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— Va bene. Faccio a meno di una descrizione dettagliata. Cosa mi dici di lui?

— Mi ha chiesto del protosincrotrone.

Neville si alzò in piedi di scatto, barcollando un poco, cosa inevitabile dopo un movimento brusco in ambiente a bassa gravità, e sbottò:

— Cosa ti ha domandato del sincrotrone?

— Niente! Perché ti ecciti tanto? Mi hai raccomandato di dirti tutte le cose fuori dal normale che i miei turisti fanno o dicono. Finora nessuno mi aveva chiesto del sincrotrone, perciò te l’ho riferito.

— Va bene. — Tacque, poi aggiunse in tono normale: — Perché gl’interessava il sincrotrone?

— Non ne ho la più pallida idea — rispose Selene. — Mi ha chiesto solo se poteva visitarlo. Può darsi che sia un turista con interessi scientifici. Secondo me era solo una scusa per rendersi interessante ai miei occhi.

— E immagino che ci sia riuscito. Come si chiama?

— Non lo so, non gliel’ho chiesto.

— Perché?

— Perché a me non interessa! Insomma, si può sapere cosa vuoi? Inoltre, la sua è una domanda proprio da turista. Se fosse un fisico, non me l’avrebbe fatta. Lavorerebbe qui.

— Mia cara Selene — disse Neville — lascia che ti spieghi. Date le attuali circostanze, chiunque chieda di visitare il sincrotrone è un tizio fuori dell’ordinario, sul quale è necessario indagare a fondo. E mi sai dire come mai è venuto a chiederlo proprio a te? — Si mise nervosamente a passeggiare da un capo all’altro della stanza, come se volesse smaltire un po’ d’energia, poi disse: — Tu che sei l’esperta conoscitrice d’uomini. Lo trovi interessante?

— Dal punto di vista sessuale?

— Sai bene cosa intendo. Non scherzare, Selene!

Con palese riluttanza, lei rispose: — È interessante, anzi preoccupante. Ma non so perché. Non ha detto né fatto niente di particolare.

— Interessante e preoccupante? Allora lo rivedrai.

— Per fare che?

— E cosa ne so? Sono fatti tuoi. Scopri come si chiama. Scopri tutto quello che puoi sul suo conto. Hai cervello, quindi fallo funzionare per uno scopo utile, tanto per cambiare.

— Ah, bene ordini dall’alto! — disse Selene. — D’accordo.

3

L’alloggio del Commissario, quanto a dimensioni, non si distingueva da quello di un qualunque Lunanta. Sulla Luna non c’era spazio, nemmeno per gli alti funzionali terrestri: niente sprechi, niente lussi, nemmeno come simbolo del pianeta natale. Né, quanto a questo, c’era modo di cambiare l’opprimente realtà della Luna — ambiente sotterraneo a bassa gravità — nemmeno per il più grand’uomo della Terra.

— L’uomo è ancora una creatura legata al suo ambiente — sospirò Luiz Montez. — Vivo da due anni sulla Luna e ci sono state volte in cui ho avuto la tentazione di restare, ma… sono ormai in là con gli anni. Ne ho più di quaranta e, se voglio tornare sulla Terra, è meglio che mi decida subito. Più si invecchia, meno si riesce a riadattarsi alla gravità terrestre.

Konrad Gottstein aveva solo trentaquattro anni e ne dimostrava meno. Aveva una faccia tonda dai lineamenti marcati, quel tipo di faccia che non si vedeva tra i Lunariti e che sembrava loro la caricatura della faccia di un Terragno. Era snello — non mandavano mai uomini troppo robusti sulla Luna — e forse per questo la sua faccia sembrava più larga.

Disse, nello Standard Planetario, ma con accento diverso da quello di Montez: — Pare che vogliate scusarvi di qualcosa.

— È vero, è vero — ammise Montez. Se il viso di Gottstein era nell’insieme bonario e ottimista, le linee allungate del viso di Montez avevano un che di tragicomico.

— Mi sento imbarazzato in due sensi — spiegò. — Mi imbarazza lasciare la Luna, perché è un mondo attraente ed eccitante, e mi imbarazza di essere imbarazzato. Mi vergogno perché provo una certa riluttanza a riprendere sulle spalle il peso terrestre… gravità compresa.

— Già, immagino che riprendere gli altri cinque sesti sarà dura — ammise Gottstein. — Io sono qui solo da pochi giorni, ma sento già che un sesto di g è perfetto.

— Cambierete parere quando comincerà la stitichezza e sarete costretto a bere olio di vaselina — ribatté Montez con un sospiro. — Ma poi passa… e non pensate di potervi muovere con la leggerezza di una gazzella, solo perché vi sentite leggero. È un’arte che bisogna imparare.

— L’ho già capito.

— Lo credete, Gottstein. Avete mai visto come camminano i canguri?

— In televisione.

— Be’, ne danno una pallida idea. Bisogna provarlo. È il modo migliore, anzi l’unico, per muoversi a velocità elevata sulla superficie lunare. I piedi vanno all’unisono indietro, dando una spinta che sulla Terra vi permetterebbe solo di fare un salto. A mezz’aria i piedi vi si spostano in avanti, e cominciano a tornare indietro appena prima di toccare il suolo in modo di rimandarvi in aria, e così via. È un movimento che secondo gli standard terrestri sembra lento con una gravità così scarsa a dare il rimbalzo, ma ogni passo si fanno sei o sette metri e lo sforzo muscolare è minimo. Si ha la sensazione di volare.

— Voi avete provato? Siete in grado di muovervi così?

— Ho provato, ma nessun Terrestre può dire di esserne capace. Io sono riuscito a far cinque balzi di fila, ma poi si perde la sincronizzazione, si sbagliano i calcoli e si finisce a ruzzoloni per tre o quattrocento metri. I Lunariti sono molto educati e non vi prendono mai in giro. Loro, naturalmente, sono degli esperti. Cominciano da bambini e ci riescono subito senza difficoltà.

— È il loro mondo — commentò Gottstein. — Pensate come si troverebbero loro sulla Terra!

— Non potrebbero trovarsi sulla Terra. Anzi, non possono. E questo, credo, è uno dei nostri vantaggi.’Noi possiamo vivere sia sulla Terra che sulla Luna. Loro possono vivere solo qui. Lo dimentichiamo spesso, perché confondiamo i Lunariti con gli Immi.

— Con cosa?

— È così che loro chiamano gli immigranti terrestri, quelli che vivono più o meno in permanenza sulla Luna, ma che sono nati e cresciuti sulla Terra. Gli immigranti, naturalmente, possono tornare sulla Terra, ma i veri Lunariti non hanno né ossa né muscoli adatti a sopportare la forza di gravità terrestre. Per questo motivo accaddero delle vere tragedie nei primi tempi della storia della Luna.

— Ah?

— Sì. Gente che tornò sulla Terra con i loro figli nati sulla Luna. Ma noi abbiamo tendenza a dimenticare. Avevamo in corso o appena passato la nostra Crisi e la morte di qualche bambino non era rilevante, in confronto all’enorme numero di morti che avevamo avuto verso la fine del ventesimo secolo e a tutto quello che ne seguì. Qui sulla Luna, però, viene mantenuto vivo il ricordo di tutti i Lunariti che dovettero soccombere alla forza di gravità terrestre… Li aiuta, credo, a sentirsi un mondo a sé stante.

— Credevo che sulla Terra mi avessero dato tutte le informazioni necessarie, ma vedo che ho ancora molto da imparare — osservò Gottstein.

— È impossibile arrivare a conoscere tutto della Luna restando sulla Terra, perciò vi ho lasciato una relazione esauriente, così come fece il mio predecessore per me. Troverete la Luna affascinante, ma anche atroce, sotto certi punti di vista. Non credo che sulla Terra abbiate mai mangiato razioni lunari e, se le conoscete solo per sentito dire, non siete preparato ad affrontare la realtà… però le mangerete e vi ci abituerete, per forza. Non è buona politica farsi mandare viveri terrestri. Dobbiamo mangiare e bere prodotti locali.