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— Quella roba che hai chiamato plutonio 186 — sbottò Hallam.

— Ah. Ecco, era stabile.

— Stabile come il tuo cervello! Se definisci quella roba non radioattiva, è meglio che tu vada a fare l’idraulico.

Tracy corrugò la fronte. — E va bene, dottore. Datemela qua che vediamo. — Poco dopo esclamò: — Che io sia…! È radioattiva. Non molto, ma lo è Non capisco come ho fatto a non accorgermene.

— E adesso come faccio a fidarmi di quella tua balla che sia plutonio 186?

Ormai Hallam c’era dentro fino al collo. Il mistero era diventato talmente esasperante che lo considerava un affronto personale. Chiunque avesse scambiato la bottiglia con un’altra, o avesse scambiato il contenuto con un altro, doveva averlo fatto di nuovo, oppure doveva aver inventato un metallo al solo scopo di prenderlo in giro. A ogni buon conto lui era disposto a fare a pezzi il mondo per risolvere l’enigma, se doveva… e se ci fosse riuscito.

Sostenuto dalla sua testardaggine e da una determinazione che non rendeva facile a nessuno liberarsi di lui, andò difilato da G.C. Kantrowitsch, a quell’epoca nell’ultimo anno della sua notevole carriera. Era difficile ottenere l’aiuto di Kantrowitsch, ma dopo averlo ottenuto si partiva in quarta.

Due giorni dopo, infatti, il vecchio entrò come un fulmine nell’ufficio di Hallam, in preda all’eccitazione. — Avete toccato questo materiale con le mani?

— Un paio di volte.

— Be’, non fatelo più. Neanche se fosse necessario. Emette positroni.

— Eh?

— I positroni più robusti che io abbia mai visto… E i vostri calcoli della sua radioattività sono in difetto.

— In difetto?

— Troppo bassi. Ma c’è una cosa che non mi quadra. Ogni volta che la misuro è di un tantino più alta che la volta precedente.

6 (continuazione)

Bronowski pescò una mela nella capace tasca della giacca e le diede un morso. — Okay. Hai visto Hallam che ti ha preso a calci come ti aspettavi. E adesso?

— Non ho ancora deciso. Ma, qualunque cosa farò, gli finirà su quel grosso deretano. L’avevo già visto una volta, sai? Anni fa, quando ero appena arrivato qui, quando credevo ancora che fosse un grand’uomo. Un grand’uomo… Il peggior mascalzone nella storia della scienza. Ha riscritto la storia della Pompa, sai, l’ha riscritta qui… — Lamont si toccò la tempia con un dito. — Crede alle sue stesse fantasie e le difende a spada tratta. È un pigmeo con un solo talento: l’abilità di convincere gli altri che è un gigante. — Lamont alzò gli occhi sul faccione placido di Bronowski, ora increspato da un sorriso divertito, e riuscì a rimediare una risatina. — D’accordo, anche questo non serve a niente e comunque te ne ho già parlato.

— Parecchie volte — annuì Bronowski.

— Ma mi scoccia talmente che tutti quanti…

2

All’epoca in cui Hallam aveva preso in mano il suo tungsteno alterato, Peter Lamont aveva due anni. Ne aveva venticinque quando ottenne il posto alla Prima Stazione della Pompa, anche lui con la tesi di laurea fresca di stampa, e contemporaneamente accettò un incarico presso la facoltà di fisica dell’università.

Per uno così giovane erano risultati più che soddisfacenti. La Prima Stazione non aveva il lustro di quelle costruite successivamente, ma era la nonna di tutta la catena di stazioni che ormai faceva il giro completo del pianeta, anche se la tecnologia su cui si basava aveva soltanto una ventina d’anni. Nessun altro progresso tecnico importante si era mai imposto con tanta rapidità e così totalmente. Ma perché non avrebbe dovuto? Significava energia illimitata, gratuita e senza problemi: era il Babbo Natale e la lampada di Aladino del mondo intero.

Lamont aveva accettato il posto per potersi occupare dei problemi relativi alle più elevate astrazioni teoretiche, invece scoprì di provare un grande interesse per la sorprendente storia della nascita e dello sviluppo della Pompa Elettronica. Non era mai stata scritta nella sua interezza da qualcuno che capisse veramente i principi teorici (per quel tanto che potevano essere capiti) e che fosse anche in grado di spiegarne le difficoltà in modo comprensibile al grosso pubblico. Per la verità lo stesso Hallam aveva scritto diversi articoli divulgativi, che però non costituivano una storia organica e ragionata come quella che Lamont aveva un gran desiderio di scrivere.

Per cominciare utilizzò gli articoli di Hallam e le dichiarazioni, pubblicate, di altre persone — i documenti ufficiali per dirla in breve — che si riferivano all’osservazione di Hallam destinata a sovvertire il mondo, la Grande Intuizione, com’era sovente definita (e invariabilmente con le iniziali maiuscole).

In seguito naturalmente, dopo aver sperimentato le prime delusioni, Lamont scavò più a fondo e nella mente gli nacque il dubbio che la grande intuizione di Hallam non fosse stata proprio di Hallam. Era stata esposta per la prima volta alla riunione di esperti e docenti universitari che costituiva il vero inizio della Pompa Elettronica, eppure, a conti fatti, gli fu estremamente difficile ottenere i particolari di quella riunione e del tutto impossibile reperirne le registrazioni sonore.

Alla fine Lamont cominciò a sospettare che la cancellazione delle orme lasciate sulla sabbia del tempo da quella riunione non fosse interamente accidentale. Mettendo insieme numerosi dati con la sua intelligenza, si convinse che esisteva la ragionevole probabilità che John F.X. McFarland avesse detto qualcosa di molto, molto simile alla dichiarazione fondamentale di Hallam… e che lo avesse fatto prima di Hallam.

Andò a trovare McFarland, che non era inserito in alcuna organizzazione ufficiale e che al momento si occupava di ricerche relative all’atmosfera superiore, con particolare riguardo al vento solare. Non era un lavoro di primissimo piano, ma aveva i suoi vantaggi e molto più che qualche attinenza con gli effetti della Pompa. Era evidente che McFarland era riuscito a non finire nel dimenticatoio, evitando il destino che aveva travolto Denison.

Fu abbastanza cortese con Lamont e accettò di parlare di tutto, tranne che di quanto era successo durante quella riunione. Semplicemente, non la ricordava.

Lamont insisté, riferendogli le prove che aveva raccolto.

McFarland tirò fuori la sua pipa, la caricò, ne esaminò il contenuto con grande attenzione, poi disse, con una strana intensità: — Non intendo ricordare, perché non è importante. Sul serio. Facciamo l’ipotesi che io ammetta di aver detto qualcosa. Nessuno lo crederebbe. Farei la figura dell’idiota.

— E Hallam farebbe in modo che vi mettessero subito in pensione.

— Non ho detto questo, ma non vedo a cosa mi servirebbe. Che differenza fa, a ogni modo?

— È una questione di verità storica! — esclamò Lamont.

— Balle. La verità storica è che Hallam non ha mai mollato. Ha trascinato tutti nelle ricerche, volenti o nolenti. Senza di lui, quel tungsteno alla fine sarebbe esploso, causando chissà quante vittime. E forse non ne avremmo mai avuto un secondo campione e non avremmo mai avuto la Pompa. Per questo Hallam ha diritto al merito, anche se non ha diritto al merito, e se questo concetto è senza senso non posso farci niente, perché la storia non ha senso.

Lamont non fu soddisfatto da questa dichiarazione, ma dovette contentarsene, dal momento che McFarland non volle dire altro.

Verità storica!

Un pezzetto di verità storica che pareva assodato fu che era stata la radioattività a portare al successo il “tungsteno di Hallam” (perché era così che veniva chiamato per consuetudine storica). Non ebbe nessuna importanza che fosse o non fosse tungsteno, che fosse stato manomesso oppure no, e nemmeno che fosse o non fosse un isotopo impossibile. Tutto passò in secondo piano davanti alla stupefacente realtà di qualcosa — qualunque cosa fosse — che mostrava un costante aumento nell’intensità della sua radioattività, in circostanze che escludevano l’esistenza di qualsiasi tipo di disintegrazione radioattiva, in qualsiasi quantità, fino ad allora noto.