— Questo è il nostro molte-volte-nato — disse Srin’gahar, indicando con la proboscide un nildor rugoso e venerabile nel mezzo del gruppo accanto al lago.
Gundersen provò un sentimento di reverenza, ispirato non solo dalla grande età della creatura, ma anche dalla consapevolezza che quella antica bestia, grigio-azzurra per gli anni, doveva aver partecipato molte volte ai riti inimmaginabili della cerimonia di rinascita. Il molte-volte-nato aveva viaggiato oltre la barriera dello spirito che tratteneva i terrestri. Qualsiasi Nirvana offriva la cerimonia della rinascita, questo essere l’aveva provato, e Gundersen no, e questa cruciale distinzione di esperienza rattrappì il suo coraggio mentre si avvicinava al capo della mandria.
Un anello di cortigiani circondava il vecchio. Avevano anch’essi la pelle raggrinzita e grigia: una congregazione di anziani. I nildor più giovani, della generazione di Srin’gahar, si tenevano a una rispettosa distanza. Non c’era alcun nildor immaturo nell’accampamento. Nessun terrestre aveva mai visto un nildor giovane. A Gundersen era stato detto che i nildor nascevano sempre nella zona delle nebbie, nel paese natale dei sulidoror, e apparentemente rimanevano lì in stretta clausura finché non raggiungevano l’equivalente nildor dell’adolescenza, quando migravano verso le giungle dei tropici. Aveva anche sentito dire che ciascun nildor sperava di tornare alla zona delle nebbie quando fosse giunto il suo momento di morire. Ma non sapeva se queste cose erano vere. Nessuno lo sapeva.
L’anello si aprì e Gundersen si trovò faccia a faccia con il molte-volte-nato. Il protocollo richiedeva che Gundersen parlasse per primo; ma la voce gli mancò; si sentiva stordito dalla tensione, forse, o forse dai fumi del lago, e ci volle un lunghissimo momento prima che riuscisse a riprendersi.
Alla fine disse: — Sono Edmund Gundersen della prima nascita, e ti auguro la gioia di molte rinascite, o saggio.
Senza fretta, il nildor mosse la grande testa da una parte, risucchiò acqua dal lago e se la schizzò in bocca. Poi disse con un brontolio: — Ti conosciamo, Edmundgundersen, dai giorni antichi. Tenevi la grande casa della Compagnia alla Punta di Fuoco, nel Mare di Polvere.
La memoria del nildor lo lasciò stupito e angosciato. Se lo ricordavano tanto bene, che probabilità aveva di guadagnarsi i favori di quella gente? Non avevano nessun motivo di aiutarlo.
— Ero qui, sì, molto tempo fa — disse impacciato.
— Non tanto tempo fa. Dieci rotazioni non è un lungo tempo. — Le pesanti sopracciglia del nildor si chiusero, e per qualche momento sembrò che il molte-volte-nato fosse piombato nel sonno. Poi, con gli occhi ancora chiusi, riprese: — Io sono Vol’himyor della settima nascita. Vuoi venire nell’acqua con me? Mi stanco facilmente sulla terra, in questa mia nascita.
Senza attendere, Vol’himyor entrò nel lago, nuotando lentamente fino a un punto a una quarantina di metri dalla riva, galleggiando immerso fino alle spalle. Un malidar che stava brucando le alghe in quella parte del lago si immerse con un gorgoglio di fastidio e riapparve a una certa distanza. Gundersen capì che non aveva altra scelta che seguire il molte-volte-nato. Si spogliò e si immerse.
L’acqua tiepida si chiuse intorno a lui. Dopo pochi passi, il tappeto spugnoso formato dalle erbe lasciò il posto a morbido fango caldo sotto i piedi nudi di Gundersen. Sentì sporadici movimenti di cose con molte zampe. Le radici delle piante acquatiche si attorcigliavano come fruste intorno alle sue gambe, e le nere bolle di alcol che salivano dalle profondità e scoppiavano alla superficia quasi lo soffocavano con i loro vapori.
Spinse da parte le piante, facendosi strada fra esse con grande difficoltà, e provò un grande sollievo quando i suoi piedi persero il contatto con il fango. Rapidamente nuotò fino a Vol’himyor. La superficie dell’acqua era sgombra in quel punto, grazie al malidar. Nelle buie profondità del lago, tuttavia, creature sconosciute si muovevano incessantemente, e ogni poco qualcosa di veloce e scivoloso si strofinava contro il corpo di Gundersen. Si costrinse a ignorare queste cose.
Vol’himyor, che sembrava tuttora addormentato, mormorò: — Sei stato lontano da questo mondo per molte rotazioni, vero?
— Dopo che la Compagnia ha rinunciato ai suoi diritti qui, sono tornato sul mio mondo — disse Gundersen.
— La vostra Compagnia non ha mai avuto diritti a cui rinunciare — disse il nildor nel solito modo piatto, neutrale. — Non è così?
— È così — concesse Gundersen. Pensò a una correzione adeguata, e disse: — Dopo che la Compagnia ha rinunciato al possesso di questo pianeta, sono tornato sul mio mondo.
— Queste parole si avvicinano di più alla verità. Perché, dunque, sei tornato?
— Perché amo questo posto e desideravo rivederlo.
— È possibile per un terrestre provare amore per Belzagor?
— Un terrestre può, sì.
— Un terrestre può essere catturato da Belzagor — disse Vol’himyor, con più lentezza del solito. — Un terrestre può scoprire che la sua anima è stata afferrata dalle forze di questo pianeta, e viene tenuta in schiavitù. Ma dubito che un terrestre possa amare questo pianeta, da come capisco la vostra idea dell’amore.
— Ti concedo questo, molte-volte-nato. La mia anima è stata catturata da Belzagor. Non ho potuto fare a meno di tornare.
— Sei molto pronto a cedere.
— Non desidero recare offesa.
— Commendevole tatto. E cosa intendi fare su questo mondo che ha catturato la tua anima?
— Viaggiare in molte parti del vostro mondo — disse Gundersen. — In particolare desidero visitare la zona delle nebbie.
— Perché?
— È il luogo che mi cattura più profondamente.
— Non è una risposta che dia molte informazioni — disse il nildor.
— Non ne posso dare altra.
— Cosa ti ha catturato laggiù?
— La bellezza delle montagne che si levano sopra la nebbia. Lo scintillio del sole in una giornata chiara e fredda. Lo splendore delle lune su una distesa di neve scintillante.
— Sei alquanto poetico — disse Vol’himyor.
Gundersen non riuscì a capire se veniva lodato o preso in giro.
Disse: — Sotto le attuali leggi, devo avere il permesso di un molte-volte-nato per entrare nella zona delle nebbie. Perciò sono venuto a chiederti questo permesso.
— Sei scrupoloso nel rispetto della nostra legge, mio amico nato-una-volta. Un tempo era diverso.
Gundersen si morse le labbra. Sentì qualcosa che gli si arrampicava sulla caviglia, salendo dalle profondità del lago, ma si costrinse a guardare serenamente il molte-volte-nato. Scegliendo le parole con cura disse: — Talvolta siamo lenti a comprendere la natura degli altri, e possiamo offendere senza sapere di farlo.
— È così.
— Ma poi giunge la comprensione — disse Gundersen — e uno prova rimorso per le azioni del passato, e spera di poter essere perdonato per i suoi peccati.
— Il perdono dipende dalla qualità del rimorso — disse Vol’himyor — e anche dalla qualità dei peccati.
— Credo che le mie mancanze ti siano conosciute.
— Non sono state dimenticate — disse il nildor.
— Credo anche che nella vostra fede la possibilità della redenzione personale non sia sconosciuta.
— Vero. Vero.
— Mi permetterai di fare ammenda dei miei peccati contro il tuo popolo, sia conosciuti che sconosciuti?