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Pierre era rosso in volto, e i suoi pugni si aprivano e chiudevano spasmodicamente. Molly non disse nulla.

— È una bambina molto brutta, sapete — disse Klimus.

— Maledetto, «tu» sei un mostro — disse Molly. — Lei è bella.

Klimus non parve udirla. Parlò in toni misurati, guardando prima Molly, poi Pierre. — Sì, avevamo DNA neanderthaliano, ma c’erano ancora molte domande cui non potevamo rispondere. Se i Neanderthal potessero parlare, per esempio. C’è un enorme dibattito al riguardo nella comunità degli antropologi, avreste dovuto sentire Leakey e Johanson. Be’, ora sappiamo. Non potevano comunicare a voce; probabilmente avevano invece un proprio linguaggio dei segni molto efficace. Forse è maggiormente predisposta di noi a comunicare a segni in qualche modo.

«E c’è la più grossa domanda di tutte: sono della nostra stessa specie? Cioè, l’uomo di Neanderthal era un Homo sapiens neanderthalensis… solo una sottospecie, capace di produrre una progenie fertile con un uomo moderno? O erano qualcos’altro… Homo neanderthalensis, una specie interamente diversa, forse in grado di avere un figlio sterile con un uomo moderno, proprio come un cavallo e un asino possono generare un mulo, ma incapace di generare una progenie che potesse riprodursi. Be’, non appena Amanda entrerà nella pubertà, potremo scoprirlo.»

— Fottiti — disse Molly.

Klimus annuì. — Questa sarebbe una possibilità.

Molly si lanciò a mani tese, pronta a uccidere. Pierre scattò e afferrò sua moglie, tenendola indietro. — Non ora — le disse.

— Continueremo la finzione che sia vostra figlia — disse Klimus, per nulla turbato. — Ma le farò visita settimanalmente e registrerò ogni particolare sulla sua crescita e le sue capacità mentali. Quando verrà il momento di dare alla stampa questi dati, farò proprio come farebbe lei, dottoressa Bond, nello studio di un caso psicologico, riferendomi all’esemplare di infante solo come al «Bambino A». Non intraprenderete alcuna azione contro di me; se lo farete, la battaglia per la custodia farà sembrare il processo a O.J. Simpson roba da tribunale di provincia. — Scattò verso Pierre. — E «lei», dottor Tardivel, non mi parlerà mai più con quel tono di voce. Ora, ci siamo capiti?

Pierre, furente, non disse nulla.

Molly guardò suo marito. — Non lasciare che me la tolga. Quando…

Si interruppe di botto, ma a volte si poteva leggere nelle menti anche senza avere il beneficio di alcun talento genetico. «Quando te ne sarai andato, sarà tutto quello che mi rimarrà.»

— Sta bene — disse infine Pierre, a denti stretti. — Andiamocene, Molly.

— Ma…

— «Andiamocene.»

— Passerò questa domenica — disse Klimus. — Oh, e porterò l’attrezzatura per prelevare campioni di sangue. Non vi seccherà, ne sono sicuro.

— Stronzo fottuto.

— Certamente… — disse Klimus, con un’alzata dì spalle… — ma sono «io» che possiedo le ossa di Amanda.

Molly si alzò. Era completamente rossa in volto.

— Andiamo — disse Pierre. Aprì la porta dell’ufficio di Klimus.

Uscirono dalla stanza. Pierre sbatté la porta dietro di loro, prese Molly per mano, e insieme percorsero il corridoio. Raggiunsero il laboratorio di Pierre; Shari era fuori da qualche altra parte.

— Maledetto — disse Molly, scoppiando in lacrime.

— Maledetto, maledetto, maledetto. — Alzò gli occhi verso Pierre. — Dobbiamo trovare qualche modo per sbarazzarci di lui — disse. — Se mai c’è stato un caso giustificato di omicidio…

— Non dire così — disse Pierre.

— Perché no? «So» che stai pensando la stessa cosa.

— Non ero sicuro, prima — disse Pierre — ma ora sì… questo tipo di esperimenti è puro fottuto nazismo. Klimus «deve» essere Marchenko. — Prese la moglie tra le braccia. — Non preoccuparti… morirà, eccome. Ma non toccherà a noi. Saranno gli israeliani a impiccarlo per crimini di guerra.

34

— Giustizia — disse la voce femminile all’altro capo del telefono.

— Avi Meyer, OSI — disse Pierre.

— Mi dispiace, l’agente Meyer non è in ufficio oggi. Desidera…

— La sua casella vocale, allora.

— La collego subito.

— Qui l’agente Avi Meyer. Sono a una riunione a Quantico oggi, e non sarò di ritorno in ufficio fino a domani. Siete pregati di lasciare un messaggio dopo il segnale.

— Signor Meyer, mi chiami il più presto che può. Sono Pierre Tardivel, il genetista del Lawrence Berkeley. Mi contatti immediatamente. È importante. — Pierre lesse il proprio numero, poi riagganciò.

— È fuori città per oggi — disse Pierre a Molly, seduta su uno sgabello del laboratorio. — Lo richiamerò lunedì se non mi chiama lui prima. — Andò verso di lei e l’abbracciò. — Andrà tutto bene — disse. — Ce la caveremo.

Gli occhi di Molly erano ancora iniettati di sangue. — Lo so — disse, annuendo lievemente. — Lo so. — Guardò l’orologio. — Andiamo a prendere Amanda dalla signora Bailey. Voglio tener stretta mia figlia.

Pierre l’abbracciò di nuovo.

La coscienza di Pierre l’aveva tormentato per giorni. Non era come se avesse preso qualcosa di valore. Tuttavia, il rasoio di qualcuno era un oggetto molto personale. Poteva aver significato parecchio per la vedova di Bryan Proctor, un modo importante di ricordarlo. E, be’, se le cose fossero sfuggite di mano con Klimus, e avessero dovuto fuggire in Canada, Pierre non voleva che quell’oggetto rubato continuasse a rodergli la mente. Non era sicuro di che pretesto usare per spiegare una nuova visita, ma se fosse riuscito a tornare nell’appartamento, avrebbe potuto rimettere il rasoio nell’armadietto dei medicinali, magari nascondendolo dietro qualche altra cosa in modo che la sua riapparizione non fosse ovvia.

Raggiunse il cadente palazzo d’appartamenti a San Francisco, entrò nell’ingresso, e premette il pulsante del citofono con la scritta PORTIERE.

— Sì?

— Signora Proctor? Sono Pierre Tardivel.

Silenzio per alcuni secondi, poi il ronzio della porta. Pierre si issò lentamente fino alla suite 101. La signora Proctor lo stava aspettando sulla soglia, con le mani sui fianchi. — Ha preso il rasoio di mio marito — disse seccamente.

Pierre si sentì arrossire in viso. — Mi spiace. Non intendevo mancarle di rispetto. — Tirò fuori di tasca un sacchettino di plastica trasparente con dentro il rasoio. — Sono… sono un genetista; volevo un campione di DNA.

— Per che diavolo farne?

— Pensavo che forse avesse una malattia genetica di cui lei non sapeva nulla.

— E?

— Non ne aveva nessuna. Almeno non una comune, facile da diagnosticare.

— Ed è precisamente quello che le avevo detto. Cos’è questa storia, signor Tardivel?

Pierre avrebbe voluto trovarsi a un milione di chilometri di distanza. — Mi dispiace. È tutto così pazzesco. Mi sento in modo terribile.

Lei continuò a fissarlo, senza battere ciglio, col mento a palla di golf proteso in fuori.

— È solo che avevo questa folle teoria che forse la morte di suo marito e l’attentato alla mia vita fossero collegati. Lei sa che ho una tara genetica, e pensavo che forse l’avesse anche lui.

— Invece no.

— No, era in perfetta salute.

La donna guardò Pierre, con la sorpresa sul volto. — Be’, non lo direi affatto. Era in lista d’attesa per un trapianto di rene.

Pierre sentì il cuore mancare un battito. — «Che?»

— Aveva i reni a pezzi.