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Ma anche Pierre si sedette, su una poltrona di fronte al divano. — Abbiamo su del caffè. Non ci vorrà neanche un minuto.

Klimus sospirò e allargò le braccia. — Molto bene.

Amanda trotterellò verso sua madre e iniziò ad arrampicarsi sul suo grembo, ma Molly la bloccò. — Vai da tuo padre — disse. Amanda guardò a distanza, pensando ovviamente che la madre a portata di mano andasse altrettanto bene, ma poi sembrò fare lievemente spallucce, e raggiunse Pierre, che la issò in grembo a sé.

— Ci parli un po’ di lei — disse Molly.

— Per esempio?

— Oh, non lo so. Che spettacoli televisivi le piacciono?

— L’unico che guardo è 60 Minutes. Il resto è solo spazzatura.

Le sopracciglia di Pierre si alzarono. Era stato 60 Minutes a trattare per primo la storia di Ivan Marchenko; nessuna meraviglia che Klimus avesse conosciuto quel nome.

— Be’… — disse Klimus impacciato. — Come stanno i vostri amici, i Lagerkvist?

— Stanno bene — disse Molly. — Ingrid parla di passare alla pratica privata.

— Ah — disse Klimus. — E resterebbe a Berkeley?

— Se i Lagerkvist hanno in progetto di trasferirsi — disse Molly — Io stanno tenendo segreto. — Si interruppe un istante. — I segreti sono sempre interessanti, non è vero? — Guardò il vecchio dritto in faccia. — Cioè, tutti abbiamo dei segreti. Io, Pierre, anche la piccola Amanda, sono sicura. E lei, Burian? Qual è il suo segreto?

«Che diavolo le passa per la testa?» pensò Klimus.

— Sa… qualcosa di profondo, qualcosa di nascosto… «È pazza se pensa che mi metta a parlare della mia vita privata…»

— Non so cosa si aspetta che io dica, Molly.

— Oh, niente, in realtà. Sto solo divagando. Solo chiedendomi che cosa anima un uomo come lei. Lo sa che sono una psicologa. Deve perdonarmi per essere attratta dalla mente di un genio.

«Finalmente» pensò Klimus. «Un po’ di rispetto.»

— Voglio dire — proseguì Molly — le persone normali hanno segreti di ogni genere… cose sessuali…

«Cristo, non riesco neanche a ricordare l’ultima volta che ho fatto sesso…»

— Segreti finanziari… magari barare un pochino sulla vecchia tassa sul reddito…

«Non più di chiunque altro…»

— O segreti riguardo il lavoro…

«Il miglior dannato lavoro del mondo, professore universitario. Viaggi, rispetto, denaro, potere…»

— Segreti riguardo le sue ricerche… «Non ultimamente…»

— Le sue ricerche precedenti…

«Il premio avrebbe dovuto essere mio comunque…»

— Riguardo… il suo Premio Nobel, forse?

«Segreti che Tottenham si è portata nella tomba…»

Molly lo guardò direttamente negli occhi. — Chi è Tottenham?

La pelle incartapecorita di Klimus mostrò un po’ di colore. — Tottenham…

— Già, chi è?

«Cristo, che sta…» — Non conosco nessuno di nome…

Amanda stava giocando con le dita di Pierre. D’improvviso lui parlò. — Tottenham… non Myra Tottenham?

Molly guardò suo marito. — Conosci quel nome?

Pierre si accigliò, pensando. Dove l’aveva già sentito?

— Una biochimica di Stanford, negli anni ’60. Ho letto di recente un suo vecchio articolo.

Gli occhi di Molly si restrinsero. Aveva dato una scorsa alla biografia di Klimus sul Who’s Who, per prepararsi a quel giorno. — Non era anche lei a Stanford negli anni Sessanta? — disse. — Cos’è successo a Myra Tottenham?

— Oh, «quella» Tottenham — disse Klimus. Si strinse nelle spalle. — È morta nel 1969, penso. Leucemia. — «Quella frigida cagna.»

Molly aggrottò la fronte. — Myra Tottenham. Bel nome. Lavoravate insieme? «Ci ho provato.» — No.

— È triste quando qualcuno muore in quel modo. «Non per me.» — La gente muore di continuo, Molly.

— Si alzò in piedi. — Ora devo proprio andarmene.

— Ma il caffè… — disse Pierre.

— No. No, devo scappare adesso. — Si avviò verso la porta d’ingresso. — Arrivederci.

Molly lo seguì alla porta. Una volta che se ne fu andato, tornò in soggiorno e batté le mani. Ancora sulle ginocchia del padre, Amanda si voltò a guardarla, sorpresa da quel suono. — Be’? — disse Pierre.

— So che non potrò mai distoglierti dall’hockey… ma il mio sport preferito è curiosare.

— Quant’è lontana Stanford? — chiese Pierre. Molly scrollò le spalle. — Non molto. Quaranta miglia.

Pierre baciò sua figlia sulla guancia e le parlò con voce tranquillizzante: — Presto non dovrai più vedere quel vecchio malvagio.

Pierre non poteva fare il lavoro da sé; richiedeva una mano troppo ferma. Ma il LBNL aveva un’intera officina meccanica; al Lawrence Berkeley veniva svolta una vasta gamma di operazioni, e attrezzi e parti progettati su misura dovevano essere costruiti di continuo. Pierre fece schizzare a Shari un disegno basato sulla sua descrizione verbale, e poi prese il bus navetta fino all’UCB, dove fece visita alla Stanley Hall, sede del laboratorio di virologia dell’università. L’aveva pensata giusta: quel laboratorio aveva le siringhe con gli aghi più fini che avesse mai visto. Ne prese alcune e si diresse di nuovo in officina.

Il capo officina, un ingegnere meccanico di nome Jesus DiMarco, diede un’occhiata al rudimentale abbozzo di Pierre e suggerì tre o quattro perfezionamenti, poi andò a stilare l’ordinazione. Il LBNL era un laboratorio governativo, e ogni cosa generava scartoffie. — Come lo chiamiamo ’sto affare? — chiese DiMarco.

Pierre aggrottò la fronte, pensando. Poi: — Un joybuzzer.

DiMarco ridacchiò. — Carino — disse.

— Solo, mi chiami ku — disse Pierre.

— Che?

— Sa… — Fischiettò il tema di James Bond.

DiMarco rise. — Vuol dire Q. — Alzò gli occhi all’orologio a muro. — Torni quando vuole dopo le tre. Sarà pronto.

— Redazione — disse la voce maschile.

— Barnaby Lincoln — disse Pierre al telefono. — È un reporter finanziario.

— In questo momento è fuori, e… oh, aspetti. Eccolo che arriva. — La voce urlò nel telefono; Pierre odiava la gente che non copriva il microfono quando gridava. — Barney! Chiamata per te! — Il telefono fu lasciato cadere su una superficie dura.

Pochi attimi dopo fu raccolto.

— Lincoln — disse la voce.

— Barnaby, sono Pierre Tardivel del LBNL.

— Tardivel! Lieto di sentirla. Ha ripensato a quello di cui parlavamo?

— Sono interessato, sì. Ma non è per questo che sto chiamando. Per prima cosa, comunque, grazie per le foto di Danielson. Erano fantastiche.

— È per questo che mi pagano dei bei verdoni — disse Lincoln, con voce inespressiva.

— Tuttavia, ho bisogno che lei faccia un’altra cosa per me.

— Sì?

— Le capiterà presto di intervistare Abraham Danielson?

— Diamine, non intervisto il vecchio da… eh, devono essere sei anni ormai.

— Accetterebbe di vederla, se lei lo chiamasse?

— Credo di sì, certo.

— Può ottenere un appuntamento? Può riuscirci? Anche per soli cinque minuti?

— Certo, ma perché?

— Organizzi tutto. Ma passi prima dal mio laboratorio. Le spiegherò ogni cosa quando sarà qui.

Lincoln ci rimuginò sopra per un momento. — Sarà meglio che ne esca un buon servizio — disse infine.

— Il termine «Pulitzer» le dice qualcosa? — disse Pierre.

La segretaria scortò Barnaby Lincoln nell’ufficio di Abraham Danielson.