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— Ma, Tritt, non vuoi più fonderti?

— Be’, adesso la triade è completa.

— La fusione non serve solo a quello.

Tritt protestò: — Ma dove dovremo andare per cercarla? Derola ha bisogno di me. È ancora piccolissima. Io non voglio lasciarla sola.

— I Duri faranno in modo che Derola abbia tutte le cure possibili. Tu e io andremo nelle caverne dei Duri a cercare Dua.

Tritt rifletté sulla faccenda. Di Dua a lui non importava niente. Quasi quasi non gli importava niente neanche di Odeen. Per il momento gli importava solo di Derola. Replicò: — Un giorno. Un giorno, quando Derola sarà più grande. Per adesso non posso.

— Tritt, noi due dobbiamo trovare Dua — insisté Odeen, pressante. — Altrimenti… altrimenti ci porteranno via i bambini.

— Chi ce li porterà via?

— I Duri.

Tritt rimase in silenzio. Non sapeva cosa dire. Non aveva mai sentito parlare di una cosa simile. Non gli riusciva nemmeno di pensarla, una cosa simile!

Odeen riprese: — Tritt, noi dobbiamo trapassare. Conosco il perché, adesso. Ci ho pensato sopra da quando Losten… ma questo non importa. E anche tu e Dua dovete trapassare. Adesso che io so il perché, tu sentirai che devi farlo e spero… cioè penso che anche Dua lo sentirà. E dobbiamo trapassare presto, perché Dua sta distruggendo il mondo.

Tritt indietreggiava, spaventato. — Non guardarmi così, Odeen… Tu mi fai… tu mi fai…

— Non ti faccio niente, Tritt — disse Odeen, malinconico. — È solo che adesso io so, e tu devi… Ma prima dobbiamo trovare Dua.

— No, no… — Era una vera agonia, per Tritt, tentare di resistere. C’era qualcosa di nuovo e di tremendo in Odeen, e lui sentiva che la vita si stava inesorabilmente avvicinando alla fine. Non ci sarebbe stato più nessun Tritt, e nessuna piccola, piccolissima mediana. Gli altri Paterni potevano tenersi la loro piccola mediana per tanto, tantissimo tempo. Tritt, invece, l’avrebbe persa quasi subito.

Non era giusto. Oh, no, non era giusto!

Tritt ansimò: — È colpa di Dua. Falla trapassare per prima.

Con una calma mortale Odeen ribatté: — È impossibile. Bisogna trapassare tutti e tre insieme…

E Tritt sapeva che era così… era così… era così.

6a

Dua si sentiva rarefatta e fredda, e sottile sottile. I suoi tentativi di riposarsi all’aperto e di assorbire la luce del Sole erano cessati dopo quella volta che Odeen l’aveva trovata. Si nutriva alle batterie dei Duri quando poteva e non regolarmente: non osava restare troppo a lungo fuori dal sicuro nascondiglio della roccia, perciò mangiava a rapidi bocconi e mai a sufficienza.

Sentiva di continuo i morsi della fame, tanto più forti da quando rimanere fusa nella roccia pareva stancarla. Era una specie di punizione, pensava, per tutto il tempo che aveva passato in superficie solo al tramonto, mangiando così poco.

Se non fosse stato per il lavoro che stava facendo, non sarebbe riuscita a sopportare quella stanchezza e quella fame. A volte sperava addirittura che i Duri la distruggessero… ma solo dopo che avesse finito quello che intendeva fare.

I Duri non potevano farle niente finché lei rimaneva dentro la roccia. Qualche volta li captava vicinissimi a dov’era lei, in uno spazio aperto. Avevano tutti paura. In principio aveva pensato che avessero paura per lei, ma era impossibile. Perché dovevano avere paura per lei, paura che lei trapassasse per totale mancanza di nutrimento, per totale esaurimento? No, dovevano avere paura di lei: avevano paura di una macchina che non funzionava come loro avevano progettato che funzionasse, erano sbigottiti per un prodigio così grande, atterriti perché impotenti nei suoi confronti.

Stava molto attenta a evitarli. Sapeva sempre dove si trovavano, perciò non potevano né prenderla né fermarla. Loro non erano in grado di controllare tutti i vari posti in continuazione, e a volte aveva pensato di non tener nemmeno conto della pochissima percezione che possedevano.

Usciva dalla roccia vorticando e andava a studiare le copie registrate delle comunicazioni che i Duri avevano ricevuto dall’altro universo. Loro non sapevano cosa lei cercasse di fare, ma, anche se le avessero nascoste, lei le avrebbe ritrovate ovunque. E se le avessero distrutte, be’, non importava più. Ormai lei le ricordava benissimo.

Al principio non le aveva capite, ma poi, a causa della sua lunga permanenza nelle rocce, tutti i suoi sensi si erano affinati, tanto che le pareva di capire senza nemmeno pensare. Cioè, sebbene non conoscesse il loro significato, i simboli le ispiravano determinate sensazioni, li sentiva.

Aveva scelto i segni che percepiva esatti e li aveva sistemati dove sarebbero stati trasmessi nell’altro universo. I segni erano: P-A-U-B-A. Non aveva idea di cosa volessero dire in realtà, ma la loro forma le dava un senso di paura e così aveva fatto del suo meglio per imprimere quel senso di paura sugli stessi segni. Forse gli esseri-altri, studiandoli, avrebbero provato paura anche loro.

Quando erano cominciate a giungere le risposte, Dua aveva percepito in esse molta eccitazione. Non riusciva sempre a riceverle lei. Talvolta erano i Duri a trovarle per primi e ormai, certamente, avevano capito cosa lei stesse facendo. Eppure loro non sapevano leggere i messaggi, non potevano nemmeno percepire le emozioni di chi li aveva mandati e che le giungevano insieme ai segni.

Perciò non si preoccupava più dei Duri. Nessuno l’avrebbe fermata, finché lei non avesse finito… qualunque cosa i Duri scoprissero di lei non importava più.

Adesso aspettava l’arrivo di un messaggio che avesse trasportato l’emozione che lei desiderava. E finalmente arrivò: P-O-M-P-A M-A-L-E.

Ecco, in esso c’erano la paura e l’odio che lei voleva. Lo rimandò indietro ampliandolo, aggiungendovi più paura, più odio. Ora la gente dell’altro universo avrebbe capito. Ora avrebbero fermato la Pompa. I Duri avrebbero dovuto trovare qualche altro sistema, qualche altra fonte di energia, poiché non l’avebbero più ottenuta a prezzo della morte di tutte le migliaia di esseri viventi di quell’altro universo.

Si accorse di rimanere a riposare troppo a lungo all’interno della roccia, di cadere in una specie di torpore. Aveva un disperato desiderio di cibo, e attese di poter strisciare fuori, fino a una batteria. Ma ancor più disperatamente del nutrimento contenuto in una batteria, desiderava che tutta la batteria di accumulatori si spegnesse. Desiderava poterne assorbire l’energia fino all’ultima scintilla, sapendo che dall’altro universo non ne sarebbe più giunta e che il suo compito era terminato.

Alla fine emerse dalla roccia e ne rimase fuori a lungo, sconsideratamente, succhiando e succhiando a una delle batterie. Voleva vederne il fondo, vuotarla, essere sicura che non entrasse più energia… ma la fonte era inesauribile, inesauribile, inesauribile…

Dua vibrò e si allontanò dalla batteria con disgusto. Così, la Pompa Positronica funzionava ancora. Che i suoi messaggi non avessero convinto gli esseri viventi dell’altro universo a fermare la loro Pompa? Oppure non li avevano ricevuti? O non ne avevano capito il significato?

Doveva ritentare. Doveva renderglielo chiaro, chiarissimo. Gli avrebbe mandato tutte le combinazioni di segni che le sembravano dare una sensazione di pericolo, tutte le combinazioni che trasportassero la preghiera di fermare la Pompa.

Con disperazione si mise a incidere i simboli nel metallo, fondendolo con tutta l’energia che possedeva. Per farlo attinse senza nessuna limitazione all’energia che aveva appena assorbito dalla batteria, finché non l’ebbe spesa tutta e si sentì più esausta che mai: POMPA NON FERMA NON FERMA NOI NON FERMA POMPA NOI NON SENTE PERICOLO NON SENTE NON SENTE VOI FERMA FAVORE FERMA VOI FERMA COSÌ NOI FERMA FAVORE VOI FERMA PERICOLO PERICOLO PERICOLO FERMA FERMA VOI FERMA POMPA.