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Dopo di che, in vari laboratori vennero lasciati in evidenza, e in modo allettante, granuli di tungsteno metallico. Il trasferimento ebbe luogo nella percentuale di uno su dieci, e così si ottennero nuove scorte di plutonio 186. Furono esposti come esca altri elementi chimici, che però vennero rifiutati. Ma non importava dove comparisse il plutonio 186 o chi fosse a inviarlo all’organizzazione centrale di ricerca che si occupava del problema: per il pubblico si trattava sempre di un altro po’ del “tungsteno di Hallam”.

Fu ancora Hallam a esporre al pubblico, e con il maggior successo possibile, alcuni aspetti teorici della questione. Con sua stessa sorpresa (come ebbe a dichiarare in seguito) scoprì di saper scrivere in modo semplice e piano, e che l’opera di divulgazione gli piaceva. Inoltre, il successo possiede una sua propria inerzia, e il pubblico non accettò di essere informato sul progetto da nessuno che non fosse Hallam.

In un articolo, poi famoso, comparso sul North American Sunday Tele-Times Weekly, scrisse: “Non siamo in grado di dire in quanti modi diversi le leggi del para-universo differiscano dalle nostre, ma possiamo supporre con una certa sicurezza che l’interazione forte dei nuclei atomici, che è la forza più potente conosciuta del nostro universo, sia ancora più potente nel para-universo. Forse cento volte di più. Ciò significa che i protoni restano più facilmente uniti contro la loro stessa attrazione elettrostatica e che un nucleo ha bisogno di meno neutroni per essere stabile.

“Il plutonio 186, stabile nel loro universo, contiene troppi protoni, oppure troppo pochi neutroni, per essere stabile nel nostro con la sua interazione nucleare poco efficiente. Perciò, una volta nel nostro universo, il plutonio 186 comincia a irradiare positroni, emettendo nel contempo energia, e, per ogni positrone emesso, all’interno del nucleo un protone si trasforma in un neutrone. Alla fine, dopo che per ogni nucleo venti protoni si sono trasformati in neutroni, il plutonio 186 è diventato tungsteno 186, che in base alle leggi del nostro universo è stabile. Durante il procedimento per ogni nucleo sono stati eliminati venti positroni, i quali si scontrano e si combinano con venti elettroni, annullandoli e liberando altra energia, di modo che, per ogni nucleo di plutonio 186 che ci viene inviato, il nostro universo finisce col perdere venti elettroni.

“Nel contempo il tungsteno 186 che è entrato nel para-universo è colà instabile per la ragione opposta: secondo le leggi del para-universo ha troppi neutroni, oppure troppo pochi protoni. I nuclei del tungsteno 186 cominciano a emettere elettroni, liberando contemporaneamente energia, e per ogni elettrone emesso un neutrone si trasforma in un protone finché, alla fine, si riforma il plutonio 186. Pertanto, con ogni nucleo di tungsteno 186 mandato nel para-universo, quest’ultimo aumenta di venti elettroni.

“Il plutonio/tungsteno può compiere il suo ciclo all’infinito, avanti e indietro dal nostro universo al para-universo, liberando energia prima nell’uno e poi nell’altro. Il risultato totale è il trasferimento di venti elettroni dal nostro universo al loro per ogni nucleo circolante, ma entrambi ricavano energia da quella che è, in realtà, una Pompa Elettronica Inter-Universale.”

La realizzazione pratica di questa teoria e l’effettiva installazione della Pompa Elettronica come una vera ed efficace fonte di energia ebbero luogo a velocità da primato, e ogni passo in avanti coronato da successo non fece altro che accrescere il prestigio di Hallam.

3

Lamont non aveva alcun motivo di dubitare dei fondamenti di questo prestigio e fu con una certa qual ammirata riverenza (il cui ricordo in seguito lo imbarazzò e che tentò, con qualche successo, di cancellare dalla memoria) che all’inizio si dette da fare per ottenere da Hallam un colloquio, una specie di intervista, relativo alla storia che aveva intenzione di scrivere.

Hallam parve ben disposto. In un quarto di secolo la sua posizione nella stima del pubblico era diventata talmente stratosferica che ci si poteva meravigliare che il naso non gli sanguinasse. Fisicamente era invecchiato con imponenza, se non con grazia. Il suo corpo massiccio suggeriva una gravità di fatto, e lui riusciva a dare alla faccia, sebbene larga e un po’ grossolana, un’espressione di serena dignità intellettuale. Arrossiva ancora con facilità e la sua suscettibilità era proverbiale.

Prima di far entrare Lamont, Hallam aveva preso su di lui, per vie traverse, qualche informazione basilare. Lo accolse così: — Siete il dottor Peter Lamont e avete fatto un buono studio sulla para-teoria, mi dicono. Ricordo vagamente la vostra tesi. Era sulla para-fusione, vero?

— Sì, professore.

— Rinfrescatemi la memoria. Parlatemene. Alla buona, naturalmente, come se aveste a che fare con un profano. In fondo — e a questo punto fece una risatina chioccia — io sono un profano, in un certo senso. Sono soltanto un radiochimico, lo sapete, e neppure un gran teorico, a meno che non vogliate tener conto di qualche concetto, di tanto in tanto.

Sul momento Lamont ritenne sincera quella dichiarazione e in realtà forse non era così palesemente ipocrita come più tardi egli insisté a spergiurare che fosse stata. Era comunque una caratteristica del metodo di Hallam, come Lamont più tardi scoprì, o quanto meno sostenne che così fosse, quella di tentare d’impadronirsi dei punti essenziali dell’opera altrui. Dopo di che era in grado di parlare con disinvoltura dell’argomento, senza sottolineare o addirittura senza accennare nemmeno di sfuggita al nome dell’autore.

Ma l’allora più giovane Lamont si sentì piuttosto lusingato dal discorsetto e attaccò immediatamente, con quell’ardore che uno prova nello spiegare le proprie scoperte: — Non posso dire di aver fatto un gran che, dottor Hallam. Dedurre le leggi naturali del para-universo, le para-leggi cioè, è parecchio complicato. Abbiamo tanto poco su cui basarci! Io sono partito da quel poco che conosciamo e senza porre come premessa assiomi indimostrabili. Con un’interazione nucleare più forte sembra tuttavia ovvio che la fusione dei nuclei piccoli avvenga con maggiore velocità.

— La para-fusione — corresse Hallam.

— Sì, professore. Il problema stava solo nel calcolare quali fossero i particolari aspetti del processo. La matematica relativa era abbastanza indefinibile, ma, dopo aver fatto alcune trasformazioni, le difficoltà hanno cominciato a dissolversi. È risultato, per esempio, che l’idruro di litio può subire la fusione catastrofica a temperature di quattro ordini di grandezza inferiori a quelle del nostro universo. Per far esplodere qui da noi l’idruro di litio occorrono temperature da bomba a fissione, mentre nel para-universo salterebbe per aria soltanto con… si fa per dire… una carica di dinamite. Parrebbe addirittura possibile che per dar fuoco all’idruro di litio nel para-universo basti un fiammifero, ma non è molto probabile. Dal momento che l’energia di fusione poteva essere normale, per loro, gli abbiamo offerto dell’idruro di litio, ma non lo hanno toccato, sapete.

— Sì, questo lo so.

— Evidentemente sarebbe stato troppo pericoloso. Come se noi usassimo tonnellate e tonnellate di nitroglicerina per i motori dei razzi… solo un po’ peggio.

— Bene, bene… e adesso state scrivendo una storia della Pompa.

— Una cosa alla buona, professore. Quando avrò pronta la prima stesura, vi chiederò il favore di leggerla, se me lo consentite, in modo da avvalermi della vostra profonda conoscenza degli avvenimenti. In realtà, vorrei ricorrere anche adesso a questa conoscenza, se avete un po’ di tempo.