— Non vedo perché avrebbe dovuto — disse la donna.
— È stato solo uno scasso, ha detto la polizia. Quel bastardo non si aspettava che mio marito fosse a casa. Probabilmente si immaginava che, essendo portiere e tutto quanto, Bryan avesse un sacco di attrezzi che valesse la pena di rubare. Bryan in apparenza l’ha sorpreso, e lui gli ha sparato.
— Suppongo. Ma se ce l’avesse avuta con suo marito, piuttosto che coi suoi attrezzi?
— E perché mai?
— Be’, non lo so. Mi chiedevo solo se lui e io avessimo qualcosa in comune. Hanratty era membro di un gruppo neonazista. È possibile che non gli andassi a genio perché sono straniero, per esempio.
— Il mio Bryan era nato proprio qui nei buoni vecchi USA. A Lincoln, Nebraska, per essere esatti.
— Da che parte stava in politica?
— Repubblicano, anche se qualche volta non gli andava di alzarsi da tavola per andare a votare.
— E la sua religione?
— Presbiteriano.
— Era andato all’università?
— Bryan? — Lei rise. — Aveva smesso già alle medie.
— Alzò una mano. — Mica vuol dire che era stupido, tenga presente. Era un brav’uomo, e sapeva aggiustare quasi tutto. Ma non aveva fatto molta scuola.
— Ed era più anziano di me, non è vero? — Dipende. Lei è giovane come sembra?
— Ho trentatré anni.
— Be’, il mio Bryan ne aveva quarantanove. — Si fece un po’ malinconica menzionando la sua età. — Non c’è niente di peggio che morire giovani, non crede?
Pierre annuì. Niente di peggio.
Pierre guardò sul bancone del suo laboratorio. Fin da quando era ragazzino, odiava dover fare le pulizie lui stesso. Non era affatto divertente mettere le cose a posto, dopo averle tirate fuori. Ma bisognava farlo. Aveva sparso matracci e storte su tutto il ripiano. E certe attrezzature dovevano essere lavate attentamente; un laboratorio di biologia molecolare era un perfetto terreno di coltura per i germi, dopotutto.
Raccolse le storte e le mise da parte in uno degli armadietti. Poi prese un matraccio e lo portò al lavello, lo risciacquò sotto l’acqua fredda, infine lo appese a una rastrelliera ad asciugarli. Successivamente, prese le sue capsule di Petri e le mise in uno speciale sacchetto dei rifiuti. Tornò al tavolo e tese la mano verso una grossa fiasca, la sollevò, e la osservò cadere dalla sua mano tremante. Schegge di vetro finirono dappertutto e il contenuto della fiasca formò una pozza giallastra sul pavimento in piastrelle.
Pierre imprecò in francese. Sono stanco, si disse. Una lunga giornata. Andò a prendere scopa e paletta, e cominciò a raccogliere i vetri rotti. Stanco. Niente più che questo. Eppure…
A meno che non fosse la fottuta maledetta corea di Huntington, dopo aver finalmente raggiunto la sua testa mostruosa.
No. Non era niente. Niente.
Portò la paletta al secchio delle immondizie e la svuotò.
Domattina, sarebbe tornato tutto a posto.
Certamente, tutto a posto.
22
Pierre e Molly si trovavano in bagno di prima mattina, e guardarono la striscia del test di gravidanza insieme. Un segno azzurro di «più» si materializzò sulla superficie bianca.
— Oui! — disse Pierre.
— Wow — disse Molly. — Wow.
Pierre baciò sua moglie. — Congratulazioni.
— Stiamo per diventare papà e mamma — disse Molly con espressione sognante.
Pierre le carezzò i capelli. — Non avevo mai pensato che questo potesse accadere. Non a me.
— Sarà meraviglioso.
— E sarai una madre straordinaria.
— E tu… sarai un gran papà.
Pierre sorrise a quel pensiero. — Vuoi un maschietto o una femminuccia?
— Sai, probabilmente avremmo potuto chiedere a Burian. Avrebbe potuto dividere il suo sperma, se gliel’avessimo detto. C’è una differenza fra il seme che produce maschi e quello che produce femmine, non è vero? — Pierre annuì. Molly fece una pausa, rimuginando la questione. — Non lo so. Suppongo una femmina, ma è solo per la mia vita familiare, ne sono certa. Mia madre, mia sorella e io siamo state sole per lungo tempo prima che arrivasse Paul. Non sono sicura di come me la caverei con un ragazzino.
— Andresti benone.
— Tu hai una preferenza?
— Io? No, credo di no. Cioè, so che si dice che ogni uomo voglia un figlio con cui giocare a baseball, ma… — Decise di non completare quel pensiero, e la sua voce si spense. — Forse avere una bimba sarebbe più semplice — disse.
— In realtà, non mi importa cosa sia — disse infine Molly, con voce ancora sognante. — Basta solo che sia sano.
Dopo una lunga giornata all’Human Genome Center, Joan Dawson era felice di tornare a casa. Come faceva ogni sera, si era incamminata dalla stazione del BART per percorrere il miglio circa che la divideva dalla sua abitazione. Alla sua età, non poteva permettersi esercizi più faticosi, ma passava tutto il giorno alla sua scrivania di segretaria, e i diabetici dovevano stare attenti al loro peso.
Non c’era quasi nessuno in giro; viveva in un quartiere tranquillo. Quando lei e suo marito avevano comprato casa laggiù nel 1959, c’erano state un sacco di famiglie giovani. Il quartiere era invecchiato con loro; ormai le abitazioni, dopo tutto quel tempo, erano fuori portata delle giovani coppie di oggi. Ora in quella zona abitava soprattutto gente anziana… i fortunati erano ancora marito e moglie, ma molti degli altri, come Joan, avevano perso il proprio consorte nel corso degli anni. Il suo Bud si era spento nel 1987.
Joan risalì il vialetto davanti a casa sua, aprì il coperchio della cassetta postale, tolse la pubblicità, sorrise quando vide che era arrivato l’ultimo numero dell’«Ellery Queen’s Mystery Magazine», annaspò in cerca delle chiavi, ed entrò. Accese la luce della veranda, raggiunse il soggiorno, e…
— Joan Dawson?
Il cuore le schizzò quasi via dal petto, tanto forte si mise a battere. Girò su se stessa. Un giovane bianco con la testa rasata e teschi tatuati sugli avambracci la stava guardando con pallidi occhi azzurri.
Joan stava ancora tenendo la borsetta. Gliela offrì. — Prendila! Prendila! È tutto il mio denaro.
L’uomo indossava una maglietta nera dei Megadeath con sopra un giubbotto, jeans con squarci fatti ad arte e Adidas grigie. Scosse la testa. — Non sono i tuoi soldi che voglio.
Joan prese a indietreggiare, reggendo sempre la borsetta di fronte a sé, come se fosse uno scudo. — No — disse. — No… ci sono dei gioielli di sopra. Un sacco di gioielli. Puoi avere tutto.
Il punk cominciò ad avanzare verso di lei. — Non voglio nemmeno i tuoi gioielli.
Joan era indietreggiata fino al tavolino da caffè col ripiano di vetro. Ci cadde sopra di schiena, e il vetro si infranse con un suono simile allo sparo di un fucile. Riuscì a rimettersi in piedi. Una fitta le giunse dalla caviglia come una pugnalata; nella caduta se l’era storta malamente. — Ti prego — disse, cominciando a lamentarsi. — Ti prego, non quello.
Lo skinhead smise di avvicinarsi per un momento, con in faccia un’espressione schifata. — Non essere disgustosa. Sei tanto vecchia da essere mia nonna.
Joan sentì una fievole speranza riemergere dalla marea di terrore. — Grazie — disse. — Grazie, grazie, grazie… — Adesso aveva indietreggiato contro la ruvida mensola del caminetto.
L’uomo si aprì il giubbotto. In un fodero sotto il braccio aveva un lungo coltello da caccia col manico nero. Estrasse l’arma e si divertì per un istante a far guizzare una scintilla di luce riflessa sul volto agghiacciato di Joan.
Joan brancolò in cerca dell’attizzatoio, lo trovò, lo sollevò di fronte a sé. — Sta’ indietro! — disse. — Che cosa vuoi?