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— Intende dire se sto pensando di togliermi la vita, non è vero?

Il dottore annuì.

Pierre prese il biglietto. Con sua grande sorpresa, la mano gli stava tremando.

Più tardi quella notte, Pierre si ritrovò solo nella sua stanza. Non era nemmeno riuscito a finire di spogliarsi per andare a letto. Rimase a fissare il vuoto, senza mettere a fuoco, senza pensare.

Era ingiusto, dannazione. Totalmente ingiusto.

Cos’aveva fatto per meritare questo?

C’era un piccolo crocifisso sulla porta della sua camera; era stato lì fin da quando era ragazzino. Alzò gli occhi al minuscolo Gesù, ma non c’era senso pregare adesso. Il dado era tratto; quel che era fatto era fatto. Se avesse quel gene o no era stato determinato quasi vent’anni prima, al momento stesso del suo concepimento.

Pierre aveva comprato un LP di Ario Guthrie e l’aveva ascoltato. Non era stato in grado di trovare alcun Woody Guthrie nel negozio, ma la biblioteca di Montreal aveva un vecchio album di un gruppo chiamato gli Almanac Singers di cui Woody una volta aveva fatto parte. Sentì anche quello.

La musica degli Almanac Singers sembrava piena di speranza; la musica di Ario pareva triste. Poteva andare in un modo o nell’altro.

Pierre aveva letto che la maggior parte dei sofferenti di corea di Huntington concludevano le loro vite in ospedale. La degenza media prima della morte era di sette anni.

Fuori, il vento stava fischiando. Un ramo dell’albero vicino alla casa oscillò avanti e indietro attraverso la finestra, come una contorta mano ossuta che gli facesse segno di seguirla.

Non voleva morire. Ma non voleva nemmeno trascinarsi per anni di sofferenze.

Pensò a suo padre… il suo vero padre, Henry Spade. Che si dibatteva nel letto, con le facoltà mentali che gli scivolavano via.

Gli occhi gli si posarono sulla scrivania dal ripiano bianco, presa da Consumers Distributing. Su di essa c’era la copia dei Miserabili, che aveva appena finito di leggere per il suo corso di letteratura francese. Jean Valjean aveva rubato una pagnotta di pane, e non importava cosa facesse, non poteva sottrarsi alle conseguenze di quel gesto; fino al giorno della sua morte, sarebbe rimasto segnato. Anche la vita di Pierre era segnata, in un modo o nell’altro, ma non c’era alcun modo per scoprire quale. Se fosse stato come Valjean — se fosse stato un galeotto — allora anche lui avrebbe avuto un Javert a inseguirlo senza posa, destinato infine a raggiungerlo.

Nel libro, i ruoli si erano capovolti, ed era stato l’ispettore Javert a finire per scegliere la sola via d’uscita, piombando da un parapetto nelle acque ghiacciate della Senna sottostante.

La sola via d’uscita…

Pierre si alzò, avanzò a passi strascicati fino alla scrivania, accese una lampada montata su un braccio snodabile bianco, e trovò il biglietto di Laviolette col numero di casa del dottore scritto sopra. Fissò il biglietto, rileggendolo ancora e poi ancora.

La sola via d’uscita…

Tornò di nuovo verso il letto, si sedette sul bordo, e ascoltò un altro po’ il vento. Senza mai abbassare lo sguardo per vedere che stesse facendo, cominciò a passarsi di taglio il biglietto avanti e indietro sulle vene del polso sinistro, più e più volte, come se fosse una lama.

4

Quando aveva diciott’anni, Molly Bond era stata studentessa di psicologia all’Università del Minnesota. Risiedeva nel college anche se la sua famiglia era proprio lì a Minneapolis. Già da prima, non poteva sopportare di stare nella stessa casa con loro: non con una madre che la disapprovava, non con l’oziosa sorella Jessica, non col nuovo marito di sua madre, Paul, i cui pensieri su di lei erano spesso tutt’altro che paterni.

Eppure, c’erano certi eventi familiari che la costringevano a tornare a casa. Oggi era uno di quelli. — Buon compleanno, Paul — disse, chinandosi a dare al suo patrigno un bacio sulla guancia. — Ti voglio bene.

«Dovrei rispondere alla stessa maniera.» — Anch’io te ne voglio, tesoro.

Molly si discostò, tentando di impedire che il suo sospiro le sfuggisse udibilmente. Non era un granché come festa, ma forse avrebbero fatto meglio l’anno seguente. Quello era il quarantanovesimo compleanno di Paul; avrebbero dovuto cercare di commemorare il grande cinquantesimo con più stile.

Se a quel punto Paul ci fosse stato ancora, cioè. Quel che Molly aveva voluto percepire quando si era chinata a baciare Paul era «Anch’io ti voglio bene», spontaneo, istintivo, non premeditato. Ma no. Invece aveva sentito: «Dovrei rispondere alla stessa maniera», e poi, un momento dopo, le parole parlate, false, artificiali, piatte.

La madre di Molly venne fuori dalla cucina portando una torta… una torta di carote, la preferita di Paul, con una corona del giusto numero di candele, inclusa una per buona fortuna, disposte proprio come le stelle su una bandiera americana. Jessica aiutò Paul a togliere di mezzo i suoi regali.

Molly non poté resistere. Mentre sua madre cincischiava per preparare la macchina fotografica, sì spostò fino a stare proprio accanto al patrigno, facendolo entrare di nuovo nella sua zona. La madre di Molly disse: — Ora esprimi un desiderio e soffia sulle candeline.

Paul chiuse gli occhi. «Vorrei» pensò «non essermi mai sposato.» Espirò sulle fiammelle, e il fumo si alzò verso il soffitto.

Molly non fu affatto sorpresa. Al principio aveva pensato che Paul avesse un’altra donna: spesso faceva tardi al lavoro, di sera, o scompariva tutto il giorno di sabato, dicendo di stare andando in ufficio. Ma la verità, per certi versi, era ancora peggio. Non usciva per stare con qualcun’altra; piuttosto, era solo che non voleva stare con loro.

Cantarono Happy Birthday e poi Paul tagliò la torta.

I pensieri della madre di Molly non erano migliori. Sospettava che Molly potesse essere lesbica, dato che raramente la si vedeva con uomini. Odiava il suo lavoro, ma fingeva che le piacesse, e nonostante sorridesse quando porgeva denaro a Molly per aiutarla nelle spese universitarie, si risentiva di ogni dollaro. Le rammentava quanto avesse lavorato duramente per mantenere il suo primo marito, il padre di Molly, alla scuola aziendale.

Molly guardò di nuovo Paul e capì che non poteva realmente biasimarlo. Anche lei voleva andarsene da quella famiglia… lontano, molto lontano, così da poter evitare anche i compleanni e il Natale. Paul le offrì un pezzo di torta. Molly lo prese e si portò all’estremità opposta della tavola, sedendosi da sola.

Assillato dai suoi problemi personali, Pierre non riuscì in nessuno dei corsi del primo anno. Andò a trovare il decano degli studi universitari e spiegò la sua situazione. Il decano gli diede una seconda possibilità: la McGill offriva un piano di studi ridotto nella sessione estiva. Pierre se la sarebbe cavata con un paio di esami, ma si sarebbe ritrovato sulla strada buona per il settembre successivo.

E così Pierre si ritrovò di nuovo in un corso introduttivo di genetica. Per coincidenza, lo stava tenendo lo stesso professore straordinario, di lingua inglese, che in origine aveva dissertato sull’ereditarietà del colore degli occhi. Pierre non si era mai distinto per l’attenzione prestata in classe; i suoi vecchi quaderni contenevano soprattutto punteggi scarabocchiati di squadre di hockey. Ma quel giorno stava realmente cercando di ascoltare, almeno con un orecchio.

— Era il più grande enigma della scienza nei primi anni Cinquanta — disse il professore. — Che forma assumeva la molecola di DNA? Era una corsa contro il tempo, con molti luminari, incluso Linus Pauling, che lavoravano al problema. Sapevano tutti che chiunque scoprisse la risposta sarebbe stato ricordato per sempre…