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Vuotando i serbatoi della zavorra con i serbatoi del sollevamento ancora pieni, il sommergibile acquisì un galleggiamento positivo. E naturalmente cominciò a sollevarsi.

Per fortuna, il movimento ascendente iniziale non fu rapido. Riuscii ad afferrarmi allo scafo, aprii il portello elettricamente (manualmente non ci sarei riuscito, dato che si era già stabilita una differenza di pressione), e dissigillai ed aprii le valvole per lo scarico del liquido di galleggiamento. Quando uscii di nuovo, il sommergibile era già a una sessantina di metri dal fondo. I sommozzatori mi stavano intorno, illuminando la scena con le loro lampade: guardai la parte superiore dello scafo e vidi la scia oleosa del liquido di galleggiamento che usciva. L’ascesa stava già rallentando, e dopo un paio di minuti cessò e si invertì. Seguimmo la discesa del sommergibile sul fondo, fino ad un punto non molto lontano da quello che avevamo scelto.

E aspettammo. Aspettammo. Aspettammo.

I nostri aiutanti conversavano tra loro a segni. Bert ed io non potevamo parlare, poiché avevamo lasciato la tavoletta all’entrata, quando avevamo indossato le mute. Ognuno di noi sapeva ciò che stava pensando l’altro, e via via che il tempo passava e che lo scafo continuava a star lì tranquillo, cominciammo a scambiarci occhiate interrogative.

Ormai le pompe avevano avuto il tempo di vuotare completamente l’interno. Dentro doveva esserci praticamente il vuoto.

Non avevamo badato a ciò che era rimasto nei serbatoi dell’aria. Non poteva essercene tanta da contare qualcosa, a quella pressione. Dagli ugelli della zavorra non erano uscite bollicine, ma l’aria liberata dai serbatoi interni poteva essere entrata in soluzione, a quella pressione, prima di venire espulsa.

Ma il problema non stava nel fatto che la pressione interna corrispondesse a zero o a poche atmosfere; dovevamo stabilire cosa potevamo fare per rimediare al mancato schiacciamento dello scafo. La pressione sarebbe rimasta bassa fino a quando le pompe avessero esaurito il carburante, e anche dopo. Sarebbe occorso comunque parecchio tempo prima che il combustibile finisse, poiché ora le pompe lavoravano a vuoto. Considerando la generale affidabilità del materiale del Consiglio, forse ci sarebbero voluti mesi, prima che una minuscola falla permettesse alla pressione interna di aumentare al punto che fosse possibile aprire il portello stagno. Non sapevo per quanto tempo ancora noi potevamo star lì senza fare rifornimento di ossigeno: di certo, non per mesi. Anzi, sarebbe già stato abbastanza difficile spiegare i tre giorni o più che erano già trascorsi da quando avevo visto Marie. Un altro ritardo avrebbe reso le cose ancora più complicate, ma non potevo tornare da lei senza aver pronta una storia convincente sulla sorte di Joey.

Una bomba di profondità sarebbe stata utile. Forse sarebbe bastata anche una piccola carica di esplosivo: lo scafo, dopo tutto quello che avevamo fatto, doveva essere molto, molto vicino al suo limite. Purtroppo, non c’erano esplosivi disponibili.

La sola cosa che riuscivo a pensare era riportare indietro il sommergibile; poi io o Bert saremmo entrati nella sala di conversione, avremmo collegato lo scafo al portello che doveva servire a quello scopo, fare tutto quel che bisognava fare per riportare un uomo alla pressione di superficie e ridurre quella della camera, in modo che potesse entrare nel sommergibile e ricominciare tutto daccapo. L’idea non mi andava. Ero sicuro che non sarebbe andata neppure a Bert, ma date le circostanze non mi veniva in mente altro. Non era un’idea che si poteva comunicare a gesti. Avrebbe richiesto già parecchio tempo anche usando la tavoletta per scrivere.

Riuscii a far capire a Bert che dovevamo tornare indietro per discuterne. Quando cercai di spiegargli che bisognava portarci dietro il sommergibile, però, si oppose seccamente. Dopo un paio di minuti, rinunciai ad insistere. Come ho detto, quel piano del resto non mi entusiasmava.

Bert rivolse alcuni cenni agli altri: tranne quattro, vennero tutti con noi. I quattro si calarono su un tratto fangoso, ad una ventina di metri dallo scafo, e cominciarono non so che gioco. In un altro momento, sarei stato curioso di scoprirne i dettagli.

Il tragitto di ritorno, naturalmente, fu più rapido di quello di andata… o meglio, lo sarebbe stato, se l’avessimo portato a termine.

Non so quanto fossimo arrivati lontano in quegli otto o dieci minuti. Dovevamo aver percorso circa quattrocento metri, credo. Non sono il nuotatore più efficiente del mondo, e non ci mettevo neppure molto impegno.

L’interruzione, come gran parte delle cose che erano andate storte nei nostri piani, avrebbe dovuto venire prevista: ma non l’aveva prevista nessuno. Se l’avessimo immaginato, non saremmo rimasti in attesa nei pressi del sommergibile, dopo aver messo in moto le pompe della zavorra.

Fu una cosa abbastanza ovvia e l’unica ragione per cui non capii cos’era successo un secondo dopo l’evento fu che, naturalmente, avevo perso i sensi.

CAPITOLO 20

Se vi immergete nell’acqua e un vostro amico batte ripetutamente due grossi sassi uno contro l’altro, cominciando a venti o trenta metri di distanza e avvicinandosi fino a quando voi non ce la fate più a sopportarlo, potete avere un’idea vaga di quello che accadde.

Non so descrivere la sensazione che provai. Anzi, poiché mi fece perdere i sensi per parecchi secondi, non è neppure giusto dire che provai qualcosa. Comunque, fu una specie di sensazione; forse se sapessi con certezza cosa si prova a venir colpiti da un maglio, simultaneamente, su ogni centimetro quadrato del corpo, potrei sfruttare il paragone. Ma dovrò lasciar fare alla vostra immaginazione, con l’aiuto dell’esperimento che vi ho suggerito un momento fa.

L’onda d’urto fece più o meno lo stesso effetto a tutti. Ci volle un minuto, forse anche di più, prima che riprendessimo a nuotare più rapidamente che potevamo verso il luogo dove avevamo lasciato gli altri. Nessuno di noi aveva dubbi su quanto era accaduto; nessuno di noi teneva a tornare sul posto.

Ma ci precipitammo lì.

Mi aspettavo di trovare quattro corpi nella fanghiglia, dove avevamo lasciato i nostri compagni intenti a giocare, ma non fu così semplice. Il relitto del sommergibile, a quanto potevo capire, era allo stesso posto. Ma l’onda d’urto causata dall’implosione dello scafo aveva sollevato una nube di fanghiglia che non aveva ancora finito di ricadere, e le nostre lampade ci mostravano ben poco. Tenendoci vicini l’uno agli altri, nuotammo nell’oscurità in tutte le direzioni, esplorando ogni spanna del fondale non solo per cercare i frammenti, ma per scoprire se c’era qualcosa sotto il fango che si era appena posato. Non fu necessario comunicare tra noi, per organizzare quella ricerca.

Trovammo uno degli uomini parzialmente sepolto, a cinque metri circa dalla parte più vicina del relitto. Sembrava non avesse lesioni gravi, ma sapevo che non poteva essere vivo. L’onda d’urto ci aveva fatto perdere i sensi a quattrocento metri di distanza, e la legge dell’inverso del quadrato vale anche sott’acqua.

Sul fondo non trovammo nessuno degli altri, ma mentre il fango ricadeva ne scorgemmo un secondo, visibile ad un’altezza di sei metri circa: saliva molto lentamente. Una scia sottile di gocciole oleose filtrava dalla base del casco. Non avevo mai pensato che, dato il liquido denso che le riempiva, le mute dovevano contenere anche materiale galleggiante, per permettere a chi le indossava di nuotare nell’acqua. Ora che il liquido più pesante stava uscendo, il galleggiamento era diventato positivo.

Era abbastanza evidente che non avremmo potuto ritrovare gli altri due: probabilmente, avevano subito falle più rapide. Li immaginai lassù, sopra di noi, nella tenebra, salire verso la superficie mentre l’ultimo liquido che aveva reso possibile la loro strana esistenza scendeva verso il fondo marino. Pensai di cercare una pioggia di gocce oleose che ci consentisse di rintracciarli, ma non avevo la possibilità di comunicare agli altri quella proposta, ed era evidente che, del resto, le nostre lampade erano troppo fioche per una ricerca del genere. Anche gli altri, di certo, la pensavano allo stesso modo. Trascinandoci dietro i due cadaveri, ritornammo verso l’ingresso.