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Con ira, Lamont esclamò: — L’immortalità! Chi parla adesso di un sogno irrealizzabile?

— Forse voi siete un buon giudice in materia di sogni irrealizzabili, professore — replicò Chen. — Ma io intendo far cominciare le ricerche sulla questione dell’immortalità. E non cominceranno, se la Pompa smette di funzionare, perché dovremmo tornare all’energia dispendiosa, all’energia in quantità limitata, all’energia sporca! I due miliardi di uomini che vivono sulla Terra dovrebbero rimettersi a lavorare per vivere e il sogno irrealizzabile dell’immortalità resterebbe un sogno irrealizzabile!

— Lo resterà comunque. Nessuno diventerà mai immortale, anzi, nessuno riuscirà ad arrivare in fondo alla sua vita di durata normale!

— Ah, ma questa è solo la vostra teoria!

Lamont soppesò le possibilità che ancora gli restavano e decise di giocare d’azzardo. — Signor Chen, poco fa ho detto che non potevo spiegare come mai conoscessi lo.stato d’animo dei para-uomini. Be’, adesso ci proverò. Da un po’ di tempo stiamo ricevendo loro messaggi.

— Sì, lo so, ma siete riuscito a decifrarli?

— Abbiamo ricevuto una parola in inglese.

Chen corrugò la fronte. Poi, di scatto, infilò le mani in tasca, stese davanti a sé le gambe corte e si appoggiò allo schienale della sua poltrona. — E che parola era?

— Paura! — Lamont non giudicò necessario accennare all’errore di ortografia.

— Paura — ripeté Chen. — E, secondo voi, cosa significa?

— Non è evidente che anche loro hanno paura del fenomeno del Pompaggio?

— Niente affatto. Se ne avessero paura, fermerebbero tutto. Secondo me, hanno paura, d’accordo, ma che lo fermiamo noi. Voi gli avete fatto capire le vostre intenzioni e, se noi lo fermassimo, anche loro sarebbero costretti a farlo, no? L’avete detto voi che non possono far funzionare la Pompa senza di noi! Quindi, è un teorema con due soluzioni, e io non mi meraviglio che abbiano paura!

Lamont rimase in silenzio.

— Vedo che a questo non avevate pensato — riprese Chen. — Be’, allora mi darò da fare per la questione dell’immortalità. Ritengo che sarà una causa più popolare.

— Ah, le cause popolari — disse Lamont lentamente, riflettendo. — Non avevo capito che cosa vi stesse a cuore, in realtà. Quanti anni avete, signor Chen?

Chen batté le palpebre per qualche istante, poi si alzò e uscì dalla stanza a passo svelto, le mani strette a pugno.

In seguito Lamont lesse la sua biografia. Chen aveva sessant’anni e suo padre era morto a sessantadue. Ma non aveva più importanza.

9

— A vederti, non si direbbe che hai avuto fortuna — disse Bronowski.

Seduto nel suo laboratorio, Lamont si fissava la punta delle scarpe, mentre pensava che gli parevano stranamente consumate. Scosse la testa. — Infatti.

— Anche il grande Chen ti ha scaricato?

— Non vuole muovere un dito e pretende anche lui delle prove. Vogliono tutti delle prove, ma, se gliene dai una, la respingono. In realtà quello che vogliono è la loro stramaledetta Pompa, oppure il loro buon nome o un posto nella storia. Chen, lui, vuole l’immortalità.

— E tu che cosa vuoi, Pete? — chiese Bronowski, pacato.

— La salvezza dell’umanità — rispose Lamont. Poi alzò gli occhi sull’amico, con aria interrogativa. — Non mi credi?

— Ti credo, ti credo. Ma cosa vuoi più di tutto?

— Be’, perdio, in questo caso — e, così dicendo, Lamont diede una gran manata sul piano della scrivania — voglio aver ragione, e voglio che me la diano, perché so di averla!

— Ne sei sicuro?

— Sicurissimo! E non c’è niente che mi spaventi, perché intendo spuntarla. Lo sai che, uscendo dopo aver parlato con Chen, per poco non mi sono sentito un verme?

— Tu?

— Sì, io. Perché no? Pensavo: a ogni passo, Hallam mi blocca. Finché Hallam mi darà torto, tutti avranno una scusa per non credermi. Con Hallam piantato sulla mia strada come un macigno, per forza non combino niente. Allora non sarebbe meglio che me lo lavorassi? Che lo ungessi per benino? Perché non manovrarlo, in modo che mi appoggi, invece di punzecchiarlo col risultato di mettermelo contro?

— Credi di esserne capace?

— No, assolutamente. Ma ero talmente disperato che ho persino pensato… be’, a una quantità di cose. Che avrei potuto andare sulla Luna, magari. Naturalmente, quando me lo sono inimicato, al principio, non si parlava ancora della fine della Terra, ma avevo già fatto di tutto per peggiorare la situazione quando il problema è sorto. Comunque, come hai capito subito anche tu, niente e nessuno lo avrebbero indotto a trovare un solo difetto nella sua Pompa!

— Adesso, però, non mi pare che tu ti senta un verme.

— No, è vero. Perché dal mio colloquio con Chen ho ricavato qualcosa di utile. Mi ha dimostrato che stavo perdendo il mio tempo.

— Parrebbe, no?

— Sì, ma senza necessità. La soluzione non è qui, sulla Terra. Ho detto a Chen che il nostro Sole potrebbe esplodere, mentre il sole del para-universo non esploderà, ma che, tuttavia, i para-uomini non si salveranno perché, dopo l’esplosione del nostro Sole, le Pompe dalla nostra parte si fermeranno e di conseguenza si fermeranno anche le loro. Non possono farle funzionare senza di noi, capisci?

— Certo che capisco!

— Allora perché non capovolgiamo la situazione? Nemmeno noi possiamo far funzionare le Pompe senza di loro! Nel qual caso chi se ne importa se non siamo noi a fermarle? Bisogna convincere i para-uomini a fermarle loro!

— Ah… ma lo faranno?

— Hanno detto P-A-U-B-A. Il che vuol dire che hanno paura. Chen dice che hanno paura di noi, cioè hanno paura che noi fermiamo le Pompe, ma secondo me è assurdo. Loro hanno paura, e basta. Me ne sono stato zitto, quando Chen ha tirato fuori la sua interpretazione, tanto che ha creduto di avermi convinto. Ma si sbagliava. In quel momento mi era venuto in mente che noi dovevamo convincere i para-uomini a fermare tutto. E dobbiamo riuscirci. Mike, io mollo tutto il resto, ma non te. Tu sei la speranza dell’umanità. Cerca di farglielo capire, in qualche modo!

Bronowski si mise a ridere, di un riso allegro, quasi infantile. Poi esclamò: — Pete, sei un genio!

— Già. Te ne sei accorto solo adesso?

— No, parlo sul serio. Sai quello che voglio dirti ancor prima che io te lo dica. In questi ultimi tempi ho mandato un mucchio di messaggi, uno dopo l’altro, adoperando i loro simboli in un modo che speravo volesse dire “Pompa” e mettendoci a fianco anche la nostra parola. E poi ho fatto del mio meglio per riordinare tutti i miei appunti di vari mesi, in modo da tirar fuori qualcosa che significasse disapprovazione e mettendoci di nuovo la parola inglese “male”. Non sapevo affatto se ci avevo azzeccato oppure se ero fuori strada di chilometri, ma, dal momento che non avevo mai ricevuto una risposta, avevo poche speranze.

— Non mi hai parlato di questi tuoi tentativi!

— Be’, questa parte del problema è la mia creatura, no? Forse che tu stai lì a spiegarmi ogni volta la para-teoria?

— E allora? Cos’è successo?

— Allora ieri gli ho mandato due parole. Proprio due, nella nostra lingua. Gli ho scarabocchiato: P-O-M-P-A M-A-L-E.

— E poi?

— E poi stamattina ho ricevuto finalmente risposta. Una bella risposta semplice e diretta. Hanno scritto: S-Ì P-O-M-P-A M-A-L-E M-A-L-E M-A-L-E. Ecco, guarda tu.

La mano di Lamont tremava, nel prendere la lamina metallica. — Non c’è nessun errore, vero? Questa è una conferma, non ti pare?

— A me pare di sì. A chi la mostrerai, adesso?

— A nessuno — rispose Lamont, con decisione. — Non ho più voglia di litigare. Mi direbbero che ho falsificato il messaggio, e non vale la pena che io stia là seduto a incassare. Lascia che i para-uomini fermino le Pompe. Si fermeranno anche dalla nostra parte e nessuno potrà rimetterle in funzione unilateralmente, da qui! Allora sì che tutta la Stazione si darà da fare per provare che io avevo ragione e che la Pompa è pericolosa!