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Bjault si arrampicò a bordo della scialuppa e agganciò le cinture. Il dolore incominciava di nuovo a pulsargli nel ventre, segnalando che la ripresa sarebbe stata breve. Diresse lo sguardo oltre il boccaporto e vide che Pelio aveva finito proprio in quel momento di salutare Dzeda e Lan.

— Qui, Samadhom — ordinò il principe. L’orso obbedì al richiamo del padrone, facendosi goffamente strada sul pavimento ingombro di detriti. Pelio si inginocchiò, prese la grossa testa dell’animale tra le braccia e se la strinse al petto. — Addio, Samadhom — disse con dolcezza, e la voce tradì un tremito.

L’orso non poteva affrontare il viaggio con loro. Le membrane anti-accelerazione della scialuppa erano in grado di proteggere due o, al massimo, tre passeggeri. La cosa non aveva creato grossi problemi durante il volo relativamente tranquillo sopra le montagne in compagnia di Bre’en, ma questa volta i witling sarebbero sbucati con grande violenza nell’aria sopra l’isola di Draere, e la decelerazione iniziale sarebbe stata pari a venti volte la forza di gravità. Su una cosa, Dzeda aveva ragione. Quando si colpisce l’aria a velocità supersoniche, è davvero come andare a sbattere contro un muro di roccia. Samadhom sarebbe morto, se lo avessero portato con loro.

Ma l’orso non era in grado di capirlo. Quando Pelio salì nella scialuppa, il povero animale arrancò freneticamente per raggiungerlo. Dzeda lo prese per la collottola e lo tirò indietro. Per quanto fioco, il meep di Samadhom assunse toni disperati. Pelio si protese fuori dal boccaporto. — Per favore, buon Dzeru, vi prenderete cura di lui?

Per una volta, il viso del conte rimase perfettamente serio. — Lo prometto. — Allungò il collo per guardare Bjault. — Lo terrò in buona salute… in attesa del vostro ritorno — aggiunse con un’occhiata significativa.

Dzeda si scostò dalla scialuppa e Bjault conferì per l’ultima volta con Lan Mileru. Poi il portello venne chiuso, sigillato… e loro rimasero soli. Dai finestrini, Ajao guardò gli altri allontanarsi. Nessuno voleva rischiare di trovarsi nei paraggi nel momento in cui la scialuppa avrebbe spiccato il salto. Come Bjault e Mileru avevano, programmato, il veicolo sarebbe riemerso a circa cento metri di altezza sopra la stazione di Draere, e cioè trecento metri sul livello del mare. Le leggi di conservazione dell’energia non sarebbero state violate, dato che Tsarangalang si trovava a quattrocento metri di altitudine, ma l’aria che loro avrebbero rimosso sopra l’isola sarebbe stata rengata lì, e sarebbe riemersa alla velocità di un chilometro al secondo. Tanto peggio per chi ci si trovava di mezzo.

Il silenzio sembrò dilatarsi. Ajao aveva sperato che in quegli ultimi secondi non ci fosse più tempo per le riflessioni, o per la paura. Nei giorni passati, finché quel momento era stato lontano, lui era riuscito a considerare il progetto come un semplice problema di aerodinamica, una questione risolvibile con la matematica e il buon senso. Ma ora, sulla soluzione fornita al problema, erano in gioco tutte le loro vite e i rischi che aveva considerato insieme a Yoninne non potevano più essere ignorati. Era come se si proponessero di attraversare l’oceano su un canotto di gomma bucato o di affrontare una cascata aggrappati a un tronco di legno. Certo, la scialuppa era stata progettata per sopportare velocità molto superiori ai mille metri al secondo, ma solo al di sopra della stratosfera, dove l’aria era dieci volte più rarefatta di quella presente al livello del mare. Anche con tutta la zavorra che avevano a bordo, la parte più bassa e più densa dell’atmosfera avrebbe generato una resistenza pari a venti volte la forza di gravità. Lo scafo e le cinghie di contenzione della zavorra avrebbero retto? Dopotutto, la scialuppa era stata costruita per sopportare un forte sbalzo termico, non grossi carichi gravitazionali.

Uno scricchiolio. Un altro scricchiolio. La scialuppa cigolò sui cunei che la mantenevano in posizione. Nella cabina buia, Ajao lanciò un’occhiata a Pelio.

— Qualcuno ha ricominciato a rengare pietre — disse il principe. Dall’alto giunse il rumore attutito di un’esplosione e il tetto già traballante ondeggiò minacciosamente sopra di loro. Attraverso i finestrini si videro dei soldati correre sotto il chiaro di luna. Soldati che indossavano gambali pesanti al posto dei gonnellini di Tutt’Estate.

Lan, rengaci via di qui!, pregò Bjault.

La preghiera fu esaudita. Ajao ebbe un attimo di tempo per prendere agevolmente fiato all’interno della membrana protettiva e poi si ritrovò di colpo schiacciato contro il sedile, con la pelle del viso e delle braccia che minacciava di staccarsi dalle ossa. La pressione gli svuotò i polmoni e non fu più possibile inspirare. La nebbia tremula di una temporanea perdita di coscienza si chiuse su di lui…

Ma prima riuscì a vedere, attraverso i finestrini, un orizzonte illuminato dal sole che si allontanava sopra di loro.

21

Appena conclusa la riunione del Consiglio, Bjault ritornò verso l’Ospedale Centrale.

L’edificio, costruito secondo i canoni tipici dell’architettura coloniale, aveva un singolo piano, modellato nell’allumina fusa, con porte e finestre ad apertura manuale. Era al tempo stesso pratico e orrendo. Tuttavia, i Novamerikani avevano stabilito il loro centro medico sul Versante Oceanico che si affacciava sulle palme piramidali e sulle sabbie rosa del mare polare. Cosicché, di tutte le costruzioni della nuova colonia, l’ospedale era l’unico dotato di terrazze panoramiche. Ajao attraversò a piedi il prato umido, mentre il profumo dell’erba e dei fiori si mescolava a quello dell’oceano alieno.

Era sera. Il sole scivolava lungo l’orizzonte in una sorta di tramonto rallentato e la sua luce colorava d’oro e di verde iridescente la cresta delle onde. Lì al Polo Sud di Novamerika, la sera, se così si poteva definirla, sarebbe durata per altri quattro giorni. Poi il sole sarebbe tramontato, lasciando il posto alle tempeste invernali. Non erano così paurose come quelle estive, quando il mare arrivava quasi a un punto di ebollizione, ma si trattava pur sempre di una seccatura. Il prato, per esempio, senza una speciale protezione sarebbe morto per l’eccessiva abbondanza delle piogge.

Ajao si lasciò l’erba alle spalle e imboccò il viale piastrellato di rubino che conduceva all’interno. Aveva trascorso gli ultimi trenta giorni in quell’edificio. Per la maggior parte del tempo era rimasto privo di conoscenza, mentre il suo sangue veniva sostituito da un idrocarburo sintetico in grado di garantirgli la quantità di ossigeno sufficiente a rimanere in vita. La stessa sostanza aveva anche provveduto a disciogliere lentamente dai suoi tessuti l’accumulo di sostanze metalliche velenose. I dottori gli avevano riferito che quando la nave di soccorso era atterrata sull’isola di Draere lui si trovava già in stato di profondo coma necrotico. L’ultima cosa che ricordava era il delirante tentativo di parlare in un microfono di fortuna, nella cabina di trasmissione della stazione telemetrica. Non aveva ricevuto risposta. La sopravvivenza era stata davvero legata a un filo.

Ma l’arrivo dei soccorsi non aveva significato solo la sua sopravvivenza individuale. Lo leggeva sulla faccia dei medici e dei ricercatori che lo salutavano lungo il corridoio. Tutti avevano guardato la riunione del Consiglio sugli schermi a circuito chiuso, e avevano capito come gli avvenimenti degli ultimi giorni avrebbero rivoluzionato l’intero corso della storia umana nello spazio.