— Non è un vantaggio da poco… Naturalmente ci sono anche i lati negativi, immagino. — Il Terrestre aveva appena bevuto il primo sorso di caffè. — Dovete bere questa… — S’interruppe per cercare un termine adatto, poi preferì non aggiungere altro.
— Potremmo importare cibi e bevande dalla Terra — disse lei, divertita. — Ma solo per nutrire una minima parte di noi e per un tempo minimo. Perciò usiamo lo spazio disponibile sulle navi per articoli più importanti e utili. E poi siamo abituati a questa schifezza… o vi pare che il termine sia troppo blando?
— Non per il caffè. Per il cibo, forse… ma non importa, ditemi, signorina Lindstrom, nel nostro itinerario turistico non vedo citata nessuna visita al protosincrotrone.
— Il protosincrotone? — Selene stava finendo il caffè e il suo sguardo stava facendo il giro della sala in attesa del momento di avvertire i turisti che dovevano alzarsi. — È di proprietà della Terra e non è aperto ai turisti.
— Volete dire che ne è vietato l’ingresso ai Lunariti?
— Oh, no! La maggior parte del personale è composta da Lunariti. È solo che il regolamento è fatto dal governo terrestre. Niente turisti.
— A me piacerebbe visitarlo.
— Lo immagino… Sapete che mi avete portato fortuna? Niente piatti per terra, nessun turista caduto dalla sedia. — Si alzò e, rivolgendosi a tutti, disse: — Signore e signori, fra dieci minuti usciremo. Vi prego di lasciare i piatti dove stanno. Per chi lo voglia, ci sono locali di riposo. Poi andremo a visitare gli impianti alimentari dove si producono i pasti come quello che avete appena consumato.
2
L’alloggio di Selene era piccolo, naturalmente, e ridotto all’essenziale, ma complicato. Aveva tre finestre panoramiche con scene raffiguranti gruppi di stelle che si rinnovavano di continuo e non avevano niente a che fare con le vere costellazioni. Inoltre, era possibile ingrandire a volontà quelle vedute.
Barron Neville detestava quelle scene, e non mancava di sbottare, dopo aver spento di colpo i panorami: — Come fai a sopportarle? Sei l’unica persona che conosco che abbia il cattivo gusto di mettersi in casa un simile orrore. E quelle nebulose e quegli ammassi stellari, non esistono nemmeno.
E Selene rispondeva alzando le spalle: — Cos’è la realtà? Come fai a sapere che le stelle visibili in cielo esistono? E poi, quei panorami mi danno una sensazione di libertà e di movimento. Non posso tenerli in casa mia se mi piacciono?
Al che Neville brontolava qualcosa e poi rimetteva in funzione i meccanismi, cercando di sistemare gli indici nel punto in cui li aveva trovati. E Selene diceva: — Lascia perdere!
Il mobilio era tutto curve e le pareti tinteggiate a colori tenui e riposanti che formavano disegni astratti. Non c’era alcuna riproduzione di creature viventi.
— La vita appartiene alla Terra, non alla Luna — diceva Selene.
Adesso, entrando, come spesso accadeva, trovò Barron Neville, steso su un divano, e con un solo sandalo infilato. L’altro era sul pavimento dove lui lo aveva lasciato cadere, e sul suo stomaco c’era una lunga fila di segni rossi, dove si era grattato distrattamente.
— Ci facciamo un caffè, Barron? — disse lei, sgusciando fuori dagli abiti con un unico aggraziato movimento, unito a un sospiro di sollievo. Poi li buttò con un calcio in un angolo. — Che sollievo spogliarsi! — esclamò. — Doversi vestire come i Terragni è la parte peggiore del lavoro.
Neville era nell’angolo cucina a preparare il caffè. Non fece commenti perché aveva già sentito più d’una volta quelle parole. Disse invece: — Cos’ha la tua scorta d’acqua? È già finita.
— Davvero? Be’, si vede che ne ho adoperata troppa. Abbi pazienza.
— Niente di spiacevole, oggi?
— No, tutto normale e piuttosto disgustoso, come al solito. Fingono di gustare i nostri cibi e hanno paura che gli si chieda di spogliarsi… Figurati che roba se lo facessero!
— Sei diventata pudica? — Le chiese portando due tazzine di caffè e deponendole sul tavolino.
— In questo caso il pudore è necessario. I miei turisti sono rugosi, cascanti, panciuti, nonché pieni di germi. C’è la quarantena, lo so, ma per me sono sempre pieni di germi… E tu, hai novità?
Barron rispose con un cenno di diniego. Era tarchiato, per essere un Lunarita, e teneva sempre la fronte aggrottata e gli occhi socchiusi, quasi per vezzo. Ma, a parte questo, aveva lineamenti regolari ed era nel complesso un bell’uomo, almeno secondo Selene.
Le rispose: — Niente d’importante. Stiamo ancora aspettando il cambio del Commissario. Staremo a vedere com’è questo nuovo, questo Gottstein.
— Potrebbe creare difficoltà?
— Non più di quante ne abbiano sempre fatte. In fin dei conti, cosa possono fare? Non possono infiltrarsi. È impossibile che un Terragno riesca a farsi passare per un Lunarita! — Ma pareva a disagio, dicendolo.
Selene bevve il caffè fissandolo. — Ci sono dei Lunariti che, nel loro intimo, sono dei Terragni.
— Lo so, e vorrei sapere chi sono. Qualche volta penso che non dovrei fidarmi… Oh, be’, sto perdendo un sacco di tempo col progetto del mio sincrotrone, senza approdare a niente. Non ho fortuna con le richieste e i diritti di precedenza!
— È probabile che non si fidino di te, e non li biasimo. Ti comporti come se fossi un cospiratore!
— Non è vero. Mi farebbe un immenso piacere uscire dalla camera del sincrotrone e non ritornarci mai più, ma allora sì che diventerebbero sospettosi… Se hai consumato tutta la razione di acqua, Selene, forse sarà difficile farci una seconda tazza di caffè.
— Infatti. E, già che siamo sul discorso, mi hai aiutato anche tu a sprecare acqua. La settimana scorsa ti sei fatto due docce in casa mia!
— Ti darò un buono. Non sapevo che tu ne tenessi conto!
— Non io, ma il serbatoio.
Finì di bere il caffè e rimase a fissare con aria pensosa la tazzina vuota. — I turisti fanno sempre delle smorfie quando lo bevono — disse. — Chissà perché. A me pare buono. Tu hai mai assaggiato il caffè terrestre Barron?
— No.
— Io sì. Un turista aveva portato di contrabbando un pacchetto di quello che loro chiamano caffè istantaneo. Me l’ha offerto in cambio di quello che sai. Pareva convinto che fosse uno scambio equo.
— E l’hai accettato?
— Ero curiosa di assaggiarlo. Era amaro e metallico. Uno schifo. Poi ho detto a quel tizio che la mescolanza razziale era contraria all’uso dei Lunariti e allora è diventato lui amaro e metallico.
— Non me lo avevi mai raccontato. E ha tentato altro, vero?
— Non è cosa che ti riguardi, ti pare? Comunque, no, non ha tentato altro. Se si fosse provato, alla gravità per lui sbagliata, l’avrei mandato a finire in fondo al corridoio uno.
Fece una breve pausa, poi continuò: — Ah, sì. Ho conosciuto un altro Terragno, oggi. Ha voluto sedersi al mio tavolo.
— E che cosa ti ha offerto in cambio di quello che tu con tanta delicatezza definisci “quello che sai”?
— Niente, voleva solo sedersi al mio tavolo e basta.
— A guardarti il seno?
— È uno spettacolo che merita di essere guardato, lo ammetto, ma invece quello ha guardato la targhetta… Ma a te cosa importa quello che guardava o non guardava quel tizio? Ognuno è libero di guardare e di pensare quel che gli pare. E non per questo io mi sento obbligata ad assecondare le fantasie altrui. Cosa credi? Che se lui aveva voglia di venire a letto con me, io ci sarei andata di corsa? A letto con un Terragno? Sai che bel risultato, con uno che non è ancora abituato al nostro campo gravitazionale? Non dico che non riuscirebbe a concludere qualcosa, ma non con me. Ti basta? Sei soddisfatto? Posso tornare al Terragno? Il quale ha almeno cinquant’anni e non dev’essere stato bello neanche a venti. Ammetto però che è un tipo interessante, questo sì.