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È uno degli argomenti che è difficile affrontare dettagliatamente senza diventare noioso. Una biblioteca è una biblioteca, anche quando è capovolta. I libri erano normali per forma e stile, anche se non per contenuto. I filmati e le schede non avevano niente di eccezionale. Come i corpi umani non zavorrati, quasi tutti tendevano a fluttuare. Sedie, tavoli e carrelli erano sul soffitto, e sotto (no, sopra, voglio dire) le sedie c’erano le rastrelliere per appendere le cinture zavorrate. Tuttavia, non tutti se le toglievano: molti lettori le avevano ancora addosso, mentre fluttuavano davanti a uno schermo o vagavano con un libro in mano.

Le immagini sullo schermo somigliavano tutte allo schizzo che la ragazza aveva tracciato sulla tavoletta: erano seconde cugine dei diagrammi elettrici o degli esercizi di topologia per scuole superiori. Osservai per alcuni minuti parecchi dei lettori, e mi convinsi che, sebbene leggessero nel senso lato della parola, c’era un’importante differenza di tecnica. Studiavano pagina per pagina o inquadratura per inquadratura, a seconda dei casi, dedicandovi mezzo minuto o un minuto intero prima di passare oltre. Ma i loro occhi non seguivano il movimento regolare, avanti e indietro, di chi legge un libro: vagavano irregolarmente su ogni pagina, come se esaminassero un quadro.

Comunque, mi dissi, questo non era troppo sorprendente. Sarebbe accaduto lo stesso a me, se avessi esaminato un diagramma d’un circuito. Cominciavo a capire la situazione, un po’ per volta: forse piuttosto lentamente, secondo l’opinione di qualcuno. Non avevo mai pensato, prima, che il disegno tecnico fosse un linguaggio.

Bert fluttuò tranquillamente per parecchi minuti: evidentemente voleva lasciarmi il tempo di scrutare la biblioteca. Poi mi fece un cenno, per invitarmi a raggiungere un angolo della sala. Lì c’era un visore libero, e uno scaffale piuttosto grande, pieno di libri. Impiegai circa due secondi per notare che erano scritti in lingue normali. Cinese… urdu… latino… inglese… russo… Le riconobbi tutte, anche se molte non ero in grado di leggerle.

Bert ricominciò a scrivere.

«Questi testi ti racconteranno l’intera storia più rapidamente di quanto possa fare io. Ormai non ti sorprenderà più sapere che molta gente, non soltanto dipendenti del Consiglio, abbia trovato questo posto, in passato. Esiste da quando esiste il Consiglio. Moltissimi sono rimasti. Alcuni di questi libri sono stati portati da loro, altri sono stati scritti qui, sempre da loro. Sono state le informazioni contenute qui a convincermi di ciò che ti ho detto… i tentativi di stabilire un contatto con il Consiglio, e così via.

«Impiega pure tutto il tempo necessario per assorbire il contenuto di questi testi. È importante che tu capisca bene l’intera storia. Tornerò all’ora di mangiare.»

Posò la tavoletta sotto una sedia… non è il modo più esatto per dirlo: la tavoletta era più densa del liquido, quindi fate un po’ voi. Poi se ne andò. Non mi restava altro che mettermi a leggere.

Ora, non ho copie di quei libri e di quei nastri. E so che Bert mentiva. Ma, credetemi, erano troppi perché li avesse confezionati lui, da quando era arrivato laggiù. Quasi tutti erano manoscritti, sebbene alcuni fossero battuti a macchina. Impiegai diciotto ore buone solo per dare una scorsa a quelli scritti nelle lingue che conoscevo. (Non diciotto ore intere. Bert tornò per portarmi a mangiare, e dormii anche. È inutile descrivere tutti i particolari dell’esistenza, anche se l’ambiente ne rendeva alcuni piuttosto insoliti.) Cercherò di riassumere il più brevemente possibile il quadro generale della situazione che ricavai da quelle letture.

CAPITOLO 18

Quell’installazione esisteva davvero prima ancora che venisse istituito il Consiglio. Negli ultimi decenni, prima del razionamento, le varie istituzioni politiche allora esistenti si andavano rendendo conto, una ad una, che le riserve energetiche dell’umanità si stavano esaurendo. Vennero compiuti tentativi disperati per evitare, o almeno rinviare le conseguenze, senza offendere l’opinione pubblica… o piuttosto, senza turbarne la soddisfazione.

La mia conoscenza della storia è imperfetta, ma mi pare di ricordare che quello fu il periodo del «crash program», che gli ingegneri del tempo usavano definire cinicamente come un tentativo di produrre un neonato in un mese mettendo incinte nove donne. Conoscerete senz’altro qualcuno dei risultati, come il condotto idroelettrico Mediterraneo-Mar Morto, le dighe di Messina, di Key, di Ore e di Arafura, la termocoppia di Valparaiso, gli impianti vulcanici di Bandung e di Akureyr. Alcuni furono utili, addirittura preziosi, alcuni altri furono soltanto monumenti all’inettitudine politica.

Conoscete le conseguenze di certuni di questi progetti… le dispute sull’uso dell’energia prodotta, che portarono ad una dozzina di guerricciole, le quali sprecarono a loro volta più energia in un anno di quanta ne producessero in una generazione tutti gli impianti d’emergenza messi insieme. E sapere che il risultato finale fu la fondazione del Consiglio e l’accettazione generale del razionamento dell’energia.

Durante il periodo dei contrasti, parecchie nazioni cercarono di creare centrali elettriche segrete, nella speranza di evitare la concupiscenza dei vicini o di fornirsi riserve energetiche nell’eventualità dello scoppio di un conflitto violento. Molti di quei «segreti» erano tali solo per il grosso pubblico della nazione interessata, prima ancora che cominciassero la produzione… altri fino a quando la cominciarono. Certuni durarono per parecchi anni, dopo l’inizio del razionamento imposto dal Consiglio. Si riteneva che gli ultimi impianti segreti fossero stati scoperti e collegati alla rete energetica generale molti decenni prima.

Ma ce n’era un altro.

Era molto semplice… o quasi.

Nella documentazione non trovai indicato quale paese ne fosse responsabile. Non mi misi neppure d’impegno per scovarlo. Il nome sarebbe stato, per me nato oltre mezzo secolo dopo che i nomi delle nazioni erano diventati soltanto etichette geografiche, meno significativo di quanto avrebbe potuto esserlo per Abramo Lincoln, morto probabilmente il doppio d’anni prima che la nazione in questione cominciasse ad esistere.

Probabilmente era un paese abbastanza piccolo per aver paura dei suoi vicini, e certamente abbastanza grande per essere altamente industrializzato. La tecnica che permetteva di vivere nelle profondità marine, e di cui vedevo un’efficiente dimostrazione in quel momento, non era il prodotto di una ricerca casuale, e neppure di un programma precipitoso. Doveva aver richiesto un lunghissimo periodo di sviluppo. Poiché sapevo qualcosa delle abitudini del tempo, mi meravigliai che il segreto fosse stato mantenuto… anche se potevo immaginare le misure che allora sarebbero parse normali ed appropriate per raggiungere tale scopo.

Comunque, l’installazione venne creata: e stava già funzionando benissimo prima che il Consiglio ed il razionamento diventassero realtà.

Ricordatelo: era un segreto. Doveva esserlo. Soltanto poche persone potevano conoscerne l’esistenza in ogni dato momento, oltre alle migliaia di residenti stabili. Quei pochi, quando incominciò il razionamento e tutte le fonti energetiche divennero patrimonio pubblico, abbandonarono il mondo alla chetichella e troncarono con esso tutti i rapporti. Forse si resero necessari interventi drastici; ma preferisco credere che al massimo si fosse trattato di un cambiamento forzato d’indirizzo.

Comunque, all’improvviso ci fu una nuova nazione con una popolazione di circa quindicimila abitanti, sul fondo del Pacifico. Aveva stabilimenti per la sintesi e la produzione, ed energia in abbondanza. Quindicimila persone. Come disse poi Marie, quindicimila aristocratici… e più di quindici miliardi di poveracci.

Più realisticamente, quindicimila fiori recisi.

Quasi tutti i resoconti che ebbi occasione di leggere esprimevano la convinzione che l’interruzione dei rapporti con la superficie non avrebbe dovuto essere così completa. Doveva apparire ovvio a tutti gli interessati che una popolazione come quella era troppo ridotta per mantenere una cultura estremamente tecnica, e solo una cultura estremamente tecnica, d’altra parte, poteva sopravvivere in quelle condizioni. Questo comportava, presumibilmente, la necessità di mantenere il contatto intellettuale con il resto dell’umanità… probabilmente avevano avuto intenzione di mantenere contatti anche fisici, poiché è difficile credere che prevedessero di riuscire a fabbricare da soli tutte le apparecchiature necessarie per tirare avanti.