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La sollevò, con una specie di ansia febbrile. E anche Dua era agitata e, sebbene si opponesse un poco, stava già rarefacendosi.

— Se quello che dici è vero, Odeen… — ansimò — …se noi tre siamo un Duro, allora mi pare… da quello che hai detto… che saremo un Duro importante. È così?

— Il più importante. Il migliore che si sia mai formato. Voglio dire… Tritt, vieni qui. Mettiti là. Non è un addio, Tritt. Saremo tutti insieme, come abbiamo sempre voluto essere. Anche tu, Dua. Tu… anche, Dua.

Dua disse ancora: — Allora possiamo far capire a Estwald che la Pompa non può continuare a funzionare. Lo costringeremo…

La fusione era già cominciata. A uno a uno i Duri si avvicinavano di nuovo, nel momento cruciale. Odeen li vide indistintamente, perché stava già fondendosi in Dua.

Non era come le altre volte. Non vi fu quell’estasi improvvisa e dolorosa, ma solo un lento, fluido, freddo e calmo movimento. Odeen si sentì diventare parte di Dua, e tutto il mondo sembrò riversarsi nell’affinata percezione dei sensi di lui/lei. Le Pompe Positroniche erano ancora in funzione… Lui/Lei lo sentiva… Come mai funzionavano ancora?

Era anche Tritt, e un’acuta, dolorosa sensazione di perdita colmò la mente di lui/lei/lui. Oh, bambini miei!…

E allora Tritt gridò, e fu l’ultimo grido consapevole di Odeen, tranne che era anche il grido di Dua: — No, non possiamo fermare Estwald. Noi siamo Estwald! Noi…

Il grido che era di Dua, eppure non lo era, s’interruppe. Non c’era più nessuna Dua e non ci sarebbe stata mai più. E non c’era più Odeen. E non c’era più Tritt.

7abc

Estwald fece un passo avanti e ai Duri che lo attendevano disse, con tristezza, nel modo di parlare costituito da onde che vibravano nell’aria: — Ora sono con voi per sempre, e c’è tanto da fare…

PARTE TERZA

Possono nulla?

1

Selene Lindstrom sorrideva gaiamente, camminando con quell’andatura leggera e scattante che sorprendeva i turisti la prima volta che la vedevano, ma in cui non si poteva fare a meno di notare una grazia particolare.

— È ora di pranzo — disse con brio. — Tutti alimenti locali, signore e signori. Forse il sapore vi sembrerà insolito ma sono nutrienti… Di qui, per favore. Signore? Non vi dispiace sedere con queste signore, vero?… Un momento, calma. C’è posto per tutti… Mi spiace, ma la scelta delle bevande è limitata… Quello è vitello… No, no. Sapore e consistenza sono artificiali, ma è carne buonissima.

Infine sedette anche lei, con un lieve sospiro e un ancora più lieve mutamento dell’espressione cordiale.

Uno del gruppo prese posto al suo tavolo, dirimpetto a lei. — Vi spiace? — le chiese.

Gli gettò un’occhiata rapida e penetrante. Possedeva la dote di giudicare le persone a prima vista, naturalmente, e quell’uomo le parve innocuo. Rispose: — Per niente. Ma non siete con qualcuno del gruppo?

Lui scosse la testa. — No, sono solo, ma, se anche non lo fossi, i Terragni non mi attirano molto.

Lei tornò a guardarlo. Era sulla cinquantina e aveva un aspetto stanco che però gli occhi brillanti e dallo sguardo inquisitore sembravano smentire: aveva cioè l’aspetto inconfondibile del Terrestre schiacciato dalla forza di gravità. Gli disse: — Terragno è un’espressione della Luna, e non molto lusinghiera.

— Io vengo dalla Terra — replicò lui — perciò spero di poterla usare senza offendere nessuno. A meno che a voi dispiaccia.

Selene alzò le spalle come per dire: “Fate come vi pare”.

Aveva gli occhi leggermente a mandorla, comuni a molte ragazze lunari, ma i capelli erano colore del miele e il naso pronunciato. Pur senza essere una bellezza classica, era indubbiamente attraente.

Il Terrestre aveva gli occhi fissi sulla piastrina con il nome che lei portava appuntata sulla camicetta, nella parte superiore del seno sinistro, sostenuto anche se non troppo voluminoso. Giudicò che stesse guardando proprio la piastrina e non il seno, per quanto la camicetta fosse quasi trasparente, specie se la luce la colpiva da un’angolazione particolare, e lei non indossasse niente, sotto. Lui chiese: — Ci sono molte Selene sulla Luna?

— Oh, sì. Centinaia, credo. E anche Cinzie, Diane e Artemidi. Selene è un nome piuttosto sfruttato. La metà delle Selene che conosco si fa chiamare “Silly” e l’altra metà “Lena”.

— E voi come vi fate chiamare?

— In nessuno dei due modi. Io sono Selene per esteso. Sé-le-ne — ripeté, marcando forte la prima sillaba, — per chi mi chiama solo col nome proprio. Per gli amici.

Un lieve sorriso aleggiò sul viso del terrestre, che sedeva un po’ a disagio, come se non vi fosse abituato. — E se qualche estraneo vi chiedesse di potervi chiamare così, cosa fareste, Selene?

— Non me lo chiederebbe due volte — gli rispose, ferma.

— Ma ve lo hanno chiesto?

— C’è sempre qualche sciocco, al mondo.

Al loro tavolo era arrivata una cameriera, che posò loro davanti i piatti colmi con gesti veloci e fluidi.

Il Terrestre ne rimase impressionato e disse alla ragazza: — Sembra che li facciate volare.

La cameriera sorrise e se ne andò.

— Non cercate di imitarla — lo avvertì Selene. — Lei è abituata alla gravità lunare.

— Mentre se lo facessi io, lascerei cadere tutto, vero?

— Fareste un gran pasticcio — confermò lei.

— Bene, allora non mi ci proverò.

— Ma vedrete che prima o poi qualcuno vorrà farlo, e allora il piatto gli andrà a finire sul pavimento e se si chinerà per prenderlo, finirà anche per cadere dalla sedia lui! Io avverto sempre i turisti, ma è inutile, perché si sentono solo imbarazzati. Vedrete, tutti rideranno… tutti i turisti, naturalmente, perché noi lo abbiamo visto troppe volte per trovarlo ancora divertente, e poi le pulizie restano da fare a noi!

Sollevando con cautela la forchetta, il Terrestre disse: — Capisco. Qui anche i gesti più semplici sembrano strani.

— Sì, ma ci si abitua in fretta. Almeno alle cose più semplici, come il mangiare. Camminare è più difficile. E non ho mai visto un Terrestre correre in modo efficace, qui sulla Luna.

Mangiarono per un poco in silenzio. Poi lui disse: — Cosa significa la elle? — Stava di nuovo osservando la piastrina, su cui era scritto “Selene Lindstrom L.”.

— Sta per Luna — rispose lei con indifferenza. — Per distinguermi dagli immigrati. Io sono nata qui.

— Davvero?

— Non c’è da meravigliarsi. La comunità lunare esiste da più di cinquant’anni. Credete che sulla Luna non nascano bambini? C’è gente nata qui che ha già dei nipoti.

— Voi, quanti anni avete?

— Trentadue.

L’uomo parve incredulo, poi mormorò: — Naturalmente.

Selene inarcò le sopracciglia. — Ah, avete capito? Mi tocca spiegarlo a quasi tutti i Terrestri.

— Sono abbastanza informato da sapere che i segni più visibili dell’invecchiamento come guance o seno cascanti, sono dovuti all’ineluttabile vittoria della gravità sui tessuti — replicò il Terrestre. — E dal momento che sulla Luna la gravità è un sesto di quella della Terra, non è difficile capire che qui la gente conserva più a lungo un aspetto giovanile.

— Solo l’aspetto - precisò Selene. — Non significa che qui siamo immortali. La durata della vita è pressappoco uguale che sulla Terra, ma di solito invecchiamo meglio.