Pierre prese il bastone e vi si appoggiò. — Merci — disse.
— Che succede? — chiese lei. — Che fine ha fatto il signor Danielson?
— Sapeva di quella parete di emergenza?
Lei scosse il capo. — Sono rimasta terrorizzata a sentirla venir giù. Credevo che stessimo avendo un altro terremoto.
— Potrebbero esserci uomini armati che entrano nell’edificio — disse Pierre. — Dovrebbe allontanarsi da qui. Scenda di qualche piano e trovi un posto per nascondersi.
Lei lo guardò, sopraffatta dagli avvenimenti. — Lei sta bene?
Lui tentò di fare spallucce, ma quel gesto fu perso fra la corea. — Questo è il meglio che posso. — Agitò un braccio verso la tromba delle scale. — Vada, si metta da qualche parte al sicuro.
Lei annuì e sparì girato l’angolo. Pierre non era sicuro di che fare in seguito. Decise di trascinarsi fino alla scrivania della segretaria. Sollevò il telefono, ma anche quello era muto.
Pierre cercò di immaginarsi la scena sottostante, gli agenti e poliziotti che sciamavano dall’ingresso anteriore, facendo lampeggiare i distintivi, di sicuro si sarebbero precipitati dentro sentendo che il microfono era stato scoperto. Stavano cercando di oltrepassare le guardie che probabilmente avevano a loro volta sfoderato le pistole. Pierre ricordava meglio quell’edificio l’ultima volta che l’aveva visto, all’assemblea degli azionisti, che non in quel momento. Era stato così nervoso e teso mentre si preparava a quel confronto. Un alto grattacielo, tutto vetro e acciaio, con un elicottero che atterrava sul tetto…
Gesù Cristo… un «elicottero». Marchenko non stava scendendo al piano terra; probabilmente era già salito sul tetto, tre piani più sopra.
Pierre si trascinò oltre l’angolo. La porta delle scale era accanto ai bagni degli uomini e delle donne. L’aprì con una spinta e sentì l’aria fredda avventarsi su di lui. L’interno della tromba delle scale era di nudo cemento, con gradini dipinti di un grigio uniforme. Cominciò lentamente, dolorosamente, ad arrancare su per la prima rampa. Ogni rampa copriva mezzo piano… ce ne sarebbero state almeno sei prima di raggiungere il tetto.
Poté udire fiochi echi di passi molto, molto più in basso. Altri stavano usando le scale per cercare di risalire. Ma trentasette piani, anche per un giovane allenato, erano un sacco di energia potenziale. Si tirò sempre più in alto, girando l’angolo ogni volta che una rampa di scale dava seguito alla successiva. Sperò che anche Avi avesse immaginato che Marchenko sarebbe salito, non sceso.
Pierre proseguì la sua ascesa. I suoi polmoni erano al massimo dello sforzo, e il respiro gli usciva in ansimi convulsi. Ebbe un soprassalto al suono di una sparatoria che arrivava da molto più giù.
Adesso Pierre si stava avvicinando al trentanovesimo piano, il numero era stato rozzamente spennellato in vernice bianca sul dorso della grigia porta antincendio metallica. Per un breve istante maledisse la sua educazione canadese: non gli era mai nemmeno passato per la testa di chiedere ad Avi una pistola prima di entrare.
Pierre si aggrappò al mancorrente e si tirò su un altro po’, ma all’improvviso inciampò: la sua gamba si era mossa a sinistra quando gli aveva detto di andare avanti. Il bastone gli sfuggì di lato, incastrandosi fra due delle sbarre verticali di metallo che sorreggevano la ringhiera. Pierre cadde all’indietro, afferrandosi al bastone in cerca di sostegno. Ci fu un suono scricchiolante quando quell’unico punto nel mezzo del bastone sostenne tutto il peso di Pierre per un secondo, ma poi Pierre perse la presa e si trovò a ruzzolare fino in fondo alla rampa. Il suo gomito sinistro cozzò sul pavimento di cemento. Il dolore fu una tortura. Tese la mano destra per toccarsi il gomito, e la ritrasse con sopra macchioline di sangue. Il bastone era piombato a circa due metri di distanza. Strisciò verso di esso e poi lottò per rimettersi in piedi. Ce la fece, incapace di continuare, in attesa che i suoi polmoni smettessero di trangugiare aria. Finalmente, con uno sforzo enorme, si avviò su per le scale di nuovo.
Su per mezzo piano, girato l’angolo, poi su per un altro. Finalmente si trovò di fronte alla porta contrassegnata dal numero 40. Ma, dannazione, la piazzuola per l’elicottero era sul tetto, altre due scalinate sopra di lui. E tutti i suoi sforzi erano basati sull’ipotesi che in cima ci fosse un’uscita sul tetto. Se no, avrebbe dovuto ridiscendere al quarantesimo piano e cercare di trovare la strada giusta fino al tetto.
Si issò su, un gradino dopo l’altro di agonia. I passi sotto sembravano più vicini; forse gli agenti del Dipartimento Giustizia erano già riusciti ad arrivare all’altezza del ventesimo piano.
Infine Pierre raggiunse la cima. C’era una porta lì, dipinta di blu invece che di grigio, con spennellata sopra la parola TETTO. Pierre girò la maniglia, poi spinse, e la porta si aprì in fuori, rivelando l’ampia sommità di cemento del grattacielo della Condor Health Insurance. Dopo tutto quel tempo nella tromba semibuia delle scale, i raggi del sole del tardo pomeriggio, posizionato direttamente di fronte a lui, gli forarono gli occhi. Pierre si tenne allo stipite dalla porta per sorreggersi. A quell’altitudine la forza del venti lo fustigò; il sibilo aveva coperto il rumore della porta che si apriva.
Marchenko era in piedi a circa venti metri di distanza, dando la schiena a Pierre, in attesa presso una baracchetta di metallo grigio-verde che, presumibilmente, conteneva attrezzi per la manutenzione degli elicotteri. Non c’era nessun velivolo in vista, ma sul tetto vicino a Marchenko era dipinto un segnale circolare giallo di atterraggio, e il vecchio stava scrutando il cielo con impazienza.
Il vento ululò infilandosi nella tromba delle scale. Pierre mosse qualche passo e uscì. Il tetto era quadrato, con un muretto alto un metro lungo il perimetro. Dei gabbiani stavano appollaiati in fila ordinata lungo la parete sud. Tre piccole antenne satellitari, e altre due grandi, stavano in un angolo del tetto e un trasmettitore a microonde si innalzava da un altro. C’era una luce rossa rotante montata in cima a una delle cabine degli ascensori, e due riflettori, entrambi spenti, in cima all’altra.
Marchenko non aveva ancora notato l’arrivo di Pierre. Il vecchio teneva al suo fianco un telefono cellulare nella mano sinistra, senza dubbio l’aveva usato per chiamare qualcuno che venisse a prenderlo.
Pierre cercò di valutare le sue possibilità. Aveva trentacinque anni, per l’amor di Dio. Marchenko ne aveva ottantasette. Non doveva esserci paragone. Pierre avrebbe dovuto semplicemente camminare verso il vecchio, prenderlo in consegna e trascinarlo più sotto fin nelle mani della giustizia.
Ma ora… ora, chi poteva dirlo? Pierre si appoggiò al suo bastone. C’erano buone probabilità che Marchenko potesse ucciderlo, specialmente se era armato. Non c’era alcun segno che avesse una pistola, e, in effetti, l’arma preferita di Ivan Grozny, mezzo secolo prima, era stata un tubo di piombo. Ma anche disarmato, Marchenko poteva essere in grado di avere la meglio su Pierre.
Forse non avrebbe dovuto fare nulla. Alzò gli occhi, scrutando di nuovo il cielo. Non c’era nessun elicottero in avvicinamento. Gli agenti di Meyer sarebbero giunti lassù abbastanza presto, e…
— Tu! — Marchenko si era voltato e aveva individuato Pierre. Il suo grido spaventò i gabbiani, facendoli alzare in volo; le loro strida furono debolmente udibili sopra il vento sferzante. Il vecchio cominciò a muoversi verso Pierre con una lenta andatura. Pierre si rese conto che doveva allontanarsi dalla porta aperta che dava sulle scale. Tutto quello che Marchenko avrebbe dovuto fare per sconfiggerlo sarebbe stata una buona, veloce spinta giù per i gradini.
Pierre, barcollante, si diresse verso nord. Marchenko cambiò percorso e continuò ad accorciare le distanze. Pierre pensò al Pequod e a Moby Dick, che fra le alte onde si inseguivano a vicenda. Marchenko si stava avvicinando.