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Dopo qualche giorno Kantrowitsch borbottò: — Sarà meglio suddividerlo. Se lo teniamo in blocchetti misurabili evaporerà oppure esploderà… oppure farà tutt’e due le cose, conta minando mezza città.

Perciò dapprima venne ridotto in polvere, suddiviso, mescolato con tungsteno normale e in seguito, quando anche questo divenne radioattivo, fu mescolato con grafite, che esponeva una minore sezione d’urto alle radiazioni.

Meno di due mesi dopo che Hallam si era accorto del cambiamento avvenuto nella bottiglia, Kantrowitsch, in una relazione inviata al direttore della Nuclear Reviews, annunciò l’esistenza del plutonio 186, facendo il nome di Hallam come coautore. In questo modo la denominazione originale di Tracy ebbe il crisma dell’ufficialità, ma il nome del tecnico non fu menzionato né allora né mai. Da quel momento in poi il tungsteno di Hallam volò verso il successo a una velocità fantastica e Denison cominciò a notare quei cambiamenti che alla fine dovevano fare di lui una nullità.

L’esistenza del plutonio 186 era già una grossa incongruenza, ma che all’inizio l’elemento si fosse dimostrato stabile e solo in seguito avesse sviluppato una strana radioattività in aumento era molto peggio.

Fu perciò organizzata una riunione ufficiale per esaminare il problema. La presiedette Kantrowitsch, il che costituì un evento interessante dal punto di vista storico, poiché quella fu l’ultima volta, nella storia della Pompa Elettronica, che un incontro ad alto livello a essa connesso non ebbe Hallam come presidente. Per la verità, Kantrowitsch morì cinque mesi dopo, e con lui scomparve l’unica personalità dotata di prestigio sufficiente a tenere Hallam nell’ombra.

La riunione fu stranamente infruttuosa fino al momento in cui Hallam espose la sua Grande Intuizione, ma nella versione dei fatti ricostruita da Lamont la vera svolta cruciale si ebbe durante l’intervallo per il pranzo. Fu allora che McFarland, al quale le relazioni ufficiali non attribuirono alcun intervento benché il suo nome fosse registrato nell’elenco dei presenti, disse: — Sapete, qui occorrerebbe un briciolo di fantasia. Supponiamo che…

Parlava con Diderick van Klemens, e van Klemens riportò quello che McFarland aveva detto nei propri appunti, che redigeva in una specie di stenografia personale. Molto prima che Lamont riuscisse a scovarli, van Klemens era morto e, sebbene quegli appunti fossero convincenti, Lamont dovette ammettere che senza altre testimonianze dirette non costituivano una prova sicura. Per di più non esisteva il modo di accertare se Hallam avesse ascoltato, per caso o di nascosto, quella conversazione. Lamont era pronto a scommettere la testa che l’aveva ascoltata, ma purtroppo nemmeno la sua opinione era una prova soddisfacente.

E poi, anche supponendo che potesse provarlo? Forse ne avrebbe sofferto l’orgoglio sconfinato di Hallam, ma la sua posizione non ne avrebbe affatto risentito. Si sarebbe potuto argomentare che, per lo stesso McFarland, si trattava di una fantasia e che era stato Hallam a considerarla qualcosa di più. Era stato Hallam, inoltre, che aveva avuto il coraggio di mettersi di fronte al gruppo di luminari e di esporla in modo ufficiale, rischiando il ridicolo che poteva derivarne. Di certo McFarland non si sarebbe mai sognato di far mettere agli atti il suo “briciolo di fantasia”.

Lamont, da parte sua, avrebbe potuto controbattere che McFarland era un fisico nucleare famoso, con una reputazione da difendere, mentre Hallam era un radiochimico alle prime armi cui era concesso di dire quello che voleva nel campo della fisica nucleare perché, non essendo quest’ultima di sua competenza, non gliene sarebbe derivato alcun danno.

Comunque fosse, secondo la trascrizione ufficiale della riunione, questo fu ciò che Hallam disse: — Signori, non stiamo approdando a niente. Di conseguenza farò io una proposta, non perché abbia obbligatoriamente senso, ma perché rappresenta la meno assurda di tutte quelle che ho udito fino a questo momento… Ci troviamo di fronte a un elemento, il plutonio 186, che non può affatto esistere, nemmeno come elemento momentaneamente stabile, se le leggi naturali dell’universo hanno qualche valore. Perciò ne consegue, poiché esiste ed è esistito all’origine come elemento stabile, che deve essere esistito, per lo meno all’origine, in un luogo o in un tempo o in circostanze in cui le leggi naturali dell’universo erano diverse dalle nostre. Per dirla in breve, l’elemento che stiamo studiando non ha avuto origine nel nostro universo, ma in un altro… un universo alternativo, un universo parallelo, chiamatelo come volete.

“Quando è arrivato qui — e non pretendo di sapere come abbia fatto — era ancora stabile. A questo punto avanzo l’ipotesi che lo fosse perché aveva portato con sé le leggi del suo universo. Il fatto che sia lentamente diventato radioattivo, e poi sempre più radioattivo, significa forse che le leggi del nostro universo sono penetrate lentamente nella sua sostanza… se capite cosa intendo.

“Vi faccio notare che, contemporaneamente alla comparsa del plutonio 186, abbiamo avuto la sparizione di un campione di tungsteno, composto di numerosi isotopi stabili fra cui il tungsteno 186. Può darsi che questo campione sia slittato nell’universo parallelo. In fondo è logico supporre, perché è più semplice, che abbia avuto luogo uno scambio di massa piuttosto che un trasferimento a senso unico. Nell’universo parallelo il tungsteno 186 forse è anomalo come lo è il plutonio 186 nel nostro. Magari in origine è un elemento stabile che poi diventa lentamente radioattivo, e poi sempre più radioattivo. E può servire come fonte di energia là, così come il plutonio 186 servirebbe qui.”

I presenti dovevano averlo ascoltato con notevole sbalordimento, poiché non fu registrata alcuna interruzione, per lo meno fino all’ultima frase riportata sopra, quando Hallam sembrò fare una pausa per riprendere fiato, forse anche sorpreso per la propria temerarietà.

Qualcuno dei presenti (probabilmente Antoine-Jerome Lapin, ma la registrazione non è chiara) chiese se il professor Hallam intendesse suggerire che un agente intelligente del para-universo avesse deliberatamente eseguito lo scambio allo scopo di ottenere una fonte di energia. L’espressione “para-universo”, in apparenza impiegata come abbreviazione di “universo parallelo”, da quel momento entrò nell’uso comune. In quella domanda registrata, infatti, si fa menzione per la prima volta dell’espressione stessa.

Vi fu una breve pausa, poi Hallam, più temerario che mai, disse — e questo fu il nocciolo della Grande Intuizione: — Sì, ritengo di sì, e ritengo anche che la fonte di energia non possa essere di utilità pratica a meno che l’universo e il para-universo non lavorino insieme, ciascuno alla sua metà di una pompa che spinga l’energia da loro a noi e da noi a loro, approfittando della diversità delle leggi naturali dei due universi.

A questo punto Hallam aveva adottato la definizione “para-universo” e l’aveva fatta propria. Inoltre, fu il primo a usare la parola “pompa” (da quel momento in poi sempre con l’iniziale maiuscola) in rapporto all’argomento.

Il resoconto ufficiale tende a dare l’impressione che l’ipotesi di Hallam provocasse subito grande entusiasmo, ma non fu così. Coloro che erano disposti a discuterla non s’impegnarono più che tanto, limitandosi a dire che era una teoria divertente. Kantrowitsch, in particolare, non aprì bocca. E questo fu il punto cruciale della carriera di Hallam.

Hallam non era in grado di scoprire ed elaborare da solo tutte le implicazioni teoriche e pratiche della sua stessa ipotesi. Occorreva un’équipe di ricerca, e la costituirono. Ma nessuno di coloro che ne fecero parte avrebbe voluto vedere il proprio nome collegato apertamente all’ipotesi, se non quando era ormai troppo tardi. Quando, alla fine, il successo fu indubbio, il pubblico si era già abituato a considerarlo il progetto di Hallam e di Hallam solo. Per tutto il mondo era stato Hallam, e Hallam da solo, che aveva per primo scoperto l’elemento, concepito ed espresso la Grande Intuizione, e di conseguenza fu Hallam il Padre della Pompa Elettronica.