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— Ma anche se Burian fosse questo Ivan Marchenko…

— Se è Marchenko, allora, be’… — Abbassò lo sguardo al ventre di Molly. — Allora è di Marchenko anche il bambino.

— Oh, merda… non ci avevo pensato. Continuo a pensarci come al «tuo» bambino…

Pierre sorrise. — Anch’io. Ma, be’, se è il figlio di Ivan il Terribile, allora… allora forse non dovremmo proseguire la gravidanza.

Erano giunti alla piazza proprio dentro Sather Gate. Pierre fece cenno di andare a riposarsi su una delle panchine piazzate contro il basso muretto. Molly si mise a sedere, e Pierre si sedette accanto a lei, cingendole le spalle con un braccio.

Lei lo guardò. — Lo so che è solo un giorno che sappiamo per certo che sono incinta, ma, be’, mi sono «sentita» incinta fin dall’impianto dell’embrione. E l’avevo atteso così a lungo…

Pierre le accarezzò il braccio. — Potremmo tentare ancora. Andare in una clinica regolare.

Molly chiuse gli occhi. — Tutto quel denaro. E siamo stati così fortunati a riuscire al primo tentativo, questa volta.

— Ma se è il figlio di Marchenko…

Molly si guardò intorno. Nella piazzetta, camminava gente in tutte le direzioni. Dei piccioni camminavano dondolandosi ad appena un paio di metri da loro. Si rivolse di nuovo a Pierre. — Lo sai che ti amo, Pierre, e ammiro il lavoro che fai come genetista. E so che i genetisti credono in «tale il padre, tale il figlio». Ma, be’, conosci la mia specializzazione: psicologia comportamentale, proprio quella che insegnava il buon vecchio B.F. Skinner. Onestamente, credo che non importi chi siano i genitori biologici, finché il bambino è allevato da una madre premurosa e un padre amorevole.

Pierre ci pensò sopra. Avevano già discusso una volta o due, nelle loro lunghe passeggiate serali, se prevalessero i geni o l’ambiente, ma non si era mai aspettato che fosse nulla di più che una questione accademica. E ora…

— Potresti scoprirlo per certo — disse Pierre. — Potresti leggere nei pensieri di Klimus.

Molly scrollò le spalle. — Tenterò, ma lo sai che non posso scavargli nella mente. Deve pensare… in inglese, in pensieri articolati, direttamente a quest’argomento. È tutto qui quello che posso leggere, ricorda. Possiamo cercare di orientare la conversazione in modo tale da rivolgere i suoi pensieri verso il suo passato nazista, ma a meno che non formuli una frase compiuta su questo argomento, non sarò in grado di leggerla. — Prese la mano di Pierre e la posò sul suo ventre piatto. — Ma, indifferentemente, anche se lui è un mostro, il bambino qui dentro è «nostro».

Era il tardo pomeriggio sulla Costa Occidentale, e quindi sera a Washington. Pierre armeggiò col sistema telefonico del DOT per giungere alla casella vocale appropriata. — Qui l’agente Avi Meyer. Sono a Lexington, Kentucky, fino a lunedì otto ottobre, ma sto controllando la mia posta vocale di frequente. Lasciate un messaggio dopo il segnale.

— Signor Meyer, sono Pierre Tardivel al Lawrence Berkeley National Laboratory… si ricorda di me? Guardi, uno dei nostri dipendenti è stato ucciso la notte scorsa. Ho bisogno di parlarle. Mi chiami o qui o a casa. Il numero di qui è…

24

Il funerale di Joan Dawson si tenne due giorni dopo in una chiesa episcopale. Pierre e Molly vi parteciparono. Mentre attendeva che iniziasse il servizio funebre, Pierre si scoprì a ricacciare indietro le lacrime; Joan era stata così gentile, così amichevole, così premurosa…

Arrivò Burian Klimus. Sembrava ingiusto avvantaggiarsi di un’occasione così solenne, ma per Molly le occasioni di vedere Klimus erano poche e distanti fra loro. Quando il vecchio si accomodò in un banco in fondo, Molly e Pierre si alzarono e si spostarono accanto a lui, con Molly proprio al suo fianco.

— È una tale vergogna — disse Molly, a bassa voce. Klimus annuì.

— Eppure — disse Molly — che esistenza dev’essere stata la sua. Qualcuno ha detto che Joan era nata nel 1929. Non riesco a immaginare quanto dev’essere stato spaventoso per una bambina di dieci anni vedere il mondo andare in guerra.

— Non più che per un uomo di ventotto — disse Klimus seccamente.

— Mi dispiace — disse Molly. — Dov’era lei durante la guerra?

— In Ucraina, soprattutto. — «E Polonia.»

— È stato forse in Polonia? — chiese Molly. Klimus la guardò. — La… ah, famiglia di mio padre era lì.

— Sì, per un breve tempo.

— C’era un campo laggiù… Treblinka.

— C’erano diversi campi — disse Klimus.

— Posti terribili — disse Molly. Tentò un approccio differente. — «Burian»… è forse l’equivalente ucraino di «John»? Ogni lingua sembra avere la propria versione di John: «Jean» in francese, «Ivan» in russo.

— No, non lo è. Anche in ucraino, «John» è «Ivan.» — Parve imbarazzato per un momento. — «Burian» in realtà significa «dimora vicino alle erbacce.»

— Oh. Eppure, mi piacciono i nomi ucraini. Sono così musicali. Klimus, Marcynuk, Toronchuk, Mymyrk… «Marchenko.»

«Ivan Marchenko» pensò Klimus. I due nomi scattarono insieme nella sua mente. — Sì, suppongo che lo siano — disse.

— La guerra dev’essere stata terribile, e…

— Non mi piace pensarci — disse Klimus — e… oh, scusatemi. C’è Dean Cowles; devo proprio andarlo a salutare. — Klimus si alzò e si separò da loro.

Mentre Pierre guidava, di ritorno dal cimitero, si voltò a guardare sua moglie. — Be’? Hai avuto fortuna?

Molly si strinse nelle spalle. — È difficile dirlo. Certamente non ha pensato niente tipo: ehi, la mia identità segreta è Ivan il Terribile e ho ucciso centinaia di migliaia di persone. Ciò non è sorprendente, la maggior parte di quelli che hanno fatto cose terribili nel loro passato hanno eretto meccanismi psicologici di difesa per impedire che i ricordi gli tornino in mente. Eppure, conosce il nome «Ivan Marchenko»… ha messo subito insieme queste due parole in testa.

Pierre aggrottò la fronte. — Be’, vedrò Avi Meyer questo pomeriggio. Forse avrà delle risposte concrete sul passato di Klimus.

Avi Meyer volò direttamente a San Francisco dal Kentucky, dove aveva investigato su alcuni ottuagenari membri del Ku Klux Klan. Lui e Pierre si erano messi d’accordo di incontrarsi in privato da Skates, sulla Berkeley Seawall Drive alla Marina. Il ristorante si protendeva sulla Baia, sostenuto da pilastri che non sembravano neanche lontanamente forti abbastanza da tenerlo su. Dei gabbiani erano posati sul bordo del tetto lievemente in declivio, cercando di tenere la presa nel vento che si alzava. Era metà pomeriggio, con un cielo grigio. Presero un tavolo accanto a una delle enormi finestre, che guardavano oltre le acque verso San Francisco.

— Sta bene, agente Meyer — disse Pierre non appena si mise a sedere — so che lei è una specie di cacciatore di nazisti. So anche che sono stato aggredito, e la mia amica Joan Dawson è morta. Mi dica che collegamento c’è… mi spieghi perché sta bazzicando intorno al LBNL.

Avi sorseggiò il caffè. Guardò oltre le piante e fuori dalla finestra. Una portaerei si stava muovendo lungo la Baia, diretta ad Alameda. — Controlliamo di routine i laboratori di genetica universitari e privati.

Pierre inclinò il capo. — Cosa?