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Danielson guardò Pierre, senza espressione. — Lei è pazzo — disse infine.

Pierre non disse nulla. Le sue mani danzavano.

Danielson allargò le braccia. — Lei soffre della corea di Huntington, non è vero? È una malattia degenerativa del sistema nervoso che ha un devastante effetto sulle facoltà mentali. Qualunque cosa lei pensi di sapere non è, senza dubbio, che un prodotto della sua condizione.

Pierre aggrottò la fronte. — Come no? Ho fatto un sacco di ricerche, riguardo gli omicidi insoluti negli ultimi anni. Uno sproporzionato numero dei morti aveva tare genetiche, o era in attesa di costosi trattamenti medici. E la maggior parte di costoro era assicurata dalla Condor. E so che di routine prendete in segreto campioni di cellule cutanee dai nuovi assicurandi. Se qualcuno ha un cattivo DNA, o richiede una terapia costosa, lei lo fa uccidere.

— Su, su, signor Tardivel. Quel che sta proponendo è mostruoso, e io le assicuro che non sono un mostro.

— No? — disse Pierre. — Cosa faceva esattamente durante la Seconda guerra mondiale?

— Non che sia cosa che la riguardi, ma ero un insignificante soldato dell’Armata Rossa in Ucraina.

— Stronzate — disse Pierre. Lasciò che quella parola restasse sospesa fra loro per qualche secondo. — Il suo vero nome è Ivan Marchenko. È stato addestrato a Trawniki e dislocato a Treblinka.

— «Ivan Marchenko» — disse Danielson, pronunciando ogni sillaba con cura. — Di nuovo, è un nome che non mi è familiare.

— Certo. E suppongo che non conosca nemmeno il nome Ivan Grozny.

— Ivan… sarebbe Ivan il Terribile, no? Non è stato il primo zar di Russia? — Il volto di Danielson era composto.

— Ivan il Terribile era un operatore delle camere a gas nel campo di sterminio di Treblinka, in Polonia, dove vennero uccise ottocentosettantamila persone.

— Questo non ha niente a che fare con me.

— Ci sono dei testimoni.

— Di eventi che ebbero luogo mezzo secolo fa? Andiamo.

— Io posso provare entrambe le accuse contro di lei… gli omicidi legati alle polizze, e che lei è Ivan. La questione è… quale vuole ammettere? Crede di avere migliori possibilità qui in un tribunale californiano, o in Israele in un processo per crimini di guerra?

— Lei è pazzo.

— L’ha già detto prima.

— Qualunque buon avvocato difensore farebbe in polpette uno che siede al banco dei testimoni con una malattia al cervello.

Pierre scrollò le spalle. — Be’, se la mia storia non le interessa, la darò ai giornali. Conosco Barnaby Lincoln del «Chronicle». — Iniziò il lento processo di alzarsi dalla poltrona.

Gli occhi di Danielson si restrinsero. — Che cosa vuole?

Pierre si rimise giù di nuovo. — Ah, ora sì che ragioniamo. Quello che voglio, Ivan, sono cinque milioni di dollari… abbastanza per provvedere a mia moglie e mia figlia dopo che la corea di Huntington mi avrà finalmente portato nella tomba.

— È un sacco di soldi.

— Comprerà il mio silenzio.

— Se sono il mostro che lei crede io sia, cosa le fa pensare di poter mai farla franca dopo avermi ricattato? Se ho ucciso tutte le persone che ha detto, di sicuro non mi tratterrei dall’uccidere lei. — Si interruppe e poi guardò direttamente Pierre. — O sua moglie e sua figlia.

Per una volta, Pierre fu lieto della sua corea; mascherava il fatto che stava tremando dalla paura. — Ho preso delle precauzioni. Le informazioni sono nelle mani di persone di mia fiducia, sia qui negli States che in Canada, gente che non troverà mai. Se succedesse qualcosa a me o alla mia famiglia, hanno istruzioni di renderle pubbliche.

Danielson rimase zitto per lungo tempo. Finalmente, disse: — Non sono un uomo cui piaccia farsi mettere alle strette.

Pierre non disse nulla.

Il vecchio restò in silenzio un altro po’. Infine: — Mi dia una settimana per prepararmi, e…

Proprio allora, la porta dell’ufficio si aprì di botto. Entrò una robusta guardia in uniforme della sicurezza. Danielson si alzò in piedi. — Che succede?

— Perdoni l’interruzione, signore, ma abbiamo individuato un trasmettitore in questa stanza.

Danielson socchiuse gli occhi. — Perquisitelo — scattò. E poi, a voce alta, come per accertarsi che anche quello venisse registrato: — Non ho ammesso nulla. Mi sono semplicemente preso gioco di un individuo mentalmente minorato.

La guardia afferrò Pierre sotto la spalla sinistra, lo sollevò di peso dalla poltrona, e iniziò a dargli rudi pacche sugli abiti. In pochi attimi, trovò il piccolo radiomicrofono agganciato all’interno della camicia di Pierre. Lo strappò via e lo tenne in modo che Danielson lo vedesse.

Pierre tentò di fare il coraggioso. — Non importa. Ci sono ben sette fra poliziotti e agenti governativi che aspettano fuori dall’edificio di prelevarla per l’interrogatorio, e abbiamo due sue identificazioni certe dei superstiti di Treblinka…

Danielson picchiò il pugno sulla scrivania. Dapprima Pierre pensò che fosse un gesto di frustrazione, ma una piccola sezione del ripiano scattò in alto, rivelando all’interno una piccola consolle di comandi. Danielson batté su una serie di bottoni, e all’improvviso una sottile parete metallica calò giù dal soffitto come una lama, proprio di fronte alle ginocchia di Pierre. Se i suoi piedi non fossero appena scattati indietro a causa della corea, sarebbero stati troncati in due.

La guardia apparve sbigottita e così anche Pierre, ma Marchenko/Danielson era un fuggitivo multimiliardario che aveva avuto cinquant’anni per prepararsi a ogni eventualità. Senza dubbio c’era un’uscita segreta nella parte di ufficio in cui ancora si trovava.

— Andiamo, amico — disse la guardia, ficcandosi in tasca il microfono e agguantando di nuovo Pierre rudemente per il braccio. Scaraventò Pierre fuori dall’ufficio di Danielson, oltre la sua sbalordita segretaria, attraverso l’anticamera e fino all’ascensore. L’uomo menò un colpo al pulsante per chiamarlo, ma il quadratino di plastica non si illuminò. Tentò ancora, poi imprecò. Marchenko doveva aver messo fuori uso gli ascensori per rallentare l’arrivo fin lassù degli agenti dell’osi. Gli ci sarebbe voluto un po’ ad arrampicarsi per trentasette piani, anche se fossero potuti entrare nell’edificio superando gli uomini della sicurezza di Marchenko.

La corpulenta guardia lasciò andare Pierre, che, senza il suo bastone rimasto nell’ufficio di Marchenko, immediatamente crollò al suolo. La guardia lo fissò con un’espressione di disgusto sul volto. — Cristo, sei un fottuto storpio, non è vero? — disse. Guardò di nuovo le porte chiuse dell’ascensore, come se pensasse, poi di nuovo Pierre. — Suppongo che tu non possa fare alcun danno se ti lascio quassù. — Girò l’angolo. Pierre poté udire aprirsi una porta e i piedi dell’omone risuonare sulle scale mentre si dirigeva giù, presumibilmente nell’atrio per unirsi alla difesa dell’ingresso dell’edificio.

Pierre restò tutto solo accanto all’ascensore. Alzò lo sguardo, comunque, e poté vedere la segretaria di Marchenko attraverso le porte a vetri dell’anticamera. Lo stava guardando, come se fosse incerta di cosa fare. Lui tese una mano verso di lei. Lei si alzò, gli voltò le spalle, e scomparve nell’ufficio del suo capo. Pierre sospirò. Avrebbe voluto solo poter giacere lì senza muoversi, ma le sue gambe stavano danzando incessantemente e la testa gli ballonzolava a destra e a sinistra.

La donna riapparve, stava tenendo il bastone di Pierre! Lo raggiunse e lo aiutò a rimettersi in piedi. — Non so cosa non vada — disse — ma nessuno dovrebbe trattare una persona come stanno trattando lei.