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— Vero, vero. Eppure, la natura tende a uscirsene con soluzioni ottimali da tentativi ed errori. Come la stessa doppia elica… ricordi come Crick e Watson capirono di aver trovato la risposta a com’era messo insieme il DNA? Non fu perché la loro versione era la sola possibile. Piuttosto, fu perché era «la più bella». Perché mai certi aspetti del DNA dovrebbero essere di straordinaria eleganza, mentre altri essere raffazzonati? Scommetto che Dio o la natura, o qualunque cosa abbia messo il DNA insieme, «non» è raffazzonato.

— Il che significa? — disse Shari.

— Significa che forse la scelta di quale sinonimo è usato per specificare un amminoacido, in realtà contiene informazioni addizionali.

Le delicate sopracciglia di Shari si sollevarono. — Tipo… se siamo un embrione, inserire questa sostanza, ma se siamo già nati, non inserirla! — Batté le mani insieme. Il mistero di come le cellule si potrebbero differenziare nel corso dello sviluppo di un feto non era stato ancora risolto.

Pierre alzò una mano. — Non può essere una relazione così diretta, o i genetisti l’avrebbero notata molto tempo prima. Ma le scelte dei sinonimi in un lungo tratto di DNA — che siano nelle porzioni attive, o negli introni — potrebbero rivelarsi significative.

— O — disse Shari, leggermente imbronciata per aver visto respingere la sua idea — potrebbe darsi di no.

Pierre sorrise. — Certo, ma lo scopriremo, in un modo o nell’altro.

Una domenica mattina. Molly Bond amava recarsi a San Francisco, amava i suoi ristoranti di pesce, i suoi quartieri, le sue colline, i suoi tram, la sua architettura.

La strada in cui Molly si trovava era deserta; non c’era da sorprendersi, data l’ora mattiniera. Molly era venuta a San Francisco per partecipare a un raduno della Chiesa Unitaria; non era particolarmente religiosa, e aveva trovato insopportabile l’ipocrisia di molti uomini di chiesa incontrati nella sua vita, ma le piaceva l’approccio Unitario, e l’oratore invitato quel giorno, un esperto di intelligenza artificiale, sembrava affascinante.

Molly aveva parcheggiato a pochi isolati dalla sala del raduno. La riunione non sarebbe iniziata prima delle nove; pensò che poteva entrare in un McDonald’s per un Egg McMuffin, il solo vizio con cui periodicamente, ma solo a malincuore, tentava di rompere era la sua passione per il fast food. Mentre si dirigeva verso il ristorante lungo un ripido marciapiede, notò un vecchio davanti a sé, sul ciglio della strada, che batteva con un bastone da passeggio su qualcosa che giaceva alla base di un albero.

Molly proseguì, inebriandosi della tersa aria del primo mattino. Il cielo era privo di nubi, una cupola blu sospesa sugli edifici decorati a stucco.

Adesso era solo a una dozzina di passi o giù di lì dall’uomo in nero. Il suo impermeabile era un costoso modello Fumo di Londra, e le scarpe nere erano state lucidate di recente. L’uomo sembrava sugli ottanta, ma era alto per quell’età. Portava un cappello che gli premeva le orecchie contro la testa. Aveva anche il colletto dell’impermeabile risvoltato in su, ma mostrava ugualmente un collo taurino, da cui pendevano pieghe di pelle. Il vecchio era troppo assorto in quel che stava facendo per notarla avvicinarsi. Molly udì un lieve suono lamentoso. Guardò a terra, e restò a bocca aperta per l’orrore. L’uomo vestito di nero stava percuotendo un gatto col suo bastone.

Il gatto era, ovviamente, stato investito da un’auto e lasciato a morire. Il suo pelo, screziato di bianco, nero, arancione e color crema, era lordo di sangue sull’intero lato sinistro. Chiaramente era stato travolto qualche tempo prima, gran parte del sangue si era seccato a formare una crosta marrone, ma il denso liquido rosso stava ancora colando da un lungo taglio. Uno degli occhi del gatto era quasi scoppiato dall’orbita e aveva assunto un tono grigio bluastro.

— Ehi! — urlò Molly all’uomo in nero. — Sei pazzo? Lascia stare quella povera creatura!

L’uomo doveva essersi imbattuto nel gatto per caso, e stava apparentemente godendo dei patetici lamenti che lanciava ogni volta che lo punzecchiava con il bastone. Sì voltò per guardare Molly. Lei fu disgustata nel vedere che il suo pene bianco come un osso, eretto, gli fuoriusciva dai pantaloni aperti, e che lui lo impugnava con l’altra mano. — Blyat! — gridò l’uomo con un forte accento, con gli occhi neri che si restringevano in fessure. — Blyat!

— Via di qui! — strillò Molly. — Chiamerò la polizia!

L’uomo sbottò in un «Blyat» ancora una volta, poi si allontanò con passo malfermo. Molly pensò di inseguirlo e trattenerlo fino all’arrivo della polizia, ma l’ultima cosa al mondo che volesse fare era toccare quell’orribile personaggio. Si avvicinò per dare un’occhiata al gatto. Era in condizioni terribili. — Su, su — disse in tono tranquillizzante. — Se n’è andato. Non ti darà più fastidio. — Il gatto si mosse lievemente. Il suo respiro era ansimante.

Molly si guardò intorno; c’era un telefono pubblico alla fine dell’isolato. Si affrettò a raggiungerlo, chiamò il servizio informazioni, e chiese il numero d’emergenza della Protezione Animali. Poi lo compose. — C’è un gatto moribondo sul ciglio della strada — disse. Torse il collo per vedere i cartelli stradali. — È lungo il marciapiede di Portola Drive, a mezzo isolato dall’angolo con la Swanson. Penso che l’abbia investito una macchina, forse un’ora o due fa… No, resterò con l’animale, grazie. Grazie ancora… e fate presto, per favore.

Si sedette a gambe incrociate sul marciapiede accanto al gatto. Guardò lungo la strada, furiosa e sconvolta. Il vecchio vestito di nero era scomparso.

11

Tre settimane dopo

Pierre sedeva nel laboratorio, guardando l’orologio. Shari aveva detto che poteva far tardi a rientrare dal pranzo, ma ormai erano le 14.45, e un pranzo di tre ore sembrava eccessivo anche per gli usi della Costa Occidentale. Forse era stato pazzo ad assumere una che stava proprio per sposarsi. Aveva un milione di cose da fare prima delle nozze, dopotutto, e…

La porta del laboratorio si aprì, e Shari entrò. I suoi occhi erano iniettati di sangue, e sebbene si fosse ovviamente concessa un momento per tentare di sistemarsi il trucco, doveva aver pianto parecchio.

— Shari! — disse Pierre, alzandosi in piedi e andando verso di lei. — Che c’è che non va?

Lei lanciò uno sguardo a Pierre, col labbro inferiore che tremava. Pierre non riuscì a ricordare l’ultima volta che aveva visto qualcuno così triste. La sua voce era bassa e tremante. — Howard e io abbiamo rotto. — Le lacrime le stavano di nuovo sgorgando dagli angoli degli occhi.

— Oh, Shari — disse Pierre. — Mi dispiace tanto. — Non la conosceva da molto tempo e non era sicuro di doversi impicciare dei fatti suoi… eppure, probabilmente lei aveva bisogno di qualcuno con cui parlare. Andava tutto a gonfie vele prima che uscisse per pranzo; quella di Pierre poteva essere la sola faccia amichevole che aveva visto da… qualunque cosa fosse successa.

— Avete… avuto un litigio?

Le lacrime scorsero lentamente sulle guance di Shari. Scosse la testa.

Pierre si trovò imbarazzato. Pensò di attirarla vicino a sé, tentare di confortarla, ma era il suo principale… non poteva farlo. Infine si risolse a dire: — Dev’essere doloroso.

Shari annuì quasi impercettibilmente. Pierre l’accompagnò a uno sgabello. Lei vi si sedette, poggiandosi le mani in grembo. Pierre notò che l’anello di fidanzamento era scomparso. — Stava andando tutto così bene — disse lei, con voce piena d’angoscia. Rimase in silenzio per un lungo tempo. Di nuovo, Pierre pensò di toccarla… una mano sulla spalla, diciamo. Detestava vedere qualcuno così addolorato. — Ma… ma i miei genitori sono emigrati dalla Polonia dopo la Seconda guerra mondiale, e i genitori di Howard sono dei Balcani.