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Alla fine mi sentii la gola dolorante, e la smisi. Per un’altra decina di minuti non accadde niente di speciale. Qualche altro se ne andò a nuoto, e altri arrivarono. Vi furono altre conversazioni a gesti. Senza dubbio venivano fornite spiegazioni sul mio conto ai nuovi arrivati.

Costoro indossavano mute più o meno identiche a quelle che avevo visto fuori: ma alcune avevano colori vivaci. Ebbi l’impressione che questo costituisse la distinzione tra varie categorie, anche se non saprei trovare una spiegazione logica per questa supposizione.

Poi altri sommozzatori, vestiti in modo meno completo, uscirono da una delle gallerie, e la situazione si sbloccò. Uno di loro si fece largo tra la folla che ormai s’era radunata intorno a me, raggiunse la capsula e bussò delicatamente. Era consolante vedere che qualcuno cercava di attirare la mia attenzione, anziché essere io a cercare di attirare la loro, ma il vero colpo fu quando lo riconobbi.

Era Bert Whelstrahl, che era scomparso un anno prima.

CAPITOLO 9

Anche lui mi riconobbe: su questo non c’era dubbio. Sfoggiò un sorriso da un orecchio all’altro, nel momento in cui mi vide attraverso il portello, bussò di nuovo sulla capsula, e poi si tirò indietro e inarcò un sopracciglio con un’espressione che significava: oh, no, e adesso che cosa facciamo con costui? Decisi che la situazione giustificava il ricorso a quel po’ di voce che mi restava e gridai: «Bert! Mi senti?»

Lui annuì, e fece un cenno, abbassando il palmo della mano: pensai volesse farmi capire che non avevo bisogno di urlare così forte. Fu un sollievo per me. Ridussi il volume e dopo qualche tentativo, scoprii che poteva sentirmi quando parlavo appena un poco più forte di un normale tono discorsivo. Cominciai a fargli domande, ma lui alzò una mano per interrompermi, e riprese a spiegarsi a segni. Si turò il naso con le dita, tenendosi nel contempo sopra la bocca il palmo dell’altra mano. Poi alzò il polso sinistro davanti agli occhi, come se consultasse un orologio… che non aveva.

Capii abbastanza chiaramente quel che voleva dirmi. Mi chiedeva quante ore d’aria mi restavano ancora. Controllai il quadro dei comandi, feci qualche calcolo mentale e gridai che nelle bombole avevo ancora aria per circa cinquanta ore.

Poi Bert si mise un dito in bocca e inarcò le sopracciglia. Per non straziarmi la gola, risposi mostrando la scatola semivuota di tavolette di destrosio. Lui annuì e assunse un’espressione pensierosa. Poi parlò a cenni per due o tre minuti con quelli che gli erano più vicini; io riuscii a capire soltanto i movimenti che facevano con la testa di tanto in tanto. Quando sembrò che tutti fossero d’accordo, mi rivolse un cenno e tornò a sparire nella galleria da cui era arrivato.

Per un’altra mezz’ora non successe più nulla, ma la folla divenne più numerosa. Tra i nuovi arrivati c’erano anche donne, sebbene non fossi in grado di capire se c’era anche quella che avevo visto fuori. Alcune non potevano essere lei, di sicuro: a quanto pare, il nuoto non è un sistema sicuro per mantenere la linea, come affermano certuni.

Poi Bert ritornò. Portava qualcosa che sembrava una normale tabella metallica, ma quando l’accostò all’oblò, vidi che i fogli non erano di carta. Tracciò uno sgorbio con uno stilo sul primo di essi. Poi sollevò il foglio, e il segno scomparve. Avevo visto giocattoli di quel genere, anni prima: evidentemente, Bert aveva impiegato un po’ di tempo per improvvisarlo. Mi sembrava una buona soluzione per il problema di scrivere sott’acqua, e mi chiesi come mai nessun altro ci avesse mai pensato.

Bert doveva scrivere grosse lettere a stampatello, perché potessi leggere bene, e perciò anche con l’aiuto di quel sistema, la comunicazione procedette lentamente. Cominciai a chiedere cos’era tutta quella storia: e anche questo non accelerò certo le procedure. Bert m’interruppe.

«Adesso non c’è tempo per raccontarti tutto,» scrisse. «Devi prendere una decisione, prima di esaurire l’aria… almeno venti ore prima, anzi. Devi decidere se vuoi ritornare alla superficie.»

Ero sorpreso, e non ne feci mistero.

«Vuoi dire che mi lascerebbero tornare lassù? Perché si sono dati tanto da fare per riportarmi qui? Ero già arrivato alla superficie.»

«Perché la tua decisione riguarda moltissima gente, e tu devi sapere chi e come. Non sapevano che fossi un funzionario del Consiglio, prima che glielo dicessi io, ma è evidente che al tuo ritorno il tuo rapporto arriverebbe comunque al Consiglio. È molto importante quello che il Consiglio verrà a sapere di questa organizzazione.»

«Immagino che mi lasceranno andare se prometterò di non dire niente. E tu sai che non posso farlo.»

«Lo so, naturalmente. Non potrei farlo neanch’io. Non è questo che vogliono. Sanno che non potresti ritornare senza riferire qualcosa: non ci sarebbe una spiegazione razionale di dove sei stato, del perché. Tu puoi raccontare tutto quello che ti è successo e tutto quello che hai visto, ma vogliono che tu includa altre cose. Noi dobbiamo accertarci che tu le sappia.»

Sussultai, nel sentire quel pronome.

«Sei passato da ‘loro’ a ‘noi’. Vuol dire che tu hai scelto di restare qui?»

«Sì.» La risposta fu un cenno del capo, non una parola scritta. «Per un po’, almeno,» aggiunse con lo stilo.

«Allora sei riuscito a digerire la morale di un branco di individui che sprecano migliaia di chilowatt solo per illuminare il fondo marino? Hai dimenticato la tua educazione e…»

Mi interruppe scuotendo con violenza il capo e cominciò a scrivere.

«Non è così. So che sembra terribile, ma qui non si spreca energia, più di quanto il Consiglio spreca la luce del sole che scende sul Sahara. Forse ci sarà il tempo di spiegarti qualcosa di più prima che tu decida, ma conosci abbastanza la fisica per capire l’analogia: altrimenti non lavoreresti neppure per il Consiglio.»

Impiegai un po’ di tempo per digerire quella spiegazione. L’analogia del Sahara era comprensibile. Il Consiglio era sempre stato ossessionato dall’idea di lasciare inusata tutta quell’energia solare. La difficoltà principale, naturalmente, consiste nel decidere quando vale la pena di investire energia in un progetto, nella speranza di ricavarne di più. Da decenni, era comune articolo di fede che la sola speranza dell’uomo stava nella fusione dell’idrogeno, e quasi tutti gli esperimenti autorizzati riguardavano appunto questo tipo di ricerca. Di tanto in tanto, però, arrivava qualche eloquente perorazione a favore di un progetto di sfruttamento dell’energia solare. Qualche volta ne veniva approvato uno particolarmente promettente, ed un paio, anzi, si erano rivelati utili, da quando avevo cominciato a lavorare per il Consiglio.

Tuttavia non capivo proprio come la luce del sole che splendeva su un deserto si potesse paragonare alla luce artificiale che splendeva sul fondo marino. E lo dissi.

Bert scrollò le spalle e cominciò a scrivere.

«Qui l’energia proviene da sotto la crosta… è calore, anche se non posso chiamarlo esattamente calore vulcanico. Se non facessero continuamente circolare il fluido fino al collettore e non ne sottraessero il calore quando torna indietro, l’estremità calda dell’impianto si fonderebbe. Se proprio devi trovarci da ridire, protesta perché non si collegano alla rete energetica planetaria e non osservano le regole del razionamento, come tutti gli altri. Le ragioni per cui non lo fanno sono valide, ma non c’è tempo di esportele adesso… richiedono spiegazioni storiche e tecnologiche che continuerebbero per un’eternità, se dovessi mettertele per iscritto in questo modo. Quello che debbo dirti è ciò che è necessario tu sappia, se torni lassù.»

«Immagino che Joey e Marie abbiano deciso di restar qui.»

«Joey non c’è. Marie non mi crede, quando glielo dico, e sta ancora discutendo. Nel suo caso, non è stata presa ancora una decisione.»