— Esattamente. Ma, sa, può sembrare crudele, ma in questo caso particolare, forse è una benedizione.
— Uh?
— Sua figlia dice che ha dimenticato tutto di Treblinka. Per la prima volta da oltre cinquant’anni, riesce a dormire per tutta la notte.
Pierre non seppe cosa rispondere. Dopo pochi attimi, disse: — Quando partirà per Israele?
— Fra circa tre ore.
— Spero che avrà miglior fortuna laggiù.
La voce di Avi era stanca. — Anch’io. Ci sono stati solo cinquanta superstiti di Treblinka, e oltre trentacinque di questi sono trapassati durante questi anni. Ne rimangono solo quattro che in precedenza non avessero erroneamente identificato Demjanjuk come Ivan… e Chudzik era uno di questi quattro.
— Che succederà al nostro caso se non otterremo un’identificazione certa?
— Evaporerà. Consideri tutte le prove che avevano contro OJ. Simpson… non ha fatto nessuna differenza per la giuria. Senza testimoni oculari, falliremo. E intendo proprio testimoni, al plurale. Gli israeliani non ci presteranno attenzione a meno che non otteniamo almeno due identificazioni indipendenti.
— Cristo — disse Pierre sottovoce.
— In questo momento — disse Avi — accetterei anche il suo aiuto.
Avi Meyer aveva trascorso gli ultimi giorni a litigare per questioni di giurisdizione con Izzy Tischler, un detective in abiti borghesi della Divisione Investigativa sui crimini nazisti della polizia israeliana. Adesso erano pronti a tentare la loro prima identificazione. Tischler era un alto, snello quarantenne dai capelli rossi; Avi portava un gran cappello di tela, tentando di proteggersi dal sole bruciante. Scesero lungo la stretta stradina, a fianco di case di mattoni gialli con piccoli balconi, stretti proprio l’uno contro l’altro. Due ebrei ortodossi camminavano lungo il sentiero, e un arabo si dirigeva nell’altro senso. Non si degnarono di un’occhiata mentre passavano.
— Eccoci qui — disse Tischler, controllando il numero della casa con un indirizzo che si era scritto su un post-it tenuto in mano e piegato in modo che la striscia adesiva fosse coperta. La porta era solo un metro più indietro della strada. Erbacce crescevano dalle crepe sul marciapiede di pietra, ma lo sguardo di Avi fu catturato dalla bellezza della ceramica decorata dello stipite. Bussò. Circa mezzo minuto dopo, apparve una donna di mezza età.
— Shalom — disse Avi. — Il mio nome è Avi Meyer, e questo è il detective Tischler, della polizia israeliana. È in casa Casimir Landowski?
— Lui è di sopra. Che storia è questa?
— Potremmo parlargli?
— Di che cosa?
— Ci occorre solo che identifichi alcune foto.
La donna di mezza età guardò prima l’uno e poi l’altro. — Avete trovato Ivan Grozny — disse di colpo.
Avi si inchinò leggermente. — È importante che l’identificazione sia esente da pregiudizi. Casimir Landowski è suo padre?
— Sì. Mio marito e io ci prendiamo cura di lui da quando è morta sua moglie.
— Suo padre non deve sapere in anticipo chi gli stiamo chiedendo di identificare. Se lo sapesse, gli avvocati della difesa sarebbero in grado di far dichiarare nulla la sua testimonianza. La prego, non gli dica una parola.
— Lui non potrà aiutarvi.
— Per quale motivo?
— Perché è cieco, ecco il motivo. Complicazioni del diabete.
— Oh — disse Avi, sentendosi sprofondare. — Mi dispiace.
— Anche se potesse vedere — disse la donna — non sono sicura che vi lascerei parlargli.
— Perché?
— Abbiamo guardato il processo di John Demjanjuk in TV. Quand’è stato, dieci anni fa o di più? Allora poteva vedere, e sapeva che avevate preso il tipo sbagliato. Gli avevano mostrato foto di Demjanjuk, e aveva già detto che non era Ivan.
— Lo so. Ecco perché la sua testimonianza sarebbe stata molto importante, stavolta.
— Ma l’ha ridotto uno straccio, guardare quel processo. Tutte quelle storie su Treblinka. Non me ne aveva mai parlato: in tutta la vita, non mi aveva mai detto una parola. Ma stava lì seduto, impalato, un giorno dopo l’altro, ad ascoltare i racconti. Conosceva alcuni di quelli che stavano parlando. Ascoltarli raccontare le cose che faceva quel macellaio: omicidi, stupri e torture. Pensava che se non ne avesse mai parlato, in qualche modo sarebbe riuscito a separare tutto ciò dalla sua vita, tenerlo isolato da tutto il resto. Dover rivivere tutto quanto di nuovo, anche dal suo confortevole salotto, l’ha quasi ucciso. Chiedergli di rifarlo un’altra volta è una cosa che non farei mai. Ha novantatré anni; non sopravviverebbe.
— Mi spiace — disse Avi. Guardò la donna, tentando di valutarne l’attendibilità. Gli balenò in mente che forse quell’uomo non era davvero cieco. Magari lei stava solo cercando di proteggerlo. — Mi… ah… piacerebbe parlare ugualmente con suo padre, se posso. Sa, solo per stringergli la mano. Ho fatto un sacco di strada dagli Stati Uniti.
— Lei non mi crede — disse la donna, nello stesso tono brusco che aveva usato prima. Ma poi alzò le spalle. — Vi lascerò parlargli, ma non potrete dire neanche una parola sul perché siete qui. Non posso permettervi di metterlo in agitazione.
— Prometto.
— Entrate, allora. — Si diresse di sopra, e Avi e Tischler la seguirono. L’uomo era seduto in poltrona di fronte a un televisore. Avi pensò che la donna avesse mentito, ma presto fu evidente che non stava guardando la TV. C’era un talk show in ebraico. L’intervistatrice, una giovane donna, stava chiedendo ai suoi ospiti delle loro prime esperienze sessuali. L’uomo ascoltava assorto. In un angolo della stanza, un bastone bianco stava appoggiato al muro.
— Abba — disse la donna — vorrei presentarti due persone. Erano di passaggio in città. Miei vecchi amici.
L’uomo si alzò lentamente, penosamente, in piedi. Non appena si drizzò, Avi gli vide gli occhi. Erano completamente velati. — È un grande piacere incontrarla — disse Avi, prendendo la mano rinsecchita dell’uomo. — Un grande piacere.
— Il suo accento… lei è americano?
— Sì.
— Cosa la porta in Israele? — chiese l’uomo, a voce bassa.
— Solo turismo — disse Avi. — Sa… la storia.
— Oh, già — disse il vecchio. — Ne abbiamo tanta, di quella.
Il telefono nel laboratorio di Pierre squillò. Andò a rispondere strascicando i piedi. — Pronto?
— Tardivel?
— Salve, Meyer. Qual è il punteggio?
— Forze del bene, zero. Forze del male, due.
— Niente identificazione?
— Non ancora. Il secondo tizio è cieco. Complicazioni del diabete, ha detto sua figlia.
Pierre sbuffò.
— Che c’è di tanto divertente?
— Non è divertente, in realtà. Solo ironico. Il primo aveva l’Alzheimer e quest’altro ha il diabete. Sotto l’identità di Danielson, Marchenko discrimina le persone che hanno queste stesse malattie e ora queste malattie lo stanno salvando.
— Già — disse Avi. — Be’, speriamo che le cose migliorino. Ci restano solo due possibilità.
— Mi tenga informato.
— Lo farò. A risentirci.
Pierre tornò al tavolo luminoso, chinandosi sulle due autoradiografie. Continuò a esaminarle per ore, ma quando ebbe finito, si distese sullo schienale e annuì soddisfatto fra sé. Era esattamente quello che si era aspettato.
Al ritorno di Meyer negli States, Pierre avrebbe avuto una fottuta sorpresa per lui.
Mever e il detective Tischler guidarono fino a Gerusalemme per il loro prossimo tentativo. Tutti gli edifici erano fatti di pietra… c’era un’ordinanza che lo richiedeva; al tramonto, la luce riflessa dalla pietra trasformava Gerusalemme nella favoleggiata Città d’Oro. Trovarono la vecchia casa che stavano cercando e bussarono alla porta. Pochi momenti dopo un giovanetto, forse di tredici anni, apparve, con indosso una maglietta di Melrose Place. Avi scosse lievemente il capo. Era sempre sorpreso di quanto fosse invasiva la cultura pop americana, ovunque viaggiasse.