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Confusamente, però, trovava — di fronte a se stessa — una giustificazione del suo comportamento nella dura prova che erano i suoi rapporti con le altre. Le grida “Emo-Sin! Emo-Sin!” avevano cominciato a seguirla ovunque, proprio allora, come una specie di umiliazione pubblica. Era quello il periodo della sua vita durante il quale era stata spinta a un isolamento quasi totale per sfuggire a quella tortura e la sua precedente propensione alla solitudine si era pertanto rafforzata. Essendo sempre sola, poi, aveva trovato consolazione nelle rocce. Lo stropicciamento, fosse una cosa sporca o no, era un atto solitario e loro la costringevano a stare sempre sola.

Per lo meno, questo era quanto lei si diceva.

Aveva tentato di rendergli pan per focaccia, una volta. Le aveva insultate, urlando: — Siete un branco di Emo-Destridi! Un branco di sporche Emo-Destridi! — a tutte quelle mediane che la prendevano in giro.

Ma loro si erano messe a ridere, e Dua era corsa via, confusa e frustrata. Loro erano davvero Emo-Destridi. Quando si avvicinava l’età di formare una triade, quasi tutte le Emotive cominciavano a interessarsi ai bambini, svolazzando sui piccoli a imitazione dei Paterni, cosa che lei trovava repellente. Non aveva mai provato quell’interesse: i bambini erano solo bambini ed erano i fratelli destridi a occuparsene!

Il soprannome odioso non le era stato più rivolto dopo che era cresciuta. In parte aveva contribuito il fatto di essere rimasta con una struttura molto giovanile, quasi da ragazzina, tanto rarefatta e agile che era in grado di fluttuare in un unico ricciolo fumoso, impossibile da imitare. E poi, quando sinistridi e destridi avevano cominciato a mostrare un sempre più vivo interesse per lei, le altre Emotive non avevano proprio più potuto schernirla.

Tuttavia… tuttavia, adesso che nessuno più osava mancare di rispetto a Dua (perché in tutte le caverne si sapeva che Odeen era il più importante Razionale della sua generazione e lei era la sua congiunta mediana), aveva raggiunto l’intima certezza di essere irrimediabilmente un’Emo-Sin.

Non riteneva che fosse una cosa sporca, no, ma in qualche occasione si era scoperta a desiderare di essere un Razionale e ne era rimasta sconcertata. Si chiedeva se le altre Emotive avessero mai avuto, anche una volta sola, un simile desiderio e se per caso non fosse quello il motivo, almeno in parte, per cui lei non voleva una bambina Emotiva — cioè perché lei stessa non era una vera Emotiva — e non copriva degnamente il suo ruolo nella triade…

A Odeen non era mai importato che lei fosse un’Emo-Sin. Non l’aveva mai chiamata così, sebbene gli piacesse molto che lei s’interessasse al suo lavoro, gli piacessero le sue domande cui lui immancabilmene rispondeva, e gli piacesse anche il fatto che lei capiva le risposte. La difendeva sempre quando Tritt si mostrava geloso, be’, non proprio geloso, ma contrario, nella sua visione testarda e limitata del mondo, a tutto quanto riteneva inutile e inadatto alla triade.

Qualche volta Odeen l’aveva condotta alle caverne dei Duri, fiero della sua posizione e palesemente compiaciuto dell’impressione che suscitava in lei. E Dua ne era rimasta davvero impressionata, non tanto per la sua intelligenza e la sua immensa cultura, quanto per il fatto che Odeen era lieto di dividere con lei tutto quello che sapeva. (Ricordava bene l’aspra risposta del suo padre sinistride quell’unica volta che gli aveva fatto una domanda!) Non era mai stata così felice e lo aveva amato ancora di più, perché lui la rendeva partecipe della propria vita… anche se quella era un’altra prova della sua diversità.

Forse era a causa di quella sua natura ibrida — le veniva da pensare sempre più spesso — che si sentiva ogni giorno più vicina a Odeen mentre si allonanava da Tritt, e trovava sempre più insopportabile l’insistenza del secondo. Odeen non le aveva mai accennato, nelle sue spiegazioni, a niente del genere, ma forse Tritt la percepiva vagamente e, benché incapace di capirla, ne ricavava ugualmente un senso d’infelicità.

La prima volta che era andata in una caverna dei Duri, ne aveva udito due parlare tra loro. Allora non sapeva che parlassero, naturalmente. Aveva sentito una vibrazione nell’aria, rapidissima e mutevole, che si trasformava in uno spiacevole ronzio dentro di lei. Si era rarefatta e aveva lasciato che la vibrazione l’attraversasse.

Odeen aveva detto: — Stanno parlando. — Poi, anticipando la sua obiezione: — Nella loro maniera di parlare. Tra loro si capiscono.

Dua si era sforzata e aveva afferrato subito quel concetto. Era più che mai felice di riuscire a capire subito una cosa perché, tra l’altro, così rendeva contento Odeen. (Lui le aveva detto, una volta: “Tutti gli altri Razionali che conosco hanno un’Emotiva con la testa vuota. Io sono più fortunato”. Lei aveva ribattuto: “Ma agli altri Razionali le teste vuote piacciono molto. Perché tu sei diverso da loro, Odeen?”. Lui non aveva negato che agli altri piacessero le teste vuote, aveva detto solo: “Non ci ho mai pensato e non credo che sia una cosa tanto importante da pensarci sopra. Io sono molto contento di avere te, e contento di esserne contento”.)

Gli aveva chiesto: — Tu capisci il modo di parlare dei Duri?

— Non proprio — aveva risposto Odeen. — Posso sentire i cambiamenti abbastanza in fretta. Qualche volta percepisco la sensazione che provano per quello che stanno dicendo, anche senza capire le parole, soprattutto dopo che ci siamo fusi. Ma solo qualche volta. Percepire le sensazioni è in realtà una specialità delle Emotive, solo che, se mai ci si provasse, un’Emotiva non saprebbe dare un senso a quello che percepisce. Però, tu potresti.

Dua si era schermita. — Non posso, ne ho paura. Magari a loro non piace.

— Su, prova. Sono curioso. Vedi se riesci a dirmi di cosa stanno parlando.

— Davvero potrei?… Davvero?

— Sì, forza. Se ti scoprono e la cosa ti disturba, gli dirò che sono stato io a chiedertelo.

— Promesso?

— Te lo prometto.

Piuttosto nervosa, Dua si era estesa in direzione dei due Duri, ponendosi in uno stato di completa passività per facilitare l’afflusso delle sensazioni.

— Eccitazione! — aveva detto. — Sono eccitati. Per qualcuno nuovo.

Odeen aveva avanzato una supposizione: — Magari per Estwald.

Era stata la prima volta che Dua aveva sentito quel nome. — Questo è buffo.

— Che cosa?

— Ho la sensazione di un sole grande. Molto, molto grande.

Odeen aveva riflettuto. — Forse stanno parlandone.

— Ma come può esistere?…

In quel momento i Duri li avevano visti. Si erano avvicinati, accogliendoli amichevolmente, e li avevano salutati parlando alla maniera dei Morbidi. Dua era tremendamente imbarazzata, per timore che si fossero accorti che lei li aveva spiati, ma loro non avevano detto niente.

(In seguito Odeen le aveva raccontato che era inconsueto imbattersi in Duri che parlavano tra di loro, alla loro maniera. Di solito si sottomettevano alle richieste dei Morbidi e sospendevano sempre quello che stavano facendo quando arrivava un Morbido. “Ci vogliono molto bene” diceva Odeen. “Sono gentilissimi con noi.”)

Di tanto in tanto l’avrebbe portata ancora nelle caverne dei Duri, quasi sempre mentre Tritt era totalmente occupato con i bambini. E non si sarebbe fatto in quattro per dire a Tritt che l’aveva condotta con sé, per non provocare l’avvio di qualche predica sul fatto di viziare Dua e d’incoraggiarne la brutta abitudine di sfuggire il Sole e proprio per quello rendere così inefficace la fusione che… Era impossibile parlare con Tritt per più di cinque minuti senza che la fusione comparisse nel discorso.

Un paio di volte era scesa nelle caverne da sola. Aveva sempre provato un po’ di timore nel farlo, benché i Duri che incontrava fossero sempre amichevoli, sempre “gentilissimi”, come diceva Odeen. Ma si comportavano come se non la prendessero sul serio. Erano lieti, ma anche segretamente divertiti — questo lei lo percepiva con assoluta certezza — quando gli poneva qualche domanda. E le loro risposte erano lineari e non fornivano informazioni. “È una semplice macchina, Dua” dicevano. Oppure: “Fattelo spiegare da Odeen”.