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— Scusate — disse Gottstein, arrossendo.

— Di che? Vi abituerete alla gravità.

— Gottstein chiese: — Non credete di dipingere le cose a tinte troppo fosche? Sulla Terra, in fin dei conti, non siamo nati ieri. Abbiamo inventato la Pompa Elettronica. È una conquista terrestre. Nessun Lunarita ci ha messo mano.

Montez scosse la testa mormorando qualcosa nel suo spagnolo natio. Il tono non era calmo. Poi disse: — Avete mai conosciuto Frederick Hallam?

Gottstein sorrise. — Sì, in effetti l’ho conosciuto. Il Padre della Pompa Elettronica. Credo che questa frase l’abbia tatuata sul petto.

— Quello che dite e il vostro sorriso mi fanno capire che condividete il mio punto di vista. Provate a domandarvi: è possibile che un uomo come Hallam abbia inventato la Pompa Elettronica? L’uomo della strada può anche esserne convinto, ma in realtà sapete benissimo che non esiste un Padre della Pompa Elettronica. L’hanno inventata i para-abitanti del para-universo, chiunque siano. Hallam è stato il loro strumento, e solo per caso. Tutta la Terra è il loro strumento.

— Ma noi siamo stati abbastanza intelligenti da approfittare della loro iniziativa.

— Sì, allo stesso modo che le mucche sono abbastanza intelligenti da mangiare il fieno che noi forniamo loro. La Pompa non significa un passo avanti per l’umanità, anzi il contrario.

— Se la Pompa è un passo indietro, allora ringrazio l’arretramento. Non potrei farne a meno.

— E chi lo farebbe? Ma il punto fondamentale è che la Pompa si adatta alla perfezione all’attuale stato d’animo terrestre. Energia in quantità illimitata a costo zero, tranne che per la manutenzione, e a zero inquinamento. Però sulla Luna non ci sono Pompe Elettroniche.

— Immagino che non ce ne sia bisogno — disse Gottstein. — Le batterie solari sopperiscono a tutte le necessità dei Lunariti. Energia illimitata a costo zero, o quasi, e a zero inquinamento… Non è la stessa litania?

— Già, però le batterie solari sono in tutto e per tutto un manufatto dell’uomo. Ecco dove volevo arrivare: era stata prevista una Pompa anche per la Luna, e si tentò d’installarla.

— E?

— Non ha funzionato. Nel para-universo non hanno accettato il tungsteno.

— Non lo sapevo. Come mai?

— E chi lo sa? — ribatté Montez inarcando spalle e sopracciglia. — Possiamo presumere che i para-abitanti vivano in un pianeta privo di satelliti; che non concepiscano l’esistenza di due mondi vicini e ambedue abitati; che, avendone trovato uno, non ne cerchino un secondo. Chi lo sa? Resta il fatto che non collaborarono, e noi da soli non possiamo far niente.

— Noi da soli — ripeté pensoso Gottstein. — Con questo, intendete noi Terrestri?

— Sì.

— E i Lunariti?

— Loro non c’entravano.

— Ma erano interessati al progetto?

— Non lo so. Ecco il motivo principale della mia incertezza e anche della mia paura. I Lunariti, quelli nati sulla Luna in particolare, hanno reazioni diverse da quelle dei Terrestri. Ignoro quali siano i loro progetti o le loro intenzioni. Non sono riuscito a scoprirlo.

— Ma che cosa possono fare? — domandò Gottstein, sempre più pensoso. — Avete motivo di supporre che vogliano farci del male? O che possano far del male alla Terra se ne avessero l’intenzione?

— Non sono in grado di rispondere alle vostre domande. Sono in gamba, molto intelligenti. Io ho l’impressione che siano incapaci di vero odio, come anche di vera paura. Ma forse è solo una mia impressione. Quello che mi preoccupa di più è quello che non so.

— Le apparecchiature scientifiche sulla Luna sono tutte in mano ai Terrestri, mi pare.

— Infatti, come il protosincrotrone. E così pure il radiotelescopio sulla faccia invisibile alla Terra, e il telescopio ottico da trecento pollici. Insomma, tutte le apparecchiature più grosse, installate già da una cinquantina d’anni.

— E dopo di allora cos’è stato fatto?

— Pochissimo, almeno da parte dei Terrestri.

— E da parte dei Lunariti?

— Non lo so. I loro scienziati lavorano nelle installazioni di gran mole che vi ho detto e in altre. Ma una volta ho controllato i cartellini orari e ho trovato delle lacune.

— Lacune?

— Passano molto tempo fuori da quelle istallazioni. Come se avessero dei laboratori personali.

— Ma non è ovvio, se fabbricano congegni miniaturizzati e prodotti biochimici?

— Sì, ma… Gottstein, non lo so. La mia ignoranza mi fa paura.

Seguì un lungo silenzio che Gottstein ruppe per dire: — Montez, suppongo che mi abbiate parlato così per farmi capire che devo stare attento e cercare di scoprire cosa stanno facendo i Lunariti?

— Più o meno — ammise Montez, impacciato.

— Però non siete nemmeno sicuro che stiano realmente facendo qualcosa.

— Non lo so, ma lo sento.

— È strano — riprese Gottstein. — Dovrei cercare di persuadervi che sono tutte impressioni dettate da un vostro timore… mistico, ma, è strano…

— Cosa?

— A bordo della nave che mi ha portato sulla Luna c’era un uomo… Voglio dire c’era un mucchio di gente, ma un viso, in particolare, mi ha colpito. Non gli ho parlato, non ne ho avuto l’occasione. Non ci avevo pensato più, ma le vostre parole hanno fatto scattare la molla del ricordo.

— E allora?

— Una volta ho fatto parte di un comitato relativo a certe faccende circa la Pompa Elettronica. Problemi di sicurezza. Come dite voi, la Terra si è infiacchita e tutti hanno paura di tutto. Be’, temevano per qualcosa in rapporto alla Pompa… È un bene, comunque, avere paura di qualcosa. I particolari mi sfuggono, ora, ma ricordo di avere visto quell’uomo che ho rivisto a bordo.

— Credete, che fosse importante?

— Non vi saprei dire. Però, associo quella faccia a qualcosa di preoccupante. Ci penserò sopra e un giorno o l’altro ricorderò. Casomai posso consultare l’elenco dei passeggeri, per vedere se un nome mi aiuta. Colpa vostra, Montez, mi avete messo una pulce nell’orecchio.

— Ne sono contento non dispiaciuto. Quanto a quell’uomo, potrebbe essere un qualsiasi turista che ripartirà fra quindici giorni. Ma sono contento che vi dia da pensare.

Gottstein pareva non lo ascoltasse. Mormorò: — Dev’essere un fisico o uno scienziato. Non so perché, ma lo associo a un pericolo.

4

— Salve! — esclamò allegramente Selene.

Il Terrestre si voltò e la riconobbe immediatamente — Selene! Dico giusto? Selene?

— Giusto. Pronuncia esatta. Vi state divertendo?

— Moltissimo — rispose serio il Terrestre. — Mi sto rendendo conto di quanto straordinario sia il nostro secolo. Fino a poco tempo fa ero sulla Terra, e mi sentivo stanco del mio ambiente e di me stesso. Poi ho pensato: “Be, se fossi vissuto cent’anni fa, l’unico modo di lasciare questo mondo sarebbe stato morire, invece adesso… posso andare sulla Luna”. — Sorrise, ma senza gaiezza.

— Siete più felice adesso che ci siete? — domandò Selene.

— Un poco. — Si guardò in giro. — Non avete un branco di turisti da curare, oggi?

— Oggi, no. È il mio giorno di libertà. Chissà, forse riuscirò ad averne due o tre. Il mio è un lavoro monotono.

— Che peccato, allora, che vi siate imbattuta in un turista proprio oggi!

— Non mi sono imbattuta, vi stavo cercando. E ho faticato a trovarvi. Non dovreste andarvene in giro da solo.

Il Terrestre la guardò con interesse.

— Perché mi cercavate? Vi piacciono i Terrestri?

— No — rispose lei con disarmante franchezza. — Mi danno la nausea. Non mi piacciono per principio, e avere a che fare con loro per lavoro non fa che peggiorare ulteriormente le cose.