L’elicottero ora stava scendendo, e il vento del suo rotore li squassò. Pierre sperò che la spinta verso il basso tenesse Marchenko inchiodato al suolo, ma il vecchio riuscì presto a rialzarsi vacillando. L’elicottero toccò terra.
Pierre si guardò indietro. Un altro elicottero si stava avvicinando. Era difficile vedere qualcosa fra tutto quel vento, ma…! Il nuovo elicottero era chiaramente marchiato SFPD, San Francisco Police Department.
Marchenko si stagliò su Pierre, chiaramente intenzionato a finirlo, ma Sousa gli stava gesticolando freneticamente di affrettarsi a salire a bordo; l’elicottero della polizia sarebbe giunto a minuti. La testa rotonda di Marchenko si aprì in un orribile sogghigno sbilenco, coi denti ancora storti, e sputò sprezzante un grumo sanguinolento sulla faccia di Pierre. Poi barcollò, comprimendosi le costole rotte, verso la salvezza, chinandosi per evitare il rotore.
D’improvviso Avi Meyer apparve in cima alle scale. Ansimava orribilmente ed era rosso come un peperone dopo la scalata di quaranta piani. Si infilò una mano nella giacca, estrasse una pistola, e tentò di sparare all’elicottero di Sousa. Ma Marchenko era già a bordo, e dopo aver chiuso lo sportello, il velivolo sì innalzò dal tetto.
L’elicottero della SFPD gli era ormai addosso, comunque, e adesso stava cercando dì costringere Marchenko e Sousa ad atterrare volando direttamente sopra di loro. Sousa diresse il velivolo a nord, e si mosse di traverso pochi metri sopra il grattacielo, inclinato di lato, col rotore che evitava appena il muro attorno al bordo del tetto. L’elicottero della polizia lo seguì.
Pierre strizzò le palpebre, tentando di seguire la scena, ma anche di proteggersi gli occhi. Avi uscì dalla porta della tromba delle scale, e due dei suoi uomini gli apparvero dietro, anch’essi boccheggianti. Uno si teneva il fianco e faceva una smorfia di dolore. Un momento dopo, Avi barcollò verso il lato sud del tetto, quanto più possibile lontano dal rumore degli elicotteri, e tirò fuori il suo cellulare.
Pierre, nel frattempo, raccolse il piede di porco e, usandolo come un corto bastone, evitando che il peso gravasse sul suo ginocchio sinistro sfasciato, zoppicò verso il lato nord; il dolore era quasi insopportabile, e a ogni passo doveva lottare contro il capogiro e la nausea. Quando giunse al parapetto alto un metro intorno al bordo, vi si accasciò contro e si portò entrambe le mani al ginocchio. Poté udire vorticare le pale dell’elicottero, non più in vista sotto di lui, accanto all’edificio.
«Qui è la polizia» disse dal secondo elicottero una voce femminile, con un megafono; ma la voce si perse nel frastuono del duello fra i rotori. «Vi ordiniamo di atterrare.» Pierre si costrinse a rimettersi in piedi, usando il parapetto per sorreggersi. Stava quasi per svenire; il suo corpo era scosso dal dolore e dalla corea. A guardar giù venivano le vertigini: quaranta piani di vetro e basta, che davano direttamente sull’asfalto del parcheggio. Cinque autovetture della SFPD stavano dirigendosi verso il palazzo, a sirene spiegate. Pochi metri a destra di Pierre, e circa dieci metri più in basso, c’era l’elicottero argenteo con dentro Marchenko e Sousa. Probabilmente Marchenko poteva vedere proprio l’ufficio di Craig Bullen, col suo rivestimento di legno di sandalo e i dipinti inestimabili.
Il loro velivolo era solo a breve distanza dal fianco della torre. Adesso l’elicottero della SFPD si era portato al suo fianco, come se cercasse di prenderlo di mira per sparargli addosso. Pierre poté chiaramente vedere la pilota e il suo compagno, entrambi in uniforme, nella cabina a forma di bolla. Sembravano discutere fra loro, e poi l’elicottero della polizia cominciò ad allontanarsi. La pericolosità nel volare così vicino all’edificio aveva costretto l’elicottero della polizia ad allontanarsi.
Il rotore dell’elicottero di Sousa era un confuso vortice circolare sotto Pierre. Il rumore era assordante, ma era ormai solo questione di secondi, prima che Sousa si dirigesse lontano. Avrebbe potuto puntare diritto sul Pacifico, sulle acque internazionali, oltre la giurisdizione della SFPD, o anche del DOJ, forse appontando su un battello e salpando verso il Messico od oltre; certamente nel piano di fuga di Marchenko c’era ben più del solo elicottero.
Pierre sollevò il piede di porco, soppesandolo. Probabilmente non avrebbe funzionato, probabilmente sarebbe stata solo scagliato via. Ma non poteva starsene lì a non fare niente.
Pierre chiuse gli occhi, raccogliendo tutto il controllo e tutta l’energia che gli erano rimasti. E poi scagliò la sbarra più forte che poteva, facendola roteare in senso verticale, giù fra le pale turbinanti dell’elicottero, mirando al bordo esterno del disco del rotore.
Era pronto a farsi indietro, nel caso che la sbarra volteggiasse di nuovo su verso di lui.
Il ferro colpì con un orribile fragore. L’elicottero cominciò a vibrare, inclinandosi verso l’edificio, le pale toccarono il vetro, irrorando con una doccia di schegge scintillanti il terreno sottostante, poi le pale presero a tranciare le veneziane metalliche, sfrangiando il metallo in piccoli frammenti e facendo volare scintille dappertutto.
L’elicottero proseguì la sua corsa in avanti adesso, mentre il disco del rotore colpiva la parete tra gli uffici adiacenti. Le estremità delle pale frantumarono il rivestimento di sandalo col suono di una sega elettrica, poi affondarono nella parete di cemento facendo schizzare in aria polvere e frammenti di muro finché, fra lo stridore del metallo torturato, le pale giunsero a un mortale arresto.
L’elicottero si inclinò di nuovo in avanti, ruotando adesso lentamente in senso orario. Anche il rotore di coda cozzò contro la parete dell’edificio, infrangendo altre finestre e frantumando altri mobili.
Le turbine del velivolo stavano urlando; del fumo si riversava dal comparto del motore e delle fiamme uscivano dagli ugelli. L’intero veicolo cadde in avanti e cominciò a precipitare nel vuoto, un piano dopo l’altro e un altro ancora. Molto più in basso Pierre poté vedere la gente disperdersi, tentando di togliersi dalla sua traiettoria.
Pierre udì dei passi, coperti dal tuono dell’elicottero della polizia. Avi stava correndo lungo il tetto.
L’elicottero di Sousa continuò a cadere, come al rallentatore, coi mozziconi di pale che ora ruotavano pigramente, sostenendolo solo minimamente. Superò un piano dopo l’altro, facendosi in apparenza sempre più piccolo, finché si schiantò sul parcheggio come un uovo, scagliando ovunque vetro e metallo. Poi, come un fiore che si schiude, delle fiamme si levarono dai rottami quando esplose il serbatoio. Presto una colonna di fumo nero si innalzò fino al quarantesimo piano e oltre.
L’elicottero della SFPD fece qualche giro sopra la scena del disastro, poi si calò per atterrare nel parcheggio.
Pierre guardò giù, verso l’inferno sottostante, attorniato dagli spettatori, illuminato dalla rossa luce del sole basso e dalle fiamme ruggenti riflesse dalle finestre, e dalle luci sulle auto della polizia. Finalmente, Ivan Grozny era morto.
Pierre barcollò indietro di un passo, si girò, e si accasciò per la sofferenza contro il muretto.
— Sta bene? — chiese Avi, chinandosi a guardarlo dopo aver osservato a sufficienza il carnaio sottostante.
Le mani di Pierre erano di nuovo sul ginocchio fracassato. Il dolore era incredibile, come dei pugnali che gli venissero ficcati nella gamba a martellate. Trasalendo, scosse la testa.
Avi aprì di scatto il telefono cellulare. — Qui Meyer. Ci occorrono subito dei medici sul tetto.