— No. Ma devo essere vicina… la persona dev’essere entro quella che chiamo la mia «zona», a non più di un metro di distanza. È stato molto difficile fare degli studi empirici, essendo sia lo sperimentatore che il soggetto sperimentale, e senza rivelare ad altri quel che sto tentando di fare, ma direi che se mi porto due volte più lontano da te, ascolto i tuoi pensieri solo — se «ascoltare» è la parola giusta — con un quarto dell’«intensità», diciamo.
— Hai detto «ascoltare». Non vedi i miei pensieri? Non capti immagini mentali?
— Esatto. Se ti fossi limitato a visualizzare l’immagine di un formichiere, non avrei potuto percepirla. Ma quando ti sei concentrato sulla parola «formichiere», io… be’, «ascoltare» è una parola buona come un’altra… l’ho ascoltata chiaramente come se me l’avessi bisbigliata all’orecchio.
— È… incredibile.
— Hai pensato di dire «stupefacente», ma hai cambiato idea mentre pronunciavi le parole.
Pierre si appoggiò allo schienale del divano, attonito.
— Posso percepire quelli che chiamo «pensieri articolati»… parole che sta usando il tuo cervello — disse Molly. — Non posso percepire immagini. E le emozioni… grazie a Dio, non posso captare le emozioni.
Pierre la stava guardando con un misto fra lo sbalordito e l’affascinato. — Dev’essere ossessionante.
Molly annuì. — Può esserlo. Ma mi sforzo consciamente di non invadere la privacy delle persone. Nella mia vita sono stata chiamata diverse volte «scostante», ed è vero alla lettera. Io «tendo» a scostarmi… a non essere troppo vicina fisicamente alla gente, a tenerla fuori dalla mia zona.
— Leggere nelle menti — disse Pierre di nuovo, come se la ripetizione potesse in qualche modo rendere quell’idea più accettabile. — Incroyable. — Scosse il capo. — Altri membri della tua famiglia hanno questa… quest’abilità?
— No. Una volta interrogai mia sorella Jessica al riguardo, e pensò che fossi pazza. E mia madre… be’, in certe notti mia madre non mi avrebbe mai lasciata uscire se avesse potuto leggermi nella mente.
— Perché tenerlo segreto?
Molly lo guardò per un attimo, come se non riuscisse a credere a quella domanda. — Voglio vivere una vita normale… il più normale possibile, comunque. Non voglio essere studiata, o trasformata in attrazione televisiva, o che, Dio non voglia, mi chiedano di lavorare per la CIA o qualcosa del genere.
— E dici che non l’hai mai raccontato a nessuno prima?
Lei scosse la testa. — Mai.
— Ma lo stai dicendo a me? Lei lo fissò negli occhi. — Sì.
Pierre capì il significato. — Grazie — disse. Le sorrise… ma il sorriso presto svanì, e lui distolse lo sguardo. — Non lo so — disse. — Non so se potrei vivere con l’idea che i miei pensieri non sono più privati.
Molly cambiò posizione, piegando una gamba sotto il proprio corpo e prendendogli l’altra mano. — Ma è proprio così — disse sinceramente. — Non posso leggere nei tuoi pensieri… «perché pensi in francese».
— Davvero? — disse Pierre, sorpreso. — Non sapevo affatto di pensare in qualche lingua. Voglio dire… i pensieri sono, be’, «pensieri».
— La maggior parte del pensiero complesso è articolato — disse Molly. — È formulato in parole. Fidati di me; questo è il mio campo. Tu pensi esclusivamente in francese.
— Così puoi sentire le parole dei miei pensieri, ma non capirle?
— Sì. Cioè, so qualche parola di francese, tutti le sanno. Bonjour, au revoir, oui, non, roba del genere. Ma finché continuerai a pensare in francese, non sarò in grado di leggerti nella mente.
— Non so. È lo stesso un’invasione della privacy.
Molly gli strinse forte le mani. — Guarda, saprai sempre che i tuoi pensieri sono privati quando sei fuori dalla mia zona… a più di un metro circa di distanza.
Pierre stava scuotendo la testa. — È come… mon Dieu, non lo so; come scoprire che in realtà la tua ragazza è Wonder Woman.
Molly rise. — Ha tette molto più grosse delle mie.
Pierre sorrise, poi si chinò a darle un bacio. Ma pochi secondi dopo, si ritrasse. — Sapevi che stavo per farlo?
Lei scosse il capo. — Non proprio. Forse mezzo secondo prima che fosse ovvio.
Pierre si distese di nuovo contro lo schienale. — Questo cambia le cose — disse.
— Non deve, Pierre. Le cambierà solo se lascerai che sia così.
Pierre annuì. — Io…
E Molly udì le parole nella sua mente, le parole che era stata ansiosa di sentire ma che dovevano ancora essere pronunciate a voce alta, le parole che significavano tanto.
Si raggomitolò addosso a Pierre. — Anch’io ti amo — disse.
Pierre la tenne stretta. Pochi momenti dopo, disse: — Quindi, che succederà ora?
— Andremo avanti — disse Molly. — Cercheremo di costruirci un futuro insieme.
Pierre espirò rumorosamente. — Mi dispiace — disse subito Molly, rialzandosi di nuovo a sedere e guardando Pierre. — Sono troppo precipitosa, non è vero?
— No — disse Pierre. — Non è questo. È solo… — Cadde in silenzio, ma poi pensò a ciò che Shari Cohen gli aveva detto quel pomeriggio. «Howard non me l’aveva mai detto. Non si dovrebbero tenere segreti con qualcuno che si ama.» Pierre tirò un profondo respiro, poi lo rilasciò lentamente. — Dannazione — disse infine — questa è la sera delle grandi rivelazioni, non è vero? Non sei precipitosa, Molly. Voglio costruire un futuro con te. Ma, be’, è solo che potrei non avere molto futuro davanti.
Molly lo guardò e sbatté le palpebre. — Scusa? Pierre tenne gli occhi fissi sui suoi, ascoltando la sua reazione. — Potrei avere la corea di Huntington.
Molly ebbe un lieve scatto indietro. — Davvero?
— Sai cos’è?
— Una specie. Un uomo che viveva nella stessa strada della casa di mia madre ce l’aveva. Dio mio, Pierre. Mi dispiace tanto.
Pierre si irrigidì un tantino. Molly, per quanto attonita, ebbe abbastanza presenza di spirito da riconoscere quella reazione. Pierre non voleva pietà. Gli strinse la mano. — Ho visto cos’è successo al signor DeWitt… il vicino di mia madre. Ma non conosco realmente i dettagli. È una malattia ereditaria, giusto? Anche uno dei tuoi genitori deve averla avuta, no?
Pierre annuì. — Mio padre.
— So che provoca spasmi muscolari.
— È più di questo. Causa anche deterioramento mentale.
Molly spostò lo sguardo. — Oh.
— I sintomi possono apparire in ogni momento… a trent’anni, a quaranta, o anche più tardi. Potrei passare ancora vent’anni tranquilli, o potrei cominciare a mostrare i segni domani. O, se sono fortunato, non ho il gene e non prenderò affatto la malattia.
Molly si sentì pizzicare gli occhi. La cosa educata da fare avrebbe potuto essere voltarsi, per non lasciare che Pierre sapesse che stava piangendo… ma non sarebbe stata la cosa onesta. Non era pietà, dopotutto. Lo guardò diritto in faccia, poi si chinò a baciarlo.
Una volta che si fu staccata, ci fu un prolungato silenzio fra loro. Finalmente, Molly alzò una mano per asciugarsi le lacrime, e poi passò gentilmente il dorso della mano sulla guancia di Pierre, che si era inumidita a sua volta. — I miei genitori — disse Molly lentamente — divorziarono quando avevo cinque anni. — Sospirò, come se un antico dolore venisse espulso con l’aria. — Di questi tempi, cinque o dieci begli anni insieme è il massimo che molti si aspettano.
— Tu meriti di più — disse Pierre. — Meriti di meglio.
Molly scosse la testa. — Non ho mai avuto di meglio che questo. Io… non ho mai avuto molto successo con gli uomini. Essendo in grado di leggere i loro pensieri… Ma tu sei diverso.