enormi quantità di incenso raro, cerchi tracciati a terra con otto differenti gessetti colorati e qualche calderone sistemato attorno al posto, non valeva semplicemente la pena di prenderlo nemmeno in considerazione.
Gli otto maghi che si trovavano ai posti assegnati sulle punte del grande ottogramma cerimoniale, ondeggiavano e intonavano inni, con le braccia allungate di fianco in modo da riuscire a toccare appena con le punta delle dita i maghi che avevano ai lati.
Tuttavia qualcosa stava andando storto. Sì, era vero che si era formata una specie di foschia proprio al centro dell’ottogramma vivente, ma si stava contorcendo e ritornando in se stessa, rifiutandosi di mettersi a fuoco.
«Più potere!» gridò Albert. «Date più forza!»
Nel fumo apparve, per un momento, una figura, vestita di nero e con una spada luccicante in mano. Albert lanciò una bestemmia quando captò un’occhiata del pallido volto sotto al cappuccio: non era sufficientemente pallido.
«No!» strillò Albert, infilandosi nell’ottogramma e allontanando la sagoma traballante ed indistinta con le mani. «Non tu, non tu…»
E, nel distante Tsort, Ysabell dimenticò di essere una signora, serrò stretto un pugno, strizzò gli occhi e beccò Morty direttamente alla mascella. Il mondo attorno a lei esplose…
Nella cucina della Casa delle Costolette di Harga la padella per friggere si schiantò al suolo, facendo scappar via tutti i gatti dalla porta…
Nella grande sala della Università Invisibile tutto successe un solo istante.[9]
La tremenda forza che i maghi stavano esercitando sul reame delle ombre improvvisamente ebbe un centro. Come un tappo di bottiglia riluttante, come una mestolata di fiero ketchup dalla bottiglia di salsa ribaltata dell’Infinito, la Morte atterrò nell’ottogramma e bestemmiò.
Albert si rese conto troppo tardi di trovarsi all’interno del cerchio magico e cercò di tuffarsi verso il bordo. Dita scheletriche, però, lo afferrarono per l’orlo della tunica.
I maghi, alcuni dei quali stavano ancora in piedi ed erano in stato di coscienza, restarono alquanto sorpresi dal notare che la Morte stava indossando un grambiule e tenendo in mano un gattino.
«Perché mai hai ROVINATO TUTTO?»
«Rovinato tutto? Ha visto che cosa ha fatto il ragazzo?» disse bruscamente Albert, mentre continuava a tentare di raggiungere il bordo del cerchio.
La Morte sollevò il cranio e annusò l’aria.
Quel suono eliminò tutti gli altri rumori della grande sala e li obbligò al silenzio.
Era il tipo di rumore che viene sentito ai crepuscolari limiti del sogno di quel particolare genere da cui ci si sveglia sudando freddo in preda ad un mortale terrore. Era l’annusare sotto la porta della paura. Era come l’annusare di un porcospino, ma, in questo caso, di un porcospino che è in grado di distruggere palizzate e appiattire autocarri. Era il genere di rumore che non si sarebbe voluto sentire due volte: non lo si sarebbe voluto sentire nemmeno una.
La Morte si raddrizzò lentamente.
«È QUESTO IL MODO IN CUI RIPAGA LA MIA GENTILEZZA? RAPENDO MIA FIGLIA, INSULTANDO I MIEI SERVITORI E RISCHIANDO LA TRAMA STESSA DELLA REALTÀ PER UN CAPRICCIO PERSONALE? OH, PAZZA, PAZZA, SONO STATA, PAZZA TROPPO A LUNGO!»
«Padrona, se volesse essere soltanto così gentile da lasciarmi la tunica…» cominciò a dire Albert e il mago notò una sfumatura di preghiera nella propria voce che non vi era stata in precedenza.
La Morte lo ignorò. Schioccò le dita come fossero nacchere e il grembiule che aveva attorno alla vita esplose in piccole fiammelle. Il gattino, tuttavia, venne adagiato a terra con grande attenzione e spinto delicatamente via con un piede.
«NON GLI AVEVO FORSE DATO LA PIÙ GRANDE DELLE OPPORTUNITÀ?»
«Esattamente, Padrona, e se adesso mi volesse lasciare andare…»
«ABILITÀ? UNA CARRIERA STRUTTURATA? PROSPETTIVE? UN LAVORO PER LA VITA?»
«Davvero, se però volesse soltanto lasciarmi…»
Il cambiamento nella voce di Albert era stato completo. Le trombe del comando erano divenute ottavini di supplica. Sembrava, in effetti, terrorizzato, ma riuscì a incrociare lo sguardo di Scuotivento e a sibilargli:
«Il mio bastone! Gettami il bastone! Mentre si trova all’interno del cerchio non è invincibile! Fammi avere il bastone e mi potrò liberare!»
Scuotivento disse. «Come, scusi?»
«OH, MIA È LA COLPA PER ESSERE CADUTA IN QUESTA DEBOLEZZA CHE, IN MANCANZA DI UNA PAROLA MIGLIORE, POTREI DEFINIRE DELLA CARNE!»
«Il mio bastone, pezzo di un idiota, il mio bastone!» farfugliò Albert.
«Scusi?»
«BEN FATTO, MIO SERVITORE, PER AVERMI RICHIAMATO AI MIEI DOVERI» disse la Morte. «NON PERDIAMO ALTRO TEMPO.»
«Il mio bas…!»
Ci fu un’implosione e una raffica di vento. Le fiammelle delle candele si allungarono come linee di fuoco per un momento e poi si spensero.
Passò qualche istante.
Quindi la voce dell’economo, che proveniva più o meno dal pavimento, disse: «È stata una cosa davvero poco carina, Scuotivento, perdere il suo bastone in quel modo. Ricordami di punirti severamente uno di questi giorni. C’è qualcuno che possa fare un po’ di luce?»
«Non so che cosa sia successo al bastone! Io l’ho soltanto appoggiato contro questo pilastro e adesso è…»
9
Questo non è precisamente vero. I filosofi sono generalmente concordi nell’affermare che il periodo più breve in cui può accadere tutto sia mille miliardi di anni.