Bene, prima ipotesi operativa. Ci troviamo in un liquido non polarizzato, non velenoso, un po’ più denso dell’acqua. Credo di capire il perché, ma cerchiamo di non essere troppo precipitosi.
Dunque era quella la seconda ragione per cui la mia analisi era sbagliata. Come aveva detto Bert, lì la gente non l’espirava l’acqua… perché non era nell’acqua e perché non respirava. Stentavo ancora a crederlo, ma la concatenazione logica filava.
L’idea base era piuttosto chiara. Se la gente non respirava, non aveva bisogno di gas nei polmoni. Se non aveva gas nei polmoni, non si preoccupava dei cambiamenti di pressione. Bene, precisiamo. Quelli dovevano riempirsi di liquido anche l’orecchio medio e i seni paranasali. Se il liquido aveva la stessa comprimibilità dell’acqua (domanda: perché non usare acqua? Riprenderla in considerazione più avanti), allora un cambiamento di profondità non avrebbe comportato un significativo cambiamento di volume in nessuna parte del corpo.
C’erano alcuni dettagli che andavano completati, comunque. Ammesso che sarebbe stato comodo fare a meno di respirare, come ci si poteva riuscire?
Bene: perché si respira? Per portare l’ossigeno nel sangue. C’è qualcosa che può andare come surrogato dell’ossigeno? No, categoricamente. L’elemento numero otto è l’unico agente ossidante che il metabolismo umano sia congegnato per utilizzare… e «congegnato» è la parola adatta, in tali circostanze.
Ma l’ossigeno deve essere per forza in forma gassosa? Forse no. Se non avevo dimenticato tutto quello che avevo studiato, all’emoglobina interessano soltanto le molecole di O, non gli ioni dell’ossido o del perossido o l’ozono; ma fino al momento in cui viene consegnato all’emoglobina, alcuni degli altri sono almeno concepibili. La prima cosa che viene in mente può essere una sorta di cibo o di bevanda. Si può immettere nello stomaco qualcosa che liberi molecole di ossigeno? Certamente. C’era il perossido d’idrogeno, l’acqua ossigenata. L’ossigeno liberato non cominciava in forma di molecole biatomiche, anche se passava abbastanza rapidamente a tale stato. Non riuscivo a immaginare qualcuno con la testa a posto che bevesse un bicchiere d’acqua ossigenata, per parecchie ragioni; ma fino a quel momento, il principio sembrava sostenibile.
L’ossigeno poteva passare dallo stomaco alla circolazione sanguigna? Direttamente no, ma poteva prendere la stessa strada degli altri alimenti. Nell’intestino tenue ed attraverso i villi. Mi pareva di ricordare che lì la superficie assorbente è minore che nei polmoni, ma sotto la pressione di quella profondità, poteva essere una carenza non molto grave.
Perciò l’ipotesi operativa numero due è che costoro mangino o bevano qualcosa che cede gradualmente ossigeno. Se, a quella pressione, il gas restava in soluzione, il corpo sarebbe rimasto relativamente indifferente ai cambiamenti di pressione. Però il mio passeggero clandestino di qualche ora prima si sarebbe trovato in serie difficoltà, dopotutto, se fosse arrivato fino alla superficie con me.
E l’eliminazione dell’anidride carbonica? Non era un problema. Fuori attraverso i polmoni, come al solito, e poi in soluzione immediata nel liquido circostante. Forse appunto per quello il liquido non era acqua; forse usavano qualcosa che assorbiva meglio la CO2, anche se a quella pressione l’acqua sarebbe andata certamente bene. Certo, con i fluidi dell’organismo alla stessa pressione, sarebbe stata una questione di complessi equilibri di ioni, più che di pura e semplice solubilità; forse era stato necessario il controllo del pH. Certamente era all’interno dell’organismo, e questa idea pareva ridurre le differenze tra interno ed esterno.
Tutto questo faceva pensare che, se avessi deciso di restare laggiù, avrebbero presumibilmente cominciato a pressurizzarmi. Qualche volta, nel corso della procedura, mi avrebbero dato da mangiare o da bere la sostanza che costituiva la fonte dell’ossigeno. Doveva trattarsi di questo, secondo me, a parte altri interventi meccanici di minore importanza per riempirmi di liquido i seni paranasali e l’orecchio medio.
E per riprendere l’abitudine a respirare? La pressione avrebbe dovuto ridiscendere. La fonte d’ossigeno nello stomaco… sì, quella avrebbe presentato una difficoltà. Se avesse continuato a liberare ossigeno, e la pressione fosse scesa intorno ad una atmosfera… uhm. Questione di tempismo? Un’assistenza meccanica, come un polmone artificiale, tra il momento in cui la fonte interna si esauriva e veniva ripresa la respirazione naturale? In ogni caso, sarebbe stato difficile per me riuscirci da solo, se mai se ne fosse presentata la necessità.
Comunque, adesso potevo formulare qualche piano in linea d’ipotesi, pur tenendo presente che l’ipotesi poteva anche essere infondata. Comunque, io c’ero affezionato, e pensavo che al massimo si sarebbe trattato di modificare i dettagli, via via che fossi entrato in possesso di altre informazioni. Fu una sensazione piacevole, finché durò.
Date le circostanze, quindi, sembrava opportuno dire a Bert che sarei rimasto, e perdere il minor tempo possibile per uscire da quella sfera, in modo da poter fare qualcosa di utile. Mi ero creato i miei principi morali — un Giuramento di Fedeltà all’Umanità, se preferite — già molto tempo prima, perciò non avrei avuto problemi di coscienza, se avessero preteso da me una sorta di impegno prima di accettarmi. Probabilmente non l’avrebbero fatto; cose del genere avevano perduto importanza, per avere un senso nei tempi in cui la gente credeva che il pericolo principale consistesse nelle divergenze politiche anziché nella scarsità di energia. Certe società, certi gruppi privati ricorrevano ancora a giuramenti formali: ma neppure questi avevano più il valore di un tempo.
All’improvviso mi domandai perché la mia mente divagava in quella direzione: dopotutto, il mio piano poteva essere un po’ ipocrita, ma per una buona causa, e la mia coscienza era abbastanza pulita. E tornai ad occuparmi dei problemi immediati.
Per i dettagli, naturalmente, avrei dovuto attendere ancora. Avrei dovuto imparare a conoscere la geografia locale, in particolare la strada per arrivare al sommergibile di Marie. Avrei dovuto scoprire che libertà d’azione mi avrebbero concesso. Bert aveva l’aria di andare e venire a volontà, ma lui era lì da un anno. Inoltre, avrei dovuto guadagnarmi da vivere in qualche modo; se per scoprire i dettagli che m’interessavano, e ideare un piano per ritornare alla superficie insieme a Marie, avessi impiegato un certo tempo, probabilmente avrei dovuto fare qualcosa del genere. E solo il futuro avrebbe potuto rivelare se c’era un lavoro che fosse utile laggiù e che fosse adatto nel contempo alle mie capacità.
Per il momento, dunque, dovevo aspettare Bert, oppure mandarlo a cercare, e comunicargli la mia decisione. Probabilmente, avrei fatto meglio ad aspettare. Non era il caso di mostrarmi troppo impaziente. Mi aveva detto che sarebbe tornato spesso, e senza dubbio era già venuto mentre io dormivo. Doveva aspettarsi che io mi svegliassi tra non molto.
Attesi, come una scimmia in uno zoo… o forse più esattamente come un pesce in un acquario.
CAPITOLO 11
Passò circa mezz’ora, prima che Bert comparisse. Sbirciò da uno degli oblò, vide che ero sveglio e raccattò la tavoletta per scrivere.
«Ci hai pensato?» fu la prima domanda. Annuii, affermativamente.
«Bene. Hai deciso?»
«Credo di sì,» gli gridai. «Io…» Esitai. Un po’ per l’effetto, ma un po’ anche per incertezza autentica. Potevo essermi sbagliato in tanti modi. Poi m’irrigidii.
«Rimango.»
Mi guardò un po’ sorpreso e cominciò a scrivere. Io proseguii, prima che avesse terminato. «O almeno, rimango se tu puoi dirmi con sicurezza una cosa.»
Bert cancellò ciò che aveva scritto e mi guardò, in attesa.
«Credi sinceramente… non ti chiedo se lo sai, solo se lo credi… che questa gente abbia ragione di tenersi al di fuori della rete energetica e del sistema di razionamento?»