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— Quanti più possibile. — Fece una pausa, domandandosi quanta confidenza potesse dare a Helen. Non voleva dire troppo, ma, accidenti, gli «occorreva» il suo aiuto. — La persona che ho in mente è anche indagata dal Dipartimento di Giustizia per essere un sospetto criminale di guerra nazista, e…

— Non scherzi?

— No… il che spiega la connessione coi neonazisti. E, be’, se ha assassinato migliaia di persone cinquant’anni fa, può benissimo averne ordinato di uccidere molte di più oggi.

Helen ci pensò su per un momento, poi scrollò le spalle. — Vedrò quel che posso fare. Ma, guarda, è quasi Natale, ed è il periodo in cui siamo più indaffarati coi crimini, temo. Dovrai essere paziente.

Pierre capì che non era il caso di insistere. — Grazie mille — disse.

Helen annuì. — Uh-huh.

Due mesi dopo

Pierre entrò di fretta dalla porta posteriore della casa. Aveva rinunciato a lottare coi gradini dell’ingresso anteriore un paio di settimane prima. Erano le 5 e 35 del pomeriggio, e andò diritto verso il divano, afferrando il telecomando e accendendo la TV. — Molly! — gridò. — Vieni, presto!

Molly apparve, reggendo la piccola Amanda, che, a otto mesi, aveva acquisito capelli castani ancora più folti. — Che c’è?

— Ho sentito appena prima di lasciare il lavoro che il servizio su Felix Sousa è su «Hard Copy» stasera. Pensavo di arrivare a casa in tempo, ma c’è stato un incidente sulla Cedar.

Uno spot della Chrysler stava giungendo alla fine. Il logo di «Hard Copy» apparve come scritto a macchina, facendo un fastidioso «thunk-thunk» a ogni carattere; poi apparve la conduttrice, una bella bionda di nome Terry Murphy. «Bentornati» disse. «I neri sono forse inferiori ai bianchi? Un nuovo studio dice di sì, e ve ne riferirà la nostra Wendy Di Maio. Wendy?»

Molly si sedette accanto a Pierre sul divano, tenendo Amanda appoggiata a una spalla.

L’immagine cambiò, mostrando qualche sequenza d’archivio dell’UCB dietro Sather Gate, con capelloni figli dei fiori che passeggiavano e un hippie a torso nudo seduto sotto un albero che strimpellava una chitarra.

«Grazie, Terry» disse una voce di donna commentando le immagini. «Nel 1967, l’Università Berkeley di California fu la culla del movimento hippie, un movimento che predicava di fare l’amore, non la guerra, un movimento che abbracciava l’intera famiglia umana.»

L’immagine si dissolse in un’inquadratura moderna, ripresa dalla stessa angolazione. «Oggi, gli hippies sono spariti. Eccovi il nuovo volto dell’UCB.»

A camminare verso la telecamera c’era un uomo bianco di aspetto curato e dalle spalle larghe, sulla quarantina, con indosso un giubbotto da pilota di cuoio nero col colletto rivolto in su e occhiali a specchio da aviatore. — Pierre sbuffò:— Cristo, è perfino vestito alla militare.

La voce della reporter disse: «Questo è il professor Felix Sousa, un genetista di qui. Non c’è pace per le sue ricerche… e non è affatto amato da molti ricercatori e studenti universitari, che l’hanno bollato come razzista».

L’inquadratura cambiò, mostrando Sousa in uno dei laboratori di chimica della Latimer Hall, con matracci e alambicchi sparsi sul bancone di fronte a lui. Pierre sbuffò di nuovo; non aveva mai visto prima Sousa in alcun laboratorio. «Ho dedicato anni a questa ricerca, signorina Di Maio» disse Sousa. La sua voce era quella di una persona colta, la pronuncia meticolosa. «È difficile condensarla in poche semplici affermazioni, ma…»

L’immagine tornò sulla reporter, una donna attraente con la bocca larga e una massa di capelli neri. Lei annuì in segno incoraggiante, incitando Sousa a proseguire. L’inquadratura tornò su Sousa. «Nei termini più semplici, la mia ricerca dimostra che le tre razze dell’umanità sono emerse in tempi diversi. I neri apparvero come gruppo razziale distinto circa duecentomila anni fa. I bianchi, d’altro canto, apparvero per la prima volta centodiecimila anni fa. E gli orientali giunsero sulla scena quarantunomila anni fa. Be’, che c’è da sorprendersi che la razza più antica sia la più primitiva in fatto di sviluppo del cervello?» Sousa distese le mani, palmo in su, come per chiedere al pubblico di usare il suo buonsenso. «In media, i neri hanno i cervelli più piccoli e i più bassi quozienti intellettivi fra tutte le razze. Hanno anche il più alto tasso di criminalità e di promiscuità. Gli orientali, da parte loro, sono i più brillanti, i meno inclini all’attività criminale, e i più casti sessualmente. I bianchi ricadono proprio nel mezzo tra gli altri due gruppi.»

Apparve una sequenza di Sousa che faceva lezione a una classe. Gli studenti… tutti bianchi… sembravano rapiti. «Le teorie di Sousa non si fermano qui» disse la voce della reporter su tutto ciò. «Suggerisce anche che i vecchi miti popolari siano veri.»

Tornarono al nastro dell’intervista. «I neri hanno peni più grandi dei bianchi, in media» disse Sousa. «E dal punto di vista genitale i bianchi sono meglio dotati degli orientali. C’è una proporzione inversa fra le dimensioni dei genitali e l’intelligenza.» Una pausa, e Sousa sorrise, mostrando denti perfetti. «Naturalmente» disse «ci sono sempre eccezioni.»

La voce di Wendy Di Maio si udì ancora: «Gran parte del lavoro di Sousa riecheggia studi più vecchi, altrettanto controversi, come la ricerca resa pubblica nel 1989 da Philippe Rushton (foto di Rushton, un uomo bianco sorprendentemente attraente sulla quarantina), uno psicologo dell’University of Western Ontario in Canada, e le conclusioni del discusso best-seller del 1994 The Bell Curve (foto della copertina del libro)».

Un’inquadratura in esterni: la Di Maio camminava per il campus fra la Lewis Hall e la Hildebrand Hall. «È giusto che una ricerca così ovviamente razzista venga condotta in un’istituzione finanziata pubblicamente? Chiediamolo al presidente dell’università.»

La telecamera inquadrò quella che presumibilmente avrebbe dovuto essere la finestra dell’ufficio del presidente. Poi passò a un primo piano del presidente in una lussuosa stanza, rivestita in legno. Il suo nome e titolo erano in sovraimpressione in fondo allo schermo. L’anziano uomo spalancò le braccia. «Il professor Sousa ha pieno diritto alla sua carica. Ciò significa che ha massima libertà di seguire ogni linea di indagine intellettuale, senza pressioni dell’amministrazione…»

Molly e Pierre guardarono il resto del servizio, e poi Pierre spense il televisore. Scosse lentamente il capo avanti e indietro. — Dio, come mi fa incazzare — disse. — Con tutto il lavoro di prim’ordine svolto all’università, scelgono uno stronzo come quello per fargli pubblicità. E vuoi vedere che c’è gente che penserà che Sousa abbia ragione…

Consumarono la cena in silenzio: lasagne Stouffer fatte al microonde per loro (era Pierre il gourmet di turno) e omogeneizzato Gerber di mela per Amanda. A otto mesi, le era ormai venuto un robusto appetito.

Finalmente, dopo che Molly ebbe messo Amanda a letto, si sedettero a tavola sorseggiando il caffè. Molly, preoccupata per il silenzio di Pierre, disse: — Un centesimo per i tuoi pensieri.

— Pensavo che potessi leggerli gratis — disse Pierre, un po’ aspro. La sua espressione mostrò che immediatamente se ne pentì. — Mi dispiace, amore. Perdonami. Sono solo rabbioso.

— Per cosa…?

— Be’, Felix Sousa, naturalmente: che mi ha fatto pensare a quell’articolo che lui e Klimus scrissero qualche anno fa per «Science» sulle tecnologie riproduttive. E a sua volta, quell’articolo mi ha fatto pensare alla Condor Health Insurance… sai, quella faccenda di incentivare finanziariamente l’aborto dei feti imperfetti. — Fece una pausa. — Se non stessi già manifestando i sintomi della corea di Huntington, cancellerei la mia polizza per protesta.