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Pierre la guardò senza capire.

— Non vedi? — disse, tirando col naso. — Siamo entrambi ashkenaziti.

Pierre sollevò lievemente le spalle, perplesso.

— Ebrei dell’Europa Orientale — disse Shari. — Siamo andati a fare un test.

Pierre in realtà non sapeva molto del giudaismo, sebbene ci fossero un sacco di ebrei di lingua inglese a Montreal. — Per cosa?

— Per la malattia di Tay-Sachs — disse Shari, sembrando quasi furente per doverla pronunciare.

— Oh — disse Pierre a voce molto bassa, comprendendo infine. La Tay-Sachs era una tara genetica: non veniva prodotto l’enzima hexosaminidase-A, il che, a sua volta, faceva sì che una sostanza grassa si accumulasse nelle cellule nervose del cervello. Diversamente dalla corea di Huntington, la malattia di Tay-Sachs si manifestava fin dall’infanzia, causando cecità, demenza, convulsioni, paralisi diffusa, e morte, di solito entro i quattro anni di età. Colpiva quasi esclusivamente gli ebrei di estrazione est-europea. Il quattro per cento degli ebrei americani che discendevano da lì erano portatori del gene, ma, sempre a differenza della corea di Huntington, il gene della Tay-Sachs era recessivo, e un figlio doveva riceverlo da entrambi i genitori per prendere la malattia. Se sia la madre che il padre erano portatori, ogni loro bimbo aveva il venticinque per cento di probabilità di avere la Tay-Sachs.

Tuttavia… forse Shari aveva capito male. Sì, era una studentessa di genetica, ma… — Così avete entrambi il gene? — chiese Pierre gentilmente.

Shari annuì e si sfregò le guance. — Non avevo idea che lo portasse. Ma Howard… lo sospettava, e non mi ha mai detto una sola parola. — La sua voce era amara. — Sua sorella scoprì di averla quando si sposò, ma era okay, perché il suo fidanzato non ce l’aveva. Ma Howard sapeva che visto che sua sorella ce l’aveva, lui stesso aveva il cinquanta per cento di probabilità di essere un portatore… e non me l’ha mai detto. — Guardò per un attimo Pierre, poi abbassò lo sguardo sul pavimento. — Non si dovrebbero tenere segreti con qualcuno che si ama.

Pierre pensò a se stesso e Molly, ma non disse nulla. Ci fu silenzio fra loro per, forse, mezzo minuto.

— Eppure — disse Pierre infine — ci sono delle possibilità. L’amniocentesi può determinare se un feto ha ricevuto due geni della malattia. Se scoprissi che ce li ha, potresti fare un… — Pierre non osò spingersi fino a dire «aborto» a voce alta.

Ma Shari si limitò ad annuire. — Lo so. — Tirò col naso qualche volta. Restò in silenzio per un momento, come se meditasse su cosa dire in seguito. — Ma ho l’endometriosi… un accrescimento irregolare della mucosa uterina; il mio ginecologo mi ha avvertita anni fa che avrei passato dei guai a concepire. Gliel’ho detto a Howard quando abbiamo cominciato a fare sul serio. Voglio davvero, davvero avere bambini, ma è una battaglia persa in partenza, e…

Pierre annuì. E non c’era verso che lei potesse permettersi di portare a termine le gravidanze.

— Mi dispiace tanto, Shari, ma… — Fece una pausa, non sicuro di che altro dire.

Lei lo guardò, con in volto una domanda.

— Potresti adottare — disse Pierre. — Non è tanto male. Io sono stato allevato da qualcuno che non era il mio padre biologico.

Shari si soffiò il naso, ma poi fece una fredda risata. — Tu non sei ebreo. — Era un’affermazione, non una domanda.

Pierre scosse la testa.

Lei espirò rumorosamente, come se fosse intimidita dalla prospettiva di dover tentare di spiegare così tanto. Finalmente, disse: — Sei milioni di ebrei sono stati uccisi durante la Seconda guerra mondiale… inclusi la maggior parte dei parenti dei miei genitori. Fin da ragazzina, sono stata allevata nella convinzione che avrei fatto la mia parte per aiutare a resuscitare il mio popolo. — Distolse lo sguardo. — Tu non capisci.

Pierre restò zitto per un momento. Poi, infine, disse a bassa voce: — Mi dispiace, Shari. — Finalmente, le toccò la spalla. Lei reagì subito, afflosciandosi contro il suo petto, e singhiozzò sommessamente per lungo, lungo tempo.

12

Pierre e Molly erano seduti fianco a fianco sul divano verde e arancione del suo soggiorno, e Pierre le teneva il braccio intorno alle spalle. Erano giunti al punto di passare quasi ogni notte insieme, tanto da lui quanto da lei. Raggi di luce ambrata del sole al tramonto piovevano dentro dalle finestre. Quel giorno Pierre aveva passato l’aspirapolvere, per la seconda volta da quando si era trasferito. La luce del sole a un angolo basso delineava le tracce che il suo Hoover aveva lasciato.

— Pierre — disse Molly, ma poi ricadde in silenzio.

— Hmm?

— Oh, niente. Io… no, niente.

— No, va’ avanti — disse Pierre, alzando le sopracciglia. — Che ti passa in testa?

— La questione — disse Molly, lentamente — è cosa passa a te.

Pierre aggrottò la fronte. — Eh?

Molly sembrò lottare con se stessa per continuare. Poi, tutt’a un tratto, si drizzò a sedere sul divano, prese il braccio di Pierre dalle sue spalle, e se lo poggiò in grembo, intrecciando le dita con le sue. — Facciamo un giochetto. Pensa a una parola… qualunque parola inglese… e io tenterò di indovinarla.

Pierre sorrise. — Proprio qualunque?

— Sì.

— Okay.

— Ora concentrati sulla parola. Con… è «formichiere».

— C’est vrai? — disse Pierre, scioccato. — Come ci sei riuscita?

— Tenta ancora — disse Molly.

— Okay… ne ho una.

— Cos’è la pi… pir… imi… dina? È francese?

— Come hai fatto?

— Che significa la parola?

— Pirimidina. È un tipo di base organica. Come hai fatto?

— Proviamo di nuovo.

Pierre sfilò le mani dalle sue. — No. Dimmi come hai fatto.

Molly lo guardò. Erano seduti così vicini che il suo sguardo continuava a spostarsi dall’occhio sinistro di Pierre al destro. Aprì la bocca come per dire qualcosa, la richiuse, poi tentò di nuovo. — Io so… — Chiuse gli occhi. — Dio, e pensavo che fosse difficile dirti quant’ero stupida ad aver preso la gonorrea. Questo non l’ho mai detto a nessuno prima. — Fece una pausa e tirò un profondo respiro. — So leggere nella mente, Pierre.

Pierre inclinò il capo da un lato. La mascella gli pendeva semiaperta. Chiaramente non sapeva che dire.

— È vero — disse Molly. — Ne sono capace da quando avevo tredici anni.

— Okay — disse Pierre, tradendo dal tono che sentiva che era tutto qualche trucco facile da svelare se solo ci avesse riflettuto abbastanza. — Okay, che sto pensando adesso?

— È in francese; non capisco il francese. Vu… le… vu… cu… scè, qualcosa… La parola moi… quella la capisco.

— Qual è il mio numero della Previdenza Sociale canadese?

— Non stai pensando davvero al numero. Non posso leggerlo finché non ci penserai veramente. — Una pausa. — Stai dicendo i numeri in francese. Cinq… è cinque, giusto? Huit… otto. Deux… due. Uhm, lo stai ripetendo fra te; è difficile seguirlo. Pensaci tutto insieme. Cinq huit deux… six un neuf, huit trois neuf.

— Leggere nelle menti è… — Si interruppe.

— «Impossibile» è quello che stavi per dire.

— Ma come…

— Non lo so.

Pierre restò in silenzio per lungo tempo, seduto assolutamente immobile. — Devi essere in contatto fisico con la persona? — disse infine.