Pierre deglutì. — Ereditaria. Lo so.
La testa di Henry si mosse avanti e indietro più rapidamente del normale… un segnale deliberato, ma perso fra le contrazioni muscolari. — Se avessi saputo di averla, io… non mi sarei mai permesso di mettere al mondo un figlio. Mi dispiace. M… mi spiace molto.
Pierre annuì.
— Potresti averla anche tu. Pierre non disse nulla.
— Non c’è nessun test — disse Henry. — Mi dispiace.
Pierre osservò Henry dimenarsi sul letto, con le ginocchia sobbalzanti, il braccio libero che si agitava. Eppure in mezzo a tutto ciò c’era un viso non dissimile dal suo, largo e rotondo, con profondi occhi castani. Si rese conto allora che non sapeva quanti anni avesse Henry. Quarantacinque? Forse anche cinquanta. Certamente non di più. Il braccio destro di Henry prese a sussultare rapidamente. Pierre, non sicuro di cosa fare, lo lasciò andare.
— È… è bello averti finalmente incontrato — disse Pierre, e poi, resosi conto che non avrebbe mai avuto un’altra possibilità, aggiunse un’unica parola: — Papà.
Gli occhi di Henry si fecero umidi. — Hai bisogno di niente? — disse. — Denaro?
Pierre scosse il capo. — Sono a posto. Davvero, volevo solo conoscerti.
Il labbro inferiore di Henry stava tremando. Dapprincipio Pierre non poté dire se fosse solo un movimento dettato dalla malattia o avesse un significato più profondo. Ma quando Henry riprese a parlare, la sua voce fu piena di dolore. — Io… ho dimenticato il tuo nome — disse.
— Pierre — disse lui. — Pierre Jacques Tardivel.
— Pierre — ripeté Henry. — Un bel nome. — Fece una pausa di alcuni secondi, poi disse: — Come sta tua madre? Hai portato una foto?
Pierre scese giù nel soggiorno. Dorothy era seduta in poltrona, leggendo un romanzo di Jackie Collins. Alzò lo sguardo e gli fece un vacuo sorriso.
— Grazie — disse Pierre. — Grazie di tutto. Lei annuì. — Desiderava moltissimo vederti.
— Sono stato molto lieto di incontrarlo. — Si interruppe. — Ma dovrei andarmene adesso.
— Aspetta — disse Dorothy. Prese una busta da un tavolino e si alzò in piedi. — Ho qualcosa per te.
Pierre la guardò. — Gli ho detto che non mi serviva denaro.
Dorothy scosse il capo. — Non è questo. Sono fotografie… dì Henry, di una dozzina di anni fa. Di quando eri un ragazzino. Foto di com’era allora… è come sono sicura che ti piacerebbe ricordarlo.
Pierre prese la busta. Gli occhi gli bruciavano. — Grazie — disse.
Lei annuì, senza riuscire a mascherare il dolore in volto.
3
Pierre tornò a Montreal. Il suo medico di famiglia lo inviò da uno specialista in tare genetiche. Pierre andò a trovare lo specialista, il cui ufficio non era lontano dallo Stadio Olimpico.
— La corea di Huntington è trasmessa da un gene dominante — disse il dottor Laviolette a Pierre, in francese. — Lei ha esattamente il cinquanta per cento di probabilità di contrarla. — Fece una pausa, e si lisciò i capelli grigio acciaio. — Il suo caso è molto insolito… ha saputo solo da adulto di essere a rischio; la maggior parte di quelli a rischio lo sanno già da anni. Come l’ha scoperto?
Pierre rimase in silenzio per un momento, pensando. C’era bisogno di entrare nei dettagli? Dire che aveva appreso in un corso di genetica del primo anno che era impossibile per due genitori dagli occhi azzurri avere un figlio dagli occhi castani? Che aveva messo sua madre, Elisabeth, di fronte a quel fatto incontrovertibile? Che lei aveva confessato di aver avuto una storia con un certo Henry Spade durante i primi anni del suo matrimonio con Alain Tardivel, l’uomo che Pierre aveva conosciuto come padre, un uomo che adesso era morto da due anni? Che Elisabeth, una cattolica, era stata incapace di divorziare da Alain? Che Elisabeth era riuscita a nascondere ad Alain il fatto che quel bambino dagli occhi castani non era suo figlio biologico? E che Henry Spade si era trasferito a Toronto, senza mai sapere di aver generato un bimbo?
Erano troppe cose, e troppo personali. — Solo di recente ho incontrato il mio vero padre per la prima volta — disse semplicemente Pierre.
Laviolette annuì. — Quanti anni ha, signor Tardivel?
— Ne farò diciannove il mese prossimo.
Il dottore si accigliò. — Non c’è alcun test predittivo per la corea di Huntington, temo. Lei potrebbe non avere la malattia. Ma l’unico modo in cui lo scoprirà è quando sarà uscito dalla mezza età senza che si manifestino i segni. D’altro canto, lei potrebbe sviluppare sintomi fra non più di dieci o quindici anni.
Laviolette lo fissò in silenzio. Aveva già spiegato la parte peggiore. La corea di Huntington colpisce circa mezzo milione di individui nel mondo. Distrugge selettivamente due parti del cervello che aiutano a controllare i movimenti. I sintomi, che di norma si manifestano per la prima volta fra i trenta e i cinquant’anni, includono postura anormale, demenza progressiva, e azioni muscolari involontarie; il nome «corea» si riferisce ai movimenti danzanti tipici della malattia. La malattia stessa, o le complicazioni che ne insorgono, finisce per uccidere la vittima; i sofferenti spesso muoiono soffocati dal cibo perché hanno perso la capacità muscolare di inghiottire.
— Signor Tardivel ha mai pensato di uccidersi? — chiese Laviolette.
Le sopracciglia di Pierre si alzarono a quella domanda inaspettata. — No.
— Non intendo adesso, in relazione alla possibilità di contrarre la malattia. Intendo anche prima. Ha mai pensato di uccidersi?
— No. Non seriamente.
— È incline alla depressione?
— Non più di chiunque, immagino.
— Noia? Mancanza di scopo?
Pierre pensò di mentire, ma non lo fece. — Uhmm… sì. Devo ammetterlo, qualcosa del genere. — Si strinse nelle spalle. — La gente dice che sono immotivato, che non ho interesse per la vita.
Laviolette annuì. — Sa chi è Woody Guthrie?
— Chi?
Il dottore fece una faccia indispettita. — Ha scritto Questa terra è la mia terra.
— Oh, già. Certo.
— È morto di corea di Huntington nel 1967. Suo figlio Ario… ha sentito parlare di lui, no?
Pierre scosse il capo.
Laviolette sospirò. — Mi sta facendo sentire vecchio. Ario ha scritto Il ristorante di Alice. Pierre apparve inespressivo.
— Musica folk — disse Laviolette.
— In inglese, senza dubbio — disse Pierre indifferente.
— Peggio ancora — disse Laviolette, con una strizzatina d’occhio. — «Anglo-americano.» Comunque, Ario è probabilmente la persona più famosa a trovarsi nella sua stessa posizione. Ha il cinquanta per cento di probabilità di aver ereditato il gene, proprio come lei. Ne ha parlato una volta in un’intervista sulla rivista «People». Le darò una fotocopia prima di andarsene.
Pierre, incerto di cosa dire, si limitò ad assentire.
Laviolette allungò il braccio verso la penna e il blocco delle ricette. — Le scriverò il numero del locale gruppo di supporto per ammalati; voglio che lei lo chiami. — Copiò un numero di telefono da una piccola guida ai servizi sanitari di Montreal, rilegata in Cerlox, strappò il foglio dal blocco, e lo porse a Pierre. Si fermò per un momento, come se stesse pensando, poi prese un biglietto da visita dal portabiglietti d’ottone sopra la scrivania e scrisse un altro numero telefonico sotto quello prestampato sul biglietto. — E sto anche facendo qualcosa che di solito non faccio mai, signor Tardivel. Questo è il mio personale numero di casa. Se non riesce a trovarmi qui, provi lì… giorno e notte. A volte… a volte le persone prendono molto male notizie come questa. La prego, se dovesse mai pensare di fare qualcosa di avventato, mi chiami. Mi prometta che lo farà, Pierre. — Gli porse il biglietto.