Pierre alzò le sopracciglia. — Vuoi procedere con l’IVF?
Molly annuì. — Se è ancora okay per te. — Sollevò una mano. — Lo so che sono un sacco di soldi, ma, be’… francamente, ho paura di quel che è successo a Ingrid. — L’amica di Molly, Ingrid Lagerkvist, aveva dato alla luce un figlio con la sindrome di Down; le probabilità di avere un bambino Down crescevano con l’età.
— Troveremo il denaro — disse Pierre. — Non preoccuparti. — Sul suo volto si spalancò un largo sorriso. — Stiamo per avere un bambino! — Sparse il formaggio sui suoi spaghetti, poi fece qualcosa che Molly trovava sempre divertente: tagliò i suoi spaghetti a pezzettini. — Un bambino! — disse di nuovo.
Molly rise. — Oui, monsieur.
Il capo di Pierre, dottor Burian Klimus, alzò lo sguardo e accennò in modo brusco a turno verso entrambi. — Tardivel. Molly.
— Grazie per aver accettato di vederci, signore — disse Pierre, sedendosi all’altra estremità dell’ampia scrivania. — So quanto lei sia occupato. — Klimus non era tipo da sprecare energie commentando cose ovvie. Sedette in silenzio dietro la scrivania ingombra, con un’espressione leggermente irritata, in attesa che Pierre venisse al sodo. — Abbiamo bisogno del suo consiglio. A Molly e me… piacerebbe avere un bambino.
— Dei fiori e una bottiglia di Chianti sono un eccellente punto di partenza — disse Klimus con voce burbera, senza battere ciglio.
Pierre rise, più per il nervosismo che per quella battuta. Fece vagare lo sguardo per l’ufficio. C’era una seconda porta, che dava in qualche altra stanza. Dietro la scrivania di Klimus c’era una credenza con sopra due globi. Uno era un globo della Terra, su cui non erano segnati i confini politici; l’altro era, immaginò Pierre, basandosi sul suo colore rossastro, un globo di Marte. Alle pareti c’erano fotografie astronomiche in cornice. Pierre puntò di nuovo lo sguardo su Klimus. — Abbiamo deciso di voler ricorrere alla fertilizzazione in vitro, e, be’, lei ha scritto col professor Sousa quell’importante articolo per «Science» sulle nuove tecnologie riproduttive, e così…
— Perché la provetta? — chiese Klimus.
— Ho le tube di Falloppio ostruite — disse Molly.
Klimus annuì. — Capisco. — Si appoggiò allo schienale della sedia, che scricchiolò, e intrecciò le dita dietro la testa calva. — Di sicuro capite i rudimenti della procedura: le cellule uovo saranno rimosse da Molly e unite agli spermatozoi di Pierre in una capsula di Petri. Una volta creati gli embrioni, verranno impiantati, e non resterà che sperare per il meglio.
— In realtà — disse Pierre — non avevamo in programma di usare il mio sperma. — Si agitò leggermente sulla sedia. — Io… ah… non sono in posizione tale da fare da padre biologico.
— È impotente?
Pierre fu sorpreso dalla domanda. — No.
— Ha un basso conteggio degli spermatozoi? Ci sono tecniche…
— Non ho idea di quale sia il mio conteggio degli spermatozoi. Presumo che sia normale.
— Allora perché? Il suo intelletto è più che adeguato. Perché non generare un figlio?
Pierre deglutì. — Io… ah… sono portatore di geni nocivi.
Klimus annuì. — Eugenica volontaria. Approvo. — Fece una pausa. — Ma, come lei sa…
Pierre non vide motivo di discutere con il vecchio. — Useremo sperma di un donatore — disse con fermezza. Klimus scrollò le spalle. — Sta a voi.
— Ma cerchiamo qualcuno che ci raccomandi una clinica. Lei ne ha visitate un gran numero mentre scriveva l’articolo. Ce n’è una che suggerirebbe?
— Ce ne sono di buone qui nella Bay Area — disse Klimus.
— Quale sarebbe la più economica? — disse Pierre. Klimus lo guardò inespressivo. — Noi… ah… sappiamo che la procedura costa intorno ai diecimila dollari.
— Per ogni tentativo — disse Klimus. — E la fecondazione in vitro ha solo il venti per cento di probabilità di successo. In realtà, il costo medio per avere un bambino con questo metodo è di quarantamila dollari.
Pierre restò a bocca aperta. «Quarantamila»? Era una somma enorme di denaro, e il mutuo della casa era già alto. Dubitò di poter affrontare una spesa simile.
Ma Molly incalzò. — Sono le cliniche a scegliere il donatore di sperma?
— Occasionalmente — disse Klimus. — Più spesso, la donna sceglie da un catalogo che elenca le caratteristiche fisiche, mentali ed etniche dei potenziali padri. E… — Si interruppe a metà della frase, zittendosi completamente, come se la sua mente fosse distante un milione di miglia.
Pierre si chinò leggermente in avanti. — Sì? — disse.
— Che ne dite di me? — chiese Klimus.
— Mi scusi? — propose Pierre.
— Me. Come donatore.
Molly rimase impietrita. Klimus se ne avvide e alzò una mano, col palmo in fuori. — Potremmo farlo qui al LBL. Io posso svolgere la fertilizzazione, e Gwendolyn Bacon, una dottoressa che mi deve un favore, sono certo di riuscire a convincerla a effettuare l’estrazione della cellula uovo e l’impianto dell’embrione.
— Non lo so — disse Pierre.
Klimus lo guardò. — Propongo un patto: usate me come donatore, e pagherò io i costi per la procedura, non importa quanti tentativi ci vorranno. Ho investito bene i soldi del Nobel, e ho dei lucrosi contratti come consulente.
— Ma… — iniziò Molly. La sua voce si spense, non sapendo che dire. Avrebbe voluto che non ci fosse quella grossa scrivania tra loro così da potergli leggere nella mente, ma tutto quel che poté percepire fu un fuoco di fila di pensieri in francese di Pierre.
— Sono vecchio, lo so — disse Klimus senza umorismo. — Ma quanto al mio sperma fa poca differenza. Sono pienamente in grado di fungere da padre biologico e di fornire ampia documentazione di essere privo di HIV.
Pierre deglutì a vuoto. — Non sarà imbarazzante, conoscere il donatore?
— Oh, sarà il nostro piccolo segreto — disse Klimus, alzando di nuovo la mano. — Volete del buon DNA, no? Sono vincitore di un Premio Nobel; ho un quoziente intellettivo di 163. Per quanto riguarda la longevità sono dimostrabilmente un buon investimento, e ho vista e riflessi eccellenti. In più, non ho geni dell’Alzheimer o del diabete o di nessun altro disturbo serio. — Sorrise lievemente. — La cosa peggiore programmata nel mio DNA è la calvizie.
Durante il lungo discorso di Klimus, Molly aveva preso a scuotere leggermente il capo avanti e indietro, avanti e indietro, ma si fermò quando il vecchio giunse alla conclusione. Allora guardò Pierre, come per valutare la sua reazione.
Anche Klimus rivolse lo sguardo su Pierre. — Su, giovanotto — disse, e poi sul suo volto si aprì un secco, freddo sorriso. — Meglio un buon vecchio diavolo che uno sconosciuto.
— Ma perché? — chiese Pierre. — Perché le interesserebbe?
— Ho ottantaquattro anni — disse Klimus. — E non ho figli. Desidero semplicemente che i miei geni non scompaiano dal patrimonio collettivo. — Guardò a turno ciascuno di loro.
Pierre guardò Molly e si strinse nelle spalle. — Io… «suppongo» che andrebbe bene — disse lentamente, non del tutto sicuro di sé.
Klimus batté le mani insieme con un forte colpo che suonò come una pistolettata. — Meraviglioso! — esclamò. — Molly, prenderemo un appuntamento per te con la dottoressa Bacon; ti prescriverà un trattamento ormonale per aiutarti a sviluppare cellule uovo multiple.
— Klimus si alzò in piedi, troncando ogni ulteriore discussione. — Congratulazioni, Mamma — disse a Molly, e poi, manifestando un’inaspettata bonomia, si fece avanti e poggiò un braccio ossuto sulla spalla di Pierre.