La voce di Marie, però, fu più forte ancora. Le prime parole non furono esattamente quelle che mi sarei aspettate, ma ho già ammesso che lei è capace di pensare molto più rapidamente di me. Non sempre nella stessa direzione, e neppure nella direzione giusta: ma più in fretta.
«Joey!» Avrebbe dovuto essere un grido di sorpresa e di felicità, ma anche in quella particolare situazione acustica ebbi la certezza che non lo era. È difficile credere che una ragazza completamente cotta di qualcuno possa usare con lui il tono di una zia severa, ma era proprio così. «Joey, da quanto sapevi che ero qui?»
Joey si guardò intorno, cercando la tavoletta per scrivere: fui felice di consegnargliela. Non avevo nessuna fretta di riaverla.
«Non lo sapevo fino a questo momento,» scrisse Joey.
«Da quanto tempo sapevi che Bert era qui?»
«Da qualche settimana. Non ricordo esattamente. Un paio di giorni dopo il mio arrivo.»
Credevo di aver indovinato cosa sarebbe venuto, adesso, ma per mia fortuna mi sbagliavo.
Marie non era un tecnico. Sa pilotare un sommergibile in condizioni normali, ma non ha una grande familiarità con tutte le attrezzature innestate su un apparecchio da lavoro. Per questa ragione, ancora oggi non so come facesse a coordinare con tanta perfezione la mossa successiva. Una delle pinze più piccole scattò fuori dal ricettacolo e si chiuse intorno al collo di Bert: e solo quando lui fu bloccato a dovere, Marie fece seguire all’azione le parole.
«Sporco bugiardo! Lurido pezzo di trepang! Dovrei staccarti la testa! Se fosse possibile ti strozzerei! Tu sapevi perché ero venuta e chi stavo cercando. Sapevi che lui era qui. Non gli hai detto che ero arrivata, e mi hai mentito dicendo che non l’avevi visto. E hai manovrato quel povero Tummy, perché seguisse i tuoi piani contorti!»
Mi offesi un po’, nel sentir sottintendere che non avevo né abbastanza intelligenza né spirito d’iniziativa per essere ritenuto responsabile delle mie azioni, ma riuscii a resistere alla tentazione di farmi avanti per insistere che il piano, in parte, era mio. Non protestai neppure perché Marie aveva usato uno dei miei nomignoli più odiosi. La lasciai parlare, semplicemente.
Non continuerò a citare quello che disse: come ho già spiegato, le ho promesso di non farlo. Bert mi faceva un po’ pena, perché quella stretta intorno al collo doveva essere dolorosa, ma come aveva detto Marie, date le circostanze non poteva strozzarlo. Ero sicuro che non l’avrebbe fatto, anche se avesse potuto. Non Marie.
Gli altri, però, sembravano piuttosto preoccupati. La ragazza e i suoi accompagnatori si scagliarono contro il braccio metallico e lo presero inutilmente a strattoni. Con la stessa mancanza di risultati, il dottore cercò di staccare le ganasce delle pinze dal collo di Bert. Joey aveva capito che non era il caso di effettuare tentativi del genere, ma era chiaramente turbato; agitò le braccia e scosse il capo, nel tentativo di indurre Marie a smetterla. Era una scena che avrebbe dovuto essere accompagnata da musica vivace, urla, tonfi di pugni, scrosci di vetri infranti: invece si svolgeva in un silenzio spettrale.
Niente urla, che erano impossibili; niente pugni, che in quel mezzo non si potevano muovere abbastanza rapidamente da produrre tonfi sonori; e niente apparecchi abbastanza fragili da venir danneggiati dai corpi che si dibattevano elegantemente.
Fu Joey a metter fine a quella scena. Aveva ancora in mano la tavoletta e si affrettò a scrivere a stampatello, con le lettere più grandi che potevano entrarci: «LO STAI UCCIDENDO!»
Accostò la tavoletta all’oblò, in modo che Marie non potesse vedere praticamente altro.
Occorsero alcuni secondi, ma all’improvviso, lei tornò in sé e mollò le pinze. Bert era purpureo in viso, e aveva perduto i sensi; il dottore gli afferrò il polso: pensai che lo facesse per sentire se era ancora vivo, ma in realtà se lo rimorchiò semplicemente dietro. I due sparirono nella sala operatoria.
Esitai per qualche secondo, senza saper decidere cosa fosse più importante, poi andai loro dietro. La ragazza ed i suoi amici mi seguirono; la guida di Marie restò fuori, con il sommergibile. Joey, sebbene in un primo momento avesse l’aria di voler venire con noi, cambiò idea.
In sala operatoria, Bert venne prontamente legato sul tavolo, e il dottore si mise all’opera.
A stretto rigore non era un medico: questo lo capivo anch’io. Non possono esserci medici in una popolazione di poche migliaia di persone, da tre o quattro generazioni isolata dalla corrente principale della scienza umana. Tuttavia era un tecnico abilissimo, e per fortuna si trovava nel suo campo. Conosceva alla perfezione la macchina cuore-polmoni, e conosceva tutte le difficoltà del sistema respiratorio e circolatorio. L’interferenza sul riflesso della tosse, necessaria per sopravvivere in quella pressione, aveva prodotto qualche debolezza. Nella sala c’erano i comandi della macchina e degli apparecchi ausiliari, presumibilmente sincronizzati su quelli esterni. Evidentemente, la depressurizzazione non costituiva l’unico scopo dell’impianto.
In meno di trenta secondi, il tecnico aveva collegato Bert alla macchina, e il colorito stava ritornando normale. Poi, con maggior calma, altri strumenti cominciarono a scrutare e a sondare dentro la gola.
A quanto pareva, le lesioni non erano serie, sebbene l’esterno del collo cominciasse a cambiare colore, diventando un enorme ematoma. In meno di cinque minuti il dottore (lo chiamerò così, date le circostanze) ritirò gli strumenti e con una siringa ipodermica iniettò qualcosa nel braccio del suo paziente. Doveva trattarsi di uno stimolante, perché Bert aprì gli occhi quasi subito.
Gli bastarono pochi secondi per orientarsi. Poi fissò lo sguardo su di me e arrossì, veramente. Era ancora un po’ confuso, perché fece per parlare. Il dolore al petto, quando mise sotto pressione i polmoni saturi di liquido, lo richiamò alla realtà. Si guardò intorno, facendo il gesto di scrivere. Il dottore non si scompose, perciò andai io a prendere la tavoletta: ce l’aveva ancora Joey.
Non dovetti interrompere una conversazione, per prenderla. Joey non stava scrivendo, e Marie non stava parlando.
A quanto pareva non era stato detto nulla, durante i momenti drammatici in sala operatoria: avremmo udito la voce di Marie anche di lì, e le tre parole che Joey aveva scritto sulla tavoletta alcuni minuti prima erano ancora lì. Marie lo guardava attraverso l’oblò, e lui guardava dappertutto, ma non lei. Non indugiai per effettuare un’analisi. Mi limitai a prendere la tavoletta dalle mani di Joey e tornai al tavolo operatorio.
Il dottore richiamò l’attenzione di Bert sui tubi che lo collegavano alla macchina, ma non cercò di impedirgli di scrivere. Bert annuì, per spiegare che aveva compreso l’avvertimento, e continuò a lavorare di stilo. Scrisse brevemente, e mi porse la tavoletta.
«Mi dispiace, ma quando mi danno scacco matto me ne rendo conto. Spero che tu abbia maggior fortuna, anche se adesso, dato che lei sa che Joey è vivo, non ci scommetterei. Dille che non mi ha ucciso, se credi che questa possibilità la turbi. Io preferisco non rivederla più.»
Era un messaggio rivelatore. All’improvviso capii perché Bert aveva manomesso la verità, perché aveva tenuto nascosto a Marie la presenza di Joey, perché aveva deciso di tornare alla superficie così all’improvviso, perché non era stato completamente franco con me… e anche perché il Comitato locale era stato tanto riluttante a lasciarci partire entrambi.
E mi resi conto che non ero in condizioni di criticarlo, per questo. Non potevo dire contro di lui una sola parola che non fosse valida anche nei miei confronti. La sola ragione per cui non avevo fatto lo stesso, con la stessa motivazione, era che non ero stato in condizioni di farlo.
Non potevo biasimarlo, e neppure criticarlo. Ho i miei difetti, ma non sono tanto ipocrita. Potevo provare pena per lui: come aveva detto, le sue possibilità erano sfumate.