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— Che c’è che non va? — chiese Bullen.

Danielson gesticolò verso gli stampati che gli coprivano la scrivania. — Proiezioni per il prossimo anno fiscale — disse con voce secca, roca. — Andremo ancora bene in Oregon e nello stato di Washington, ma questa nuova legge anti-discriminazione genetica ci manderà in rovina qui nella California del nord. Quest’anno ci siamo buscati un vagone di nuove polizze da gente che non avremmo mai assicurato prima, e questo ha incrementato un po’ il nostro reddito per qualche tempo. Ma l’anno prossimo e ogni anno seguente, molta di questa gente comincerà a mostrare sintomi evidenti di malattia, e a presentare richieste di danno. — Fece un sospiro rauco. — Pensavo che fossimo al sicuro da quando Hillary Clinton ha morso la polvere, quella tronfia puttana, ma se l’Oregon o lo stato di Washington adottassero una legge di tipo californiano, be’, all’inferno, non ci resterebbe che chiudere baracca e burattini e andare a casa.

Bullen scosse il capo lentamente. Aveva già sentito prima Danielson infuriarsi così, ma stava andando sempre peggio col passare degli anni. — Abbiamo già cominciato a passare mazzette a Salem e Olympia — disse Bullen, tentando di calmare il vecchio. — E la HIAA sta lottando sodo nel distretto di Columbia contro ogni simile legislazione federale. La legge della California è un’aberrazione, ne sono certo.

Ma Danielson scosse la testa. — Ma non capisci, Craig? Ormai il profitto nelle assicurazioni sanitarie ha i giorni contati. Cristo, avrei voglia di vendere il mio trentatré per cento e mandare tutto all’inferno. — Danielson sospirò ancora, e alzò lo sguardo. — C’era qualcosa per cui volevi vedermi?

— Già — disse Bullen — e in un certo senso è anche a proposito. Abbiamo una lettera di un genetista del… — scorse l’intestazione del foglio — …l’Ernest Orlando Lawrence Berkeley National Laboratory. Contesta la nostra clausola che incoraggia ad abortire feti con difetti genetici.

Il vecchio gesticolò con una mano ossuta di passargli la lettera. Avutala, diede uno sguardo al testo. — «Bioetica» — disse sprezzante. — Si schiarì la gola. — Almeno non ha menzionato Il mondo nuovo.

— Sì, l’ha fatto. È a questo che si riferisce l’espressione «incubo huxleyano».

— Digli di andare all’inferno — disse Danielson, restituendo la lettera al suo protetto. — Gente da torre d’avorio… non hanno la minima idea del mondo reale.

Erano otto settimane che Pierre aveva la copia della fedina penale di Chuck Hanratty che Helen Kawabata gli aveva dato. Era stato ansioso di parlare con la vedova di Bryan Proctor, ma non poteva andare a disturbarla finché non fosse passato un periodo sufficiente dall’omicidio di suo marito.

Ma ora rimpianse di aver aspettato… lei sembrava aver traslocato nel frattempo. Controllò di nuovo l’indirizzo sul pezzo di carta. Nessun dubbio: quello squallido palazzo d’appartamenti, pochi isolati a sud della Chinatown di San Francisco, era il posto dove aveva vissuto Bryan Proctor prima che Chuck Hanratty gli sparasse. Ma sebbene ci fossero ventuno nomi sulla pulsantiera del citofono nell’atrio, nessuno di loro era Proctor. Pierre stava per lasciar perdere e tornarsene a casa quando decise di tentare con la portineria. Premette il pulsante e attese.

— Sì? — disse una voce femminile attraverso un altoparlante pieno di scariche.

— Salve. Sto cercando la signora Proctor.

— Venga dentro. Suite centouno.

Udì qualcosa che scattava dentro la porta, seguito da un fastidioso ronzio. A Pierre balenò un pensiero… certo! Il portiere doveva essere stato Bryan Proctor; ecco perché il suo citofono non era etichettato per nome.

Avanzò attraverso l’atrio. Era un edificio in pessimo stato, con moquette logora e sporca. La suite, se meritava quel nome, centouno era accanto all’unico ascensore. Una donna poderosa, con uno di quei menti a palla da golf che talvolta hanno le persone grasse, era in piedi sulla porta aperta. Indossava dei vecchi jeans e una maglietta bianca sporca. — Sì? — disse, a mo’ di saluto. — L’appartamento vuoto è al secondo piano. Ci servono il primo e l’ultimo mese d’affitto, più referenze.

Pierre aveva visto l’insegna che era disponibile un appartamento con due stanze da letto, quando si era fermato lì davanti. — Non sono qui per questo. Mi perdoni per essere venuto senza chiamare prima, ma il suo numero non è sull’elenco, e io… be’, non so da dove cominciare. Sono terribilmente spiacente per la perdita di suo marito.

— Grazie — disse guardinga, restringendo gli occhi. — Conosceva Bryan?

— No, no, niente affatto.

— Allora, se sta cercando di vendere qualcosa, la prego di lasciarmi sola.

Pierre scosse il capo, meravigliato. — No… no, non è questo. È solo che… be’, vede, sono Pierre Tardivel. La faccia di lei era inespressiva. — E allora?

— Sono l’ultima persona che Chuck Hanratty ha assalito. C’ero quando è morto.

— Ha ucciso lei quel bastardo?

— Uhmm… sì.

Lei si fece da parte. — La prego, entri. Posso offrirle da bere? Caffè? Birra?

Gli fece strada nel soggiorno. Aveva solo due librerie, una contenente trofei di bowling e l’altra soprattutto CD. C’era un libro tascabile aperto a faccia in giù sul tavolino da caffè, un romanzo Harlequin. — Andrebbe bene una birra — disse Pierre.

— Si metta comodo sul divano e gliela prenderò. — La donna scomparve per qualche momento, e Pierre continuò a guardarsi in giro. Copie del «National Enquirer» e di «TV Guide» stavano in cima a un televisore che sembrava vecchio di almeno quindici anni. Non c’erano foto in cornice, ma c’era un poster del Grand Canyon tenuto su con del nastro adesivo ingiallito. Non c’era alcun segno che i Proctor avessero avuto figli.

La signora Proctor tornò e offrì a Pierre una lattina di Budweiser. Lui tirò la linguetta, bevve un sorso, e trasalì. Non si era mai abituato a quel piscio di vacca che gli americani chiamavano birra.

— È meglio così — disse la signora Proctor, sedendosi su una sedia. — Anche se avessero preso Hanratty, sarebbe tornato nelle strade in non più di un paio d’anni. Mio marito è morto, ma non era nessuno di importante. Non avrebbero dato a Hanratty la sedia elettrica per questo.

Pierre non disse nulla per qualche istante, poi: — Hanratty ha aggredito me, me in particolare. Non è stato solo un tentativo a casaccio.

— Oh? La polizia mi aveva detto…

— No, ce l’aveva proprio con me. Lui, ah… mi ha detto così.

I suoi occhi porcini si spalancarono. — Davvero?

— Ma non l’avevo mai incontrato prima in vita mia. Diavolo, è solo un anno che sto in California.

— Che strano accento che ha — disse la donna.

— Oh, be’, sono di Montreal.

— Lassù in Canada?

— Sì.

— Uno dei nostri vecchi inquilini si è trasferito, ha trovato lavoro a Vancouver. Mi domando se lei lo conosca.

Pierre sorrise, condiscendente. — Signora, il Canada è più grande degli Stati Uniti. Vancouver è a una bella distanza da dove vivevo.

— Più grande degli States? Fuori di qui. Gli States sono il più grande paese della Terra.

Pierre roteò gli occhi, ma decise di non discutere oltre. — Comunque — disse — visto che Hanratty ce l’aveva con me in particolare, mi stavo chiedendo se ce l’avesse specificamente anche con suo marito.