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No, le cose non stavano così, pensò Odeen, serio. E lui non avrebbe chiesto spiegazioni a Dua. Le avrebbe semplicemente insegnato tutto.

Appena arrivati in casa, Tritt, indaffarato, andò loro incontro. — Se voi due dovete parlare, andate nella camera di Dua. Io ho da fare qua in giro. Devo assicurarmi che i bambini siano puliti e facciano esercizio. Non c’è tempo di fondersi adesso. No, niente fusione.

Né Odeen né Dua avevano la minima voglia di fondersi, in quel momento, ma nessuno dei due aveva nemmeno la minima voglia di disobbedire all’ordine di Tritt. La casa era il regno del Paterno. Il Razionale aveva le caverne dei Duri, giù nel profondo, e l’Emotiva i suoi posti di ritrovo, in superficie. Il Paterno aveva solo la sua casa.

Perciò Odeen disse: — Senz’altro, Tritt. Ce ne staremo fuori dai piedi.

E Dua estese, con un breve gesto affettuoso, una parte di sé e disse: — È bello vederti, destride caro. — (Odeen dubitò che in quella gentilezza vi fosse anche molto sollievo per non essere stata sollecitata a fondersi. A quel proposito Tritt esagerava sempre un tantino, persino più di quanto in media esagerassero gli altri Paterni.)

Una volta in camera sua, Dua si fermò a guardare il suo angolino privato di alimentazione, che di solito, invece, ignorava.

Era stata un’idea di Odeen. Sapeva che esistevano degli apparecchi per nutrirsi e, come aveva spiegato a Tritt, se a Dua non piaceva sciamare con le altre Emotive era possibilissimo convogliare l’energia del Sole dentro la loro caverna, in modo che potesse mangiare in casa.

Tritt ne era stato orripilato: erano cose che non si facevano, gli altri ne avrebbero riso, la triade ne avrebbe ricavato solo disonore. Ma perché Dua non si comportava come doveva?

— D’accordo, Tritt — aveva detto Odeen. — Ma Dua non si comporta come dovrebbe, perciò cosa costa accontentarla? È una cosa così tremenda? Mangerà per conto suo, metterà su un po’ di sostanza, ci farà felici e sarà più felice lei stessa, e forse alla fine imparerà a sciamare con le altre.

Allora Tritt aveva smesso di obiettare e poi anche Dua aveva accettato, dopo qualche discussione, ma aveva insistito che fosse un apparecchio semplicissimo. Di conseguenza si trattava unicamente di due aste verticali, che servivano da elettrodi, con un certo spazio in mezzo per Dua.

Lei lo usava raramente, ma quel giorno lo fissò e disse: — Tritt lo ha decorato… oppure lo hai fatto tu, Odeen?

— Io? Naturalmente no.

Alla base di ogni elettrodo c’erano dei ghirigori di argilla colorata.

— Credo che sia il suo modo di dirmi che vuole che lo adoperi — continuò Dua. — E oggi ho fame. E poi, se mangio, Tritt non si sognerà d’interromperci, vero?

— No — ammise Odeen, serio. — Tritt fermerebbe il mondo, se pensasse che il suo moto ti disturba mentre mangi.

— Be’, ho proprio fame — ripeté Dua.

Odeen percepì in lei un lieve senso di colpa. Si sentiva colpevole verso Tritt? Oppure perché era affamata? Perché poi avrebbe dovuto vergognarsi di avere fame? Oppure aveva fatto qualcosa che le aveva tolto energia ed era per quello che si sentiva…

Con impazienza, distolse la mente da quegli interrogativi. A volte un Razionale poteva essere troppo Razionale e risalire il filo di ogni suo minimo pensiero con pregiudizio di ciò che era davvero importante. E in quel preciso momento la cosa importante era parlare a Dua.

La guardò sedersi tra i due elettrodi, comprimendosi un poco nel farlo. Come risaltavano penosamente le sue piccole dimensioni! Strano, era affamato anche lui: se ne accorse perché d’un tratto gli sembrò che gli elettrodi risplendessero più del normale e sentì il gusto del cibo anche a quella distanza. Il sapore era ottimo. Ma, già, quando uno aveva appetito, i sensi gli si affinavano… No, lui avrebbe mangiato più tardi.

Dua disse: — Non stare lì a guardarmi in silenzio, sinistride caro. Parla. Voglio sapere. — Aveva assunto (inconsapevolmente?) la forma ovoide tipica dei Razionali, quasi volesse far capire che desiderava essere considerata una di loro.

Odeen cominciò: — Non posso spiegarti tutto. La parte scientifica della questione, voglio dire, perché a te non sono state date le basi. Cercherò quindi di semplificare al massimo, e tu limitati ad ascoltare. Quando avrò finito, mi dirai che cosa non hai capito e io vedrò di spiegartelo meglio. Tu sai, in primo luogo, che ogni cosa è composta di particelle piccolissime, chiamate atomi, che sono a loro volta composti di particelle ancora più piccole, subatomiche.

— Sì, sì — annuì Dua. — È per questo che possiamo fonderci.

— Esatto. Perché in realtà noi siamo per la maggior parte spazio vuoto. Tutte le particelle sono molto distanziate l’una dall’altra, e le tue e le mie e quelle di Tritt possono fondersi insieme in quanto ogni serie si sistema negli spazi vuoti delle altre serie. Il motivo per cui la materia non sfugge di qua e di là è che le minuscole particelle si attirano reciprocamente attraverso lo spazio che le divide. A tenerle unite sono le forze di attrazione, la più forte delle quali è quella che noi chiamiamo forza nucleare. Essa tiene insieme molto tenacemente le principali particelle subatomiche, che formano dei gruppi ben separati l’uno dall’altro, i quali a loro volta sono tenuti insieme da forze più deboli. Riesci a capire?

— Solo un po’ — ammise Dua.

— Be’, non importa, ci torneremo sopra in seguito… La materia, inoltre, esiste in diversi stati. Può essere molto rada, come nelle Emotive, cioè come in te, Dua. Può essere un po’ meno rada, come nei Razionali e nei Paterni, o ancora meno rada, come nelle rocce. Può essere anche molto compressa o compatta, come nei Duri. Ed è per questo che sono proprio duri e solidi: le loro particelle sono molto fitte.

— Vuoi dire che in loro non c’è spazio vuoto?

— No, non è quello che voglio dire — rispose Odeen, incerto circa il modo di rendere più chiaro il concetto. — Anche loro hanno una gran quantità di spazio vuoto, ma non tanto come noi. Le particelle hanno sempre bisogno di una certa e ben determinata quantità di spazio vuoto, intorno. E se tutte hanno quello che gli basta, allora le altre particelle non possono entrarci. Se poi le particelle vengono fatte entrare a forza, ecco che compare il dolore. Per questo ai Duri non piace che noi li tocchiamo. Tra le particelle di noi Morbidi, invece, c’è più spazio del necessario, perciò altre particelle possono entrarci in mezzo.

Dua non sembrava molto convinta di quel particolare aspetto dell’argomento.

Odeen si affrettò a proseguire: — Nell’altro universo le regole sono differenti. La forza nucleare non è forte come nel nostro. E questo vuol dire che le particelle hanno bisogno di più spazio.

— Perché?

Odeen scosse la testa. — Perché… perché… le particelle spargono molto più in giro le loro forme-onda. Non so spiegarmi meglio di così. Quando la forza nucleare è più debole, le particelle hanno bisogno di uno spazio maggiore e due pezzi di materia non sono in grado di fondersi insieme con la facilità con cui si fondono nel nostro universo.

— Possiamo vederlo, l’altro Universo?

— No, non è possibile. Possiamo solo dedurne la natura in base alle sue leggi fondamentali. Comunque, i Duri sono riusciti a tare cose straordinarie. Possiamo mandare di là un tipo di materia e ricevere da loro un altro tipo. Possiamo studiarlo, quel loro materiale, capisci? E possiamo far funzionare la Pompa Positronica. Lo sai cos’è, no?

— Be’, mi hai detto tu che da quella cosa noi ricaviamo energia. Ma non sapevo che c’entrasse anche un universo differente dal nostro… Com’è fatto l’altro universo, Odeen? Hanno anche loro stelle e pianeti come noi?