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Sentì un’ondata di nostalgia, così forte che ebbe una smorfia.

Gundersen aveva avuto trenta anni quando era partito per il Mondo di Holman, come assistente di stazione. Ne aveva avuti quaranta, ed era stato amministratore di settore, quando era partito. In un certo senso, i primi trent’anni della sua vita erano stati un pallido preludio a quel decennio, e gli ultimi otto un vuoto epilogo. Aveva vissuto la sua vita su quel continente silenzioso, circondato da nebbia e ghiaccio a nord, nebbia e ghiaccio a sud, l’Oceano di Benjamini a est, il Mare di Polvere a ovest. Per un po’ aveva governato mezzo mondo, almeno durante l’assenza del governatore capo; e quel pianeta si era sbarazzato di lui come se non fosse mai esistito. Gundersen voltò le spalle alle persiane e si sedette.

Van Beneker apparve, con ancora addosso la tuta da lavoro spiegazzata. Strizzò un occhio a Gundersen, e cominciò a frugare in un armadietto. — Faccio anche da barista, signor G. Cosa posso offrirle?

— Alcol — disse Gundersen. — In qualsiasi forma tu mi consigli.

— Spruzzo o bottiglia?

— Bottiglia. Mi piace il sapore.

— Come preferisce. Ma per me spruzzo. È l’effetto che conta, signore, l’effetto. - Appoggiò un bicchiere vuoto di fronte a Gundersen e gli porse una bottiglietta che conteneva tre once di un liquido rosso scuro. Rum delle terre alte, prodotto locale. Da otto anni Gundersen non ne assaggiava. La bottiglietta era fornita di un sistema autonomo di refrigerazione. Gundersen lo azionò con una rapida pressione del pollice, e osservò i cristalli di ghiaccio che si formavano all’interno. Quando si fu adeguatamente raffreddato, lo versò e se lo accostò alle labbra.

— È roba di prima dell’indipendenza — disse Van Beneker. — Non ne è rimasto molto, ma lo sapevo che l’avrebbe apprezzato. — Accostò un tubo a ultrasuoni all’avambraccio sinistro. Zzz! E dal beccuccio un getto di alcool penetrò direttamente nella vena. Van Beneker sogghignò. — Così funziona più in fretta. La sbornia del lavoratore. Eh? Eh? Un altro rum, signor G?

— Adesso no. Farai meglio a occuparti dei tuoi turisti, Van.

Le coppie di turisti cominciavano a entrare nel bar: prima i Watson, poi i Miraflores, gli Stein e infine i Christopher. Evidentemente si aspettavano di trovare il bar pulsante di vita, pieno di altri turisti che si salutavano allegramente da una parte all’altra del locale, e camerieri con la giacca rossa che portavano da bere. Invece c’erano pareti con la vernice scrostata, una scultura sonica che non funzionava più ed era piena di ragnatele, tavoli vuoti, e quell’antipatico signor Gundersen che scrutava cupamente il fondo di un bicchiere. I turisti si scambiarono occhiate deluse. Era per questo che avevano attraversato tanti anni-luce? Van Beneker andò da loro, offrendo drink, erba, qualsiasi cosa potessero fornire le limitate risorse dell’hotel. Si sistemarono in due gruppi accanto alle finestre, e cominciarono a parlare a voce bassa, evidentemente a disagio di fronte a Gundersen. Senza dubbio avvertivano la stupidità del loro ruolo di pacifici benestanti spinti dalla propria noia a visitare gli angoli più remoti della galassia. Stein aveva un salone genetico in California, Miraflores una catena di casinò sulla Luna, Watson era un medico, e Christopher… Gundersen non riusciva a ricordare cosa facesse Christopher. Qualcosa che aveva a che fare con finanza.

La signora Stein disse: — Ci sono alcuni di quegli animali sulla spiaggia. Gli elefanti verdi.

Tutti guardarono. Gundersen fece segno che voleva un altro liquore, che gli fu portato. Van Beneker, rosso in faccia e sudato, gli strizzò nuovamente l’occhio e si somministrò un secondo spruzzo nell’avambraccio. I turisti cominciarono a ridacchiare. La signora Christopher disse: — Non hanno nessuna vergogna?

— Forse stanno solo giocando, Ethel — disse Watson.

— Giocando? Be’, se tu lo chiami giocare…

Gundersen si sporse, sbirciando fuori dalla finestra senza alzarsi. Sulla spiaggia un paio di nildor si stavano accoppiando, la femmina inginocchiata dove il sale era più spesso, il maschio che la montava, afferrandole le spalle e premendole la zanna centrale contro la cresta di aculei sul cranio, manovrando i quarti posteriori in preparazione della spinta finale. I turisti, ridacchiando, facevano pesanti commenti di apprezzamento: sembravano insieme sconvolti ed eccitati. Con sua considerevole sorpresa, anche Gundersen si accorse di essere sconvolto, benché vedere dei nildor che si accoppiavano non era nulla di nuovo per lui e, quando un feroce urlo di orgasmo si levò dal basso, distolse lo sguardo, imbarazzato senza sapere il perché.

— Mi sembra sconvolto — disse Van Beneker.

— Non era necessario che lo facessero qui.

— Perché no? Lo fanno dappertutto. Sa com’è.

— Sono andati là deliberatamente — mormorò Gundersen. — Per dare spettacolo ai turisti? O per infastidire i turisti? Non dovrebbero reagire ai turisti in alcun modo. Cosa vorrebbero dimostrare? Che sono solo animali, immagino.

— Lei non capisce i nildor, Gundy.

Gundersen alzò gli occhi, altrettanto sorpreso dalle parole di Van Beneker quanto dall’improvvisa discesa da “Signor Gundersen” a “Gundy”. Anche Van Beneker parve sorpreso, sbatté rapidamente le palpebre e si tirò una ciocca sparsa di capelli grigi.

— No? — disse Gundersen. — Dopo aver passato qui dieci anni?

— Col suo permesso, non ho mai pensato che lei li capisse, anche quando era qui. La seguivo nei suoi giri, fra i villaggi, quando le facevo da segretario. La osservavo.

— In che senso credi che non riuscissi a capirli, Van?

— Li disprezzava. Pensava a loro come ad animali.

— Non è vero!

— Certo che lo è, Gundy. Non ha mai ammesso una sola volta che avessero un’intelligenza.

— Questo è completamente falso — disse Gundersen. Si alzò e prese un’altra bottiglietta di rum dall’armadietto, e tornò al tavolo.

— Gliel’avrei portata — disse Van Beneker. — Doveva solo chiedere.

— Non importa. — Gundersen fece gelare il liquore e lo bevve rapidamente. — Stai dicendo un sacco di sciocchezze, Van. Ho fatto tutto il possibile per questa gente. Per migliorare le loro condizioni, per elevarli alla civiltà. Ho requisito nastri per loro, gusci sonori, cultura a tonnellate. Ho imposto nuove regole sugli orari di lavoro massimi. Ho insistito che i miei uomini rispettassero i loro diritti di cultura indigena dominante. Ho…

— Li trattava come animali molto intelligenti. Non come alieni intelligenti. Forse lei non se ne rendeva neppure conto, Gundy, ma io sì, e per Dio anche loro. Lei gli parlava dall’alto al basso. Era gentile con loro nella maniera sbagliata. Tutto il suo interesse per elevarli, per migliorare le loro condizioni… stronzate, Gundy, ce l’hanno già la loro cultura. Non vogliono la sua!

— Era mio dovere guidarli — disse Gundersen rigidamente. — Per quanto fosse futile pensare che un branco di animali privi di scrittura, privi di… — Si interruppe, inorridito.

— Animali — disse Van Beneker.

— Sono stanco. Forse ho bevuto troppo. È stato un lapsus.

— Animali.

— Smettila di stuzzicarmi, Van. Ho fatto tutto quello che potevo, e se quello che ho fatto era sbagliato, mi dispiace. Ho cercato di fare il giusto. — Gundersen spinse avanti il bicchiere vuoto. — Portamene un altro, ti spiace?