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Pierre si fece avanti e chiuse la porta dietro di sé. — Sei la cosa migliore che mi sia mai capitata — disse — e io… sono un idiota.

Ci fu silenzio per un po’. — Bei fiori — disse Molly infine.

Pierre la guardò, come se cercasse di leggerle i pensieri negli occhi. — Se vuoi ancora avermi come marito, ne sarei onorato.

Molly restò zitta per un po’. — Io voglio avere un bambino.

Pierre aveva pensato molto a quella questione. — Lo capisco. Se vorrai adottare un bimbo, sarò lieto di aiutarti ad allevarlo finché ne sarò capace.

— Adottarlo? Io… no, voglio avere un figlio mio. Voglio ricorrere alla fertilizzazione in vitro.

— Oh — disse Pierre.

— Non preoccuparti di trasmettere cattivi geni — disse Molly. — Stavo leggendo un articolo su questo su «Cosmo». Potrebbero far sviluppare gli embrioni fuori dal mio corpo, poi testarli per sapere se hanno ereditato la corea di Huntington. Allora potrebbero impiantarmi solo quelli sani.

Pierre era cattolico, anche se non più praticante; l’idea stessa di una procedura simile lo lasciava ancora a disagio… gettar via embrioni viventi perché non erano geneticamente all’altezza. Ma non era quella la sua maggiore obiezione. — Ero serio su quanto ho detto prima. Penso che un figlio dovrebbe avere sia una madre che un padre, anche se probabilmente non vivrò abbastanza da vederlo crescere. — Fece una pausa. — Non posso, in tutta coscienza, dar vita a una nuova creatura sapendo che non ci sarò per seguirla durante l’infanzia — disse. — L’adozione è un caso speciale, miglioreremo comunque la vita del bambino, anche se non avrà sempre un padre.

— Lo farò comunque — disse Molly con fermezza. — Avrò un bambino mio. Ricorrerò alla fertilizzazione in vitro.

Pierre sentì tutto quanto scivolargli via. — Non posso essere io il donatore di sperma. Io… mi dispiace. Proprio non posso.

Molly restò seduta senza dire niente. Pierre si sentì arrabbiato con se stesso. Quella avrebbe dovuto essere una riappacificazione, dannazione. Come aveva fatto a prendere la piega sbagliata?

Finalmente, Molly parlò. — Potresti giungere ad amare un bambino che non sia biologicamente tuo?

Pierre aveva già considerato questo, contemplando la possibilità dell’adozione. — Oui.

— Avrò un bambino comunque, anche senza un marito — disse Molly. — Milioni di bambini sono cresciuti senza padri; per gran parte della mia infanzia, io stessa non ne ho avuto uno.

Pierre annuì. — Lo so.

Molly aggrottò la fronte. — E vuoi ugualmente sposarmi, anche se cercherò di avere un figlio usando sperma donato?

Pierre annuì di nuovo, non fidandosi della sua voce in quel momento.

— E potresti giungere ad amare un bambino simile?

Era stato preparato ad amare un bimbo adottivo. Perché quello gli sembrava tanto differente? Eppure… eppure…

— Sì — disse infine Pierre. — Dopotutto, il bambino sarebbe ancora in parte tuo. — La fissò negli occhi blu. — E io ti amo tutta quanta. — Attese mentre il suo cuore batteva qualche altra volta. — Così — disse, infine — acconsentirai a essere la signora Tardivel?

Lei si guardò in grembo e scosse il capo. — No, questo non posso farlo. — Ma quando rialzò il viso, stava sorridendo. — Ma voglio essere la signora Bond, fra parentesi moglie del signor Tardivel.

— Allora mi sposerai?

Molly si alzò e camminò verso di lui. Gli gettò le braccia al collo. — Oui — disse.

Si baciarono per qualche secondo, ma quando distaccarono le labbra, Pierre disse: — C’è una condizione. In qualunque momento, «qualunque», se sentirai che la mia malattia è troppo da sopportare per te, o vedrai un’opportunità di essere felice che durerà per il resto della tua vita, piuttosto che per il resto della mia, allora voglio che mi lasci.

Molly restò in silenzio, la mandibola lievemente rilasciata.

— Prometti — disse Pierre.

— Lo prometto — disse lei infine.

Quella sera, Pierre e Molly fecero quel che avevano fatto spesso prima di rompere: uscirono per gironzolare. Si erano fermati in un caffè sulla Telegraph Avenue per un leggero spuntino, e ora si limitavano a bighellonare insieme. Come molte giovani coppie, stavano ancora tentando di conoscersi. In una lunga passeggiata, avevano parlato delle loro prime esperienze sessuali; in un’altra, dei rapporti coi loro genitori; in altre ancora, del controllo sulle armi e di questioni ambientali. Sere di conversazioni stimolanti, in cui ognuno aveva delineato meglio l’immagine dell’altro.

E quella sera, la più grande questione di tutte emerse mentre camminavano, godendosi il tepore dell’aria. — Tu credi in Dio? — chiese Molly.

Pierre abbassò lo sguardo sul marciapiede. — Non lo so.

— Oh? — disse Molly, chiaramente interessata.

Pierre sembrò un tantino a disagio. — Be’, voglio dire che è arduo continuare a credere in Dio quando succede qualcosa del genere. Lo sai, la mia corea di Huntington. Non intendo dire che ho iniziato a dubitare della mia fede il mese scorso, quando finalmente abbiamo fatto il test. Ho iniziato fin da quando incontrai, per la prima volta, il mio vero padre. — Pierre le aveva spiegato tutto sulla scoperta della sua paternità in un’altra lunga passeggiata.

Molly annuì. — Ma credevi in Dio prima di scoprire che potevi ammalarti?

Pierre annuì mentre proseguivano. — Immagino di sì. Come la maggior parte dei franco-canadesi, sono stato allevato nel cattolicesimo. Di questi tempi vado a messa solo a Pasqua e a Natale, ma quando vivevo a Montreal, ci andavo ogni domenica. Cantavo anche nel coro della chiesa.

Molly trasalì; aveva udito Pierre cantare. — Ma adesso è difficile per te crederci — disse — perché un Dio benevolo non avrebbe potuto farti una cosa simile.

Erano giunti alla panchina di un parco. Molly accennò a sedersi, e così fecero. Pierre le cinse le spalle con un braccio. — Qualcosa del genere — disse.

Molly toccò il braccio di Pierre e sembrò esitare per un attimo prima di replicare. — Perdonami se dico questo, non vorrei apparire polemica, ma, be’, trovo sempre questo tipo di ragionamento un po’ superficiale. — Alzò una mano. — Mi dispiace; non intendo sembrare critica. È solo che… che quanto sia duro il nostro mondo è evidente a chiunque si guardi in giro. Gente che muore di fame in Africa, povertà in Sudamerica, sparatorie per strada qui negli States. Terremoti, uragani, guerre, malattie. — Scosse la testa. — A me, e sto parlando solo per me, sembra sempre strano che uno possa andare avanti senza porsi dubbi sulla propria fede finché non gli accade qualcosa personalmente. Capisci cosa sto dicendo? Un milione di persone crepano in Etiopia, e diciamo che è un peccato. Ma quando a noi, o qualcuno che noi conosciamo, viene il cancro o un attacco di cuore, o la corea di Huntington o qualunque altra cosa, diciamo: «Ehi, allora non c’è Dio». — Sorrise. — Mi dispiace… devo averti seccato. Perdonami.

Pierre annuì lentamente. — No, hai ragione. È sciocco metterla in questo modo. — Una pausa. — E tu? Ci credi in Dio?

Molly alzò le spalle. — Be’, io sono cresciuta nel credo Unitario, qualche volta vado ancora a una funzione a San Francisco. Non credo in un Dio personale, ma forse in un creatore. Sono quella che chiamano un’evoluzionista teista.

— Qu’est-ce que c’est?

— Vuol dire qualcuno che crede che Dio abbia programmato in anticipo la direzione generale che avrebbe preso la vita, il cammino da seguire per l’universo… ma, dopo aver messo tutto quanto in moto, si accontenti di limitarsi a osservare la situazione, lasciandola crescere e svilupparsi da sola, seguendo la rotta da lui tracciata.