«Potrei prendere uno dei sommergibili locali,» proposi allora.
«Non provartici fino a che avrai imparato la lingua,» fu la risposta di Bert. Mi sembrava un po’ sciocco. Un sommergibile è un sommergibile: o lo capisci o non lo capisci. Ma mi bastò guardare l’interno di uno di essi per capire.
Non so ancora perché abbiano i quadri dei comandi fatti a quel modo; le leggi della fisica, laggiù, sono le stesse che in superficie. Apparentemente, la differenza nel pensiero fondamentale che accompagna quello strano linguaggio grafico si estende in un numero di fattori maggiore di quel che indurrebbe a considerare il buon senso.
Cominciava a sembrare che gli altri due sarebbero tornati da soli. Bert sembrava rassegnato all’idea, e anch’io cominciavo a pensarla come lui. Quando però tornammo a riferirlo a Marie, lei tirò fuori un’altra delle sue idee. Da allora, ho cominciato a sospettare che avesse in mente ben altro che riportarmi alla superficie, come quando aveva insistito per farsi accompagnare da Bert: ma non si confidava con me. Naturalmente, può darsi che fosse così perché non aveva la possibilità di parlare con me solo.
«Nei miei serbatoi c’è galleggiamento in abbondanza,» osservò all’improvviso, con fermezza. «Basta attaccare quel relitto di Bert al mio sommergibile, e potremo trainarcelo dietro. Tu hai detto che lo scafo è abbastanza solido per resistere alla pressione.»
Bert sembrava sbalordito, senza dubbio perché quell’idea non era venuta in mente a lui. Almeno, così sospettai io. Accettò subito, comunque, e la faccenda fu sistemata. Andò a cercare aiuto per rimorchiare i sommergibili, e a prendere accordi per la sala operatoria. Approfittai della sua assenza per scrivere un messaggio a Marie.
«Sembra che ti sia sbagliata sul conto di Bert. Si è affrettato ad accettare la tua proposta.»
«L’ho notato.»
Attesi che facesse altri commenti, ma lei non disse nulla. Immagino che fosse inutile aspettarsene. Quando parlò di nuovo, abbordò un argomento completamente diverso… così mi parve.
«Controlla bene le bitte dei due sommergibili.»
Annuii, sorpreso: era una procedura normale, che non richiedeva particolari commenti.
«E anche i cavi. Adopera i miei; sono più nuovi.» Annuii ancora, in silenzio, stupito e forse speranzoso. Tutto ciò che poteva dimostrare un interesse di Marie nei miei confronti era sufficiente per indurmi a sperare. Ero ancora molto lontano dal suo ragionamento, forse perché non ero partito con gli stessi pregiudizi. A lei andava bene così, penso: cambiò argomento con fermezza, chiedendo notizie delle persone che fluttuavano intorno a me.
«Chi sono i tuoi amici? E quella ragazza è una delle ragioni che ti hanno deciso a rinunciare a respirare aria?»
«No!» scrissi io, enfaticamente. «Che io sappia, non l’ho mai vista prima del cambiamento.» Non capivo perché Marie stava ridendo. «Non posso presentarti, perché non ho mai udito i loro nomi. Con questo linguaggio, non so bene come possa essere un nome personale. Forse non li hanno neppure.»
Lei sorrise, per la prima volta da quando l’avevo rivista laggiù.
«Allora questo spiega perché sei rimasto. No, non stare a spiegarmi che non hai saputo di questo linguaggio se non in seguito. Lo so che non lo sapevi. Comunque, adesso che lo sai, deve essere un punto in favore di questo posto.»
Per la verità, io non ci avevo pensato. Aveva ragione lei, comunque. Era l’unica seccatura della mia vita che non poteva seguirmi fin laggiù. Marie stava studiando la mia espressione e, credo, la leggeva come un libro stampato. Rise anche più forte di prima. Date le circostanze, il suono non somigliava molto a una risata, ma era abbastanza diverso dalla parlata normale per attirare l’attenzione dei miei accompagnatori. Guardarono prima me, poi il sommergibile, poi di nuovo me, ma senza capir nulla. La ragazza, comunque, sorrise di nuovo.
Marie aveva ragione, in un certo senso. Se dovevo restare laggiù per una qualunque ragione…
Scacciai con fermezza quel pensiero. Prima o poi, sarei andato dove andava Marie.
CAPITOLO 22
L’attesa del ritorno di Bert fu quasi allegra. Marie ed io facemmo qualche altro esperimento di comunicazione con la ragazza ed i suoi amici, ma quelli capivano soltanto i segni più elementari, e talora neppure quelli. Cercammo persino di esporre l’idea di un alfabeto fonetico: Marie forniva i suoni ed io i simboli. Ma fu inutile.
Non era dovuto interamente alla loro mancanza d’istruzione: i suoni venivano modificati da quella combinazione di mezzi, tanto che le lettere sembravano diverse. Per esempio, «p» ed «s» non suonavano più tanto differenti, e quando le si mettevano insieme in una parola come «spesso», la compilazione dei simboli aveva una minor somiglianza, o meglio una relazione riconoscibile con la combinazione dei suoni. Quello che più o meno riuscimmo a combinare, prima del ritorno di Bert, fu convincere persino Marie che c’era da risolvere un vero, serio problema di comunicazioni.
Marie non era certa che valesse la pena di risolverlo. Adesso era incline a considerare quella gente come una cultura diversa, più che come un gruppo di criminali transfughi dalla nostra civiltà; ma vedeva ancora quella cultura come una dignitosa signora della Boston ottocentesca vedeva probabilmente i cannibali dei Mari del Sud di cui le avevano parlato alla sua società missionaria.
Se non altro, fu educata con loro.
La sua cortesia svanì un po’ quando Bert ritornò portando brutte notizie. Il Comitato, sembrava, non voleva saperne di lasciar tornare contemporaneamente alla superficie me e Bert. Uno dei due andava bene: tutti e due no.
Ero sbalordito, e non riuscivo a inquadrare questo fatto nella prospettiva che mi ero fatto della situazione. Marie non disse proprio «Te l’avevo detto», ma l’occhiata che mi lanciò esprimeva con molta chiarezza lo stesso pensiero. Era ingiusto, poiché non me l’aveva detto affatto. Forse l’aveva immaginato, ma non me lo aveva detto.
Forse fu quell’occhiata a smuovermi. Rammentai a me stesso che l’importante era riportare Marie alla superficie, sana e salva. Dopo il suo rapporto, il Consiglio avrebbe sicuramente aperto le comunicazioni con quella base, indipendentemente da ciò che ne pensava Bert, e avrei avuto la possibilità di ritornare anch’io.
Comunque, dovete ricordarlo, non credevo all’affermazione di Bert, secondo la quale il Consiglio aveva ignorato o insabbiato le precedenti segnalazioni sull’esistenza di quell’installazione. La mia impressione era basata soprattutto sui miei pregiudizi personali di vecchio funzionario del Consiglio: non potevo immaginare che la mia organizzazione fosse capace di una cosa simile.
Perciò, mi sembrava ancora ragionevole che quei due tornassero insieme, mentre io mi trattenevo. Lo misi per iscritto sulla tavoletta, senza i pensieri di contorno. Bert accettò subito.
Marie, adesso, sembrava un po’ meno entusiasta, ma alla fine decise che era una soluzione accettabile. Bert annunciò che sarebbe andato a riferire al Comitato e a cercare aiuto per rimorchiare il sommergibile, ma Marie obiettò che l’avrebbe pilotato personalmente, purché qualcuno dei locali la precedesse a nuoto per farle da guida. Bert poteva dire alla guida dove doveva andare.
Mi stupiva un po’ che Marie fosse disposta a portare il sommergibile da qualche parte senza Bert, in considerazione del suo piano: ma mi resi conto che lei poteva aver esaminato nel frattempo molti altri aspetti della situazione. Sperai che volesse farsi accompagnare da me fino al portello della camera di conversione, ma non ne parlò affatto. Ancora una volta, mi sentivo escluso dai suoi piani e dai suoi pensieri. Aspettammo che Bert avesse terminato di comunicare a segni con uno degli uomini: ci volle un po’ di tempo. Poi l’uomo si avviò a nuoto lungo il corridoio principale, e Marie fece sollevare il sommergibile e ne seguì la scia… un modo di dire, poiché date le circostanze quello non poteva lasciare una scia visibile.