Marie poteva forse rendersi conto che, per quanto la riguardava, Joey era un caso disperato, anche dopo aver scoperto che era vivo. In tal caso, forse avrebbe scelto me. Ma dopo quelle ultime settimane e le scoperte degli ultimi minuti, non avrebbe voluto saperne di Bert, mai e poi mai.
CAPITOLO 24
Per quel giorno, comunque, le sorprese non erano finite. Mentre varcavo l’enorme valvola e diventavo visibile dalla galleria esterna, sentii la voce di Marie. Era tagliente, ma nonostante questo era pesante come una clava.
«Dove hai preso l’idea che costoro non assimilassero l’ossigeno attraverso i polmoni? Se ho ucciso Bert non ne sono molto pentita, ma la colpa è tua.»
Nonostante tutto, avevo avuto il tempo di prevedere quella domanda, ma non la possibilità di trovare una buona risposta. Mentre il dottore lavorava su Bert, io avevo frugato nella mia memoria. Era abbastanza evidente che la mia teoria del cibo ricco d’ossigeno era finita sotto l’uscio, ma non riuscivo ancora a trovarne una migliore.
Potevo soltanto ripetere quella teoria, e le ragioni che mi avevano spinto ad adottarla. Assicurai Marie che non aveva ucciso Bert. Il mio ragionamento, stranamente, non appariva impeccabile, messo per iscritto, come mi era apparso quando l’avevo elaborato nella mia mente… a parte il fatto che adesso era chiaramente errato. Nonostante questo, Marie parve calmarsi, mentre io scrivevo una pagina dopo l’altra, gliele facevo leggere, le cancellavo e proseguivo. Forse le pause forzate servirono a qualcosa.
«Ammetto che prima mi avevi convinta,» disse lei, quando ebbi finito, «e neppure io riesco a vedere la lacuna. Joey, nel periodo che hai trascorso qui, hai scoperto quanto basta per dirci dov’è l’errore in questa idea?»
«Credo di sì,» scrisse lui. Si interruppe e si mise davanti all’oblò in modo che Marie potesse leggere mentre lui tracciava le parole. Io mi portai a nuoto un po’ sopra di lui, e feci altrettanto.
«L’errore era naturale. Avevate ragione, osservando che noi non respiravamo, nel senso che non vi erano movimenti del torace. Ma nonostante questo, noi riceviamo l’ossigeno da questo liquido. È meraviglioso. Si può dire che abbia una struttura molecolare vagamente paragonabile all’emoglobina, in quanto lega alla propria superficie le molecole di ossigeno; non so quante, ma in numero elevato. Non ha i gruppi della porfirina, come l’emoglobina: si sono dati parecchio da fare per renderlo trasparente alla luce visibile. Non saprei disegnare a memoria la formula strutturale. Ma l’ho vista. È perfettamente comprensibile.
«Ora riflettete un momento. L’ossigeno liquido ha una concentrazione molecolare circa quattromila volte superiore a quella del gas che respiriamo normalmente. La ragione per cui dobbiamo respirare è che la diffusione, alle concentrazioni presenti al livello del mare, non riesce a far passare attraverso la trachea abbastanza ossigeno per tenere in vita un animale grosso quanto un essere umano. Naturalmente, non si può vivere nell’ossigeno liquido, a causa dei problemi di temperatura. Tuttavia, in questo liquido la concentrazione dell’ossigeno quasi libero è molto, molto superiore a quella nell’atmosfera… inferiore di gran lunga a quella dell’ossigeno liquido, ma comunque altissima. C’era un altro problema: dacché c’erano, hanno dato al nucleo di questa molecola una struttura capace di spezzarsi endotermicamente a temperature superiori a poche centinaia di gradi. Perciò, un fuoco tenderà ad estinguersi. Ma è una questione secondaria, per quanto riguarda la respirazione.
«Quando le molecole del liquido cedono l’ossigeno ai polmoni, quelle vicine passano altro O2 a quelle che l’anno perduto; altre ancora le riforniscono, e così via. È un po’ come quando ci si mette in catena per passarsi i secchi d’acqua quando si vuol spegnere un incendio, ma è una situazione che viene descritta dalle stesse equazioni che usereste per un problema di diffusione. Il ritmo del trasporto dell’ossigeno dipende dalla differenza di concentrazione tra l’interno dei polmoni e l’esterno, e dall’area della barriera attraverso cui avviene la diffusione… in questo caso, la sezione minima della trachea. La concentrazione dell’ossigeno intorno a noi è sufficiente per tenerci in vita mediante la diffusione attraverso la trachea. Non so bene come vada l’eliminazione dell’anidride carbonica, ma credo che in questo la vostra teoria sia pressoché esatta; viene risolto legandola in carbonati insolubili nell’intestino ed espellendola nei rifiuti solidi. Come dico, mi sembra un po’ strano, e può darsi che abbia frainteso, quando ho letto la spiegazione. Approfondirò la cosa quando avrò tempo. Non sono un fisiologo, ma è una lettura affascinante: soprattutto la storia degli sviluppi.»
«Ma perché un sistema così complesso? Un portatore d’ossigeno meno efficiente funzionerebbe lo stesso, purché ne pompassi nei tuoi polmoni sempre nuovi quantitativi! È per questo che respiriamo, del resto!» Marie, evidentemente, non ragionava con il suo solito acume, in quel momento: persino io avevo intuito la spiegazione. Presi la tavoletta dalle mani di Joey — anzi, fu lui a porgermela, con un vago sogghigno — e incominciai la mia esposizione.
«Pompare un liquido più denso dell’acqua attraverso la trachea richiederebbe uno sforzo enorme, e probabilmente pressioni polmonari pericolosamente elevate. Io ho provato, subito dopo la trasformazione, e so che è molto doloroso. Non mi sorprenderebbe se in questo modo si causassero lacerazioni nel tessuto polmonare. È una concatenazione logica: si riempiono di liquido le cavità del corpo, in modo che la pressione esterna possa venire compensata senza pericolosi cambiamenti di volume; allora non si può pompare il liquido con il normale apparato respiratorio; perciò deve esserci una concentrazione di ossigeno libero abbastanza elevata per diffonderne una quantità adeguata giù per la gola. È semplice, una volta che si afferra il meccanismo. Ma qual è la fonte primaria dell’ossigeno, Joey?»
«Proprio quella che immaginavi. La fotosintesi. Ecco dove finisce gran parte dell’energia prodotta qui. Circa tre quarti dell’ossigeno provengono da alghe geneticamente modificate che vivono nel punto di contatto tra l’oceano e il liquido che respiriamo. Il resto proviene dalle piante coltivate. La perdita nelle acque dell’oceano è minima, grazie al rapporto favorevole della parete divisoria.»
Ripresi la tavoletta.
«Be’, almeno avevo ragione, quando ho intuito perché era pericoloso ridere, e perché eliminano il riflesso della tosse; sono entrambe azioni che potrebbero lesionare i polmoni.»
«Certo,» riconobbe Joey. «Non pretendo di sapere ancora tutto… probabilmente non lo sa neppure Bert, che pure è qui da molto più tempo. Ricorda, tutto ciò che abbiamo potuto imparare è ciò che abbiamo letto: e solo ciò che era scritto in lingue che conoscevamo. Non ce lo hanno detto quelli che stanno qui. Non solo è impossibile parlare con loro a questo livello: sono sicuro che in maggioranza non lo sanno neanche loro. Quanti, alla superficie, in ogni gruppo di quindicimila persone, possono essere dottori o fisiologi o ingegneri?»
«È per questo che hanno tanto bisogno di noi,» intervenni io. «Bert deve avertelo detto.»
«E chi credeva a Bert?» scattò Marie… noi avevamo tenuto i nostri scritti in modo che potesse leggerli, naturalmente, anche quando non erano rivolti a lei. Joey prese la tavoletta.
«Avresti fatto meglio a credergli. Se ti ha detto che costoro sono praticamente disposti a far di tutto per trattenere qui i visitatori dotati di esperienza tecnologica, era la verità. Da quanto ho potuto capire nelle ultime settimane, se non si fa molto presto un lavoro estensivo su questa installazione, nei prossimi due decenni ci saranno dodici o quindicimila individui costretti ad emigrare alla superficie ed a mendicare la loro razione d’energia.»