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— Riuscirò mai a convincervi che con voi è diverso, Ben? E poi abbiamo un itinerario fisso per i turisti, breve e per niente interessante. Non penserete che li porti qui sullo scivolo, eh? Qui ci vengono i Lunariti e gli Immi. Anzi, più che altro gli Immi.

— Non deve attirarli molto, visto che ci siamo solo noi.

— Be’, non ci vengono tutti i giorni. Ma dovreste vedere quando ci sono le gare. Non vi piacerebbe, ve l’assicuro.

— Non credo che mi piaccia molto nemmeno adesso. Lo scivolo è uno sport da Immi?

— In genere sì. Ai Lunariti piace poco salire in superficie.

— E al dottor Neville?

— Per dir la verità non credo che sia mai venuto qui. È un vero cittadino, lui. Ma perché v’interessa saperlo?

— Quando ho chiesto di visitare le batterie solari, mi ha dato subito il permesso, però non mi ha accompagnato. Glielo avevo chiesto, per avere con me qualcuno in grado di fornirmi delucidazioni in materia, ma il suo rifiuto è stato netto.

— Spero che avrete trovato qualcun altro in grado di rispondere alle vostre domande.

— Oh, sì. Un Immi. Forse questo spiega l’atteggiamento del dottor Neville nei riguardi della Pompa.

— Come sarebbe a dire?

— Be’… — Denison si piegò all’indietro mettendosi ad agitare alternativamente le gambe. — Ehi, è divertente! Guardate, Selene… Volevo dire che Neville ci tiene tanto a installare una stazione di pompaggio, mentre per il fabbisogno locale sono sufficienti le batterie solari. Sulla Terra non possiamo usarle perché il Sole non è sempre presente, non è sempre limpido, e non irradia su tutte le lunghezze d’onda. In tutto il sistema solare non esiste un solo pianeta più adatto all’uso delle batterie della Luna. Anche Mercurio è troppo caldo. Ma, per adoperarle, bisogna dipendere dalla superficie, e se a voi non piace starci…

Selene si alzò di scatto in piedi, dicendo:

— Basta, avete riposato abbastanza, Ben. Su, su…

Lui si rialzò a fatica, continuando a parlare. — Una stazione di pompaggio, però, permetterebbe ai Lunariti di non salire mai in superficie, se non vogliono.

— Avanti, saliamo ancora un po’. Vedete quel dosso, più in alto, dove la luce della Terra viene tagliata in linea orizzontale?

Salirono in silenzio fino alla cima. Denison notò che ai lati il terreno era più liscio: un’ampia distesa in pendio, pressoché priva di polvere.

— È troppo liscio per un principiante — disse Selene rispondendo a una domanda inespressa del compagno. — Non cercate di essere troppo ambizioso, altrimenti finirete col chiedermi di insegnarvi anche il salto del canguro.

Così dicendo, saltò come un canguro, roteando su se stessa prima di ricadere. Poi esclamò: — Ecco qua! Mettetevi a sedere, mentre io sistemo…

Denison ubbidì, sedendosi con la faccia rivolta al pendio che osservò con aria incerta: — Siete davvero capace di scivolare fino in fondo?

— Ma certo! La forza di gravità ridotta fa sì che si prema meno sul terreno. Sulla Luna è sempre molto più facile scivolare. Per questo voi avete l’impressione che i pavimenti dei nostri alloggi siano mal rifiniti. Volete che vi tenga una piccola lezione sull’argomento, come ai turisti?

— No, grazie.

— E poi, naturalmente, si adoperano gli scivoli. — Stringeva in mano una piccola cartuccia a cui erano attaccati dei morsetti e un paio di tubi sottili.

— Che cos’è? — domandò Ben.

— Una bomboletta di gas liquido che emette un getto di vapore sotto la suola degli stivali. Il sottile strato di gas fra la suola e il terreno riduce l’attrito a zero, per cui ci si muove come se si fosse sospesi nel vuoto.

— Non mi va — disse Denison. — È uno spreco adoperare così il gas sulla Luna.

— Andiamo! Che gas credete che ci sia negli scivoli? Ossido di carbonio? Ossigeno? In questo caso, sì che sarebbe uno spreco! Si tratta di argon, disponibile a tonnellate nel suolo lunare, derivato da miliardi di anni di degradazione del potassio 40… L’argon serve a pochissimi usi sulla Luna. Potremmo adoperarlo per milioni di anni negli scivoli senza esaurire le scorte… Ecco fatto, vi ho sistemato gli scivoli. Adesso aspettate che metta i miei.

— Come funzionano?

— Automaticamente. Appena si comincia a scivolare il contatto fa uscire il gas. La riserva dura solo pochi minuti, ma sono sufficienti. — Si alzò e lo aiutò a rialzarsi in piedi. — Mettetevi di fronte alla discesa. Così! È un pendio molto dolce, coraggio, Ben, da qui il terreno sembra addirittura pianeggiante.

— No — protestò spaventato Denison — a me sembra ripidissimo.

— Macché! Adesso statemi bene a sentire e tenete a mente quello che vi dico. Tenete i piedi appena divaricati, uno pochi centimetri più avanti dell’altro. Non importa quale. Le ginocchia devono essere piegate. Non guardate indietro né in alto; se è necessario potete guardare di fianco. Soprattutto, quando sarete arrivato in fondo alla discesa, non cercate di fermarvi subito: perché la velocità è più alta di quanto sembri. Lasciate che il gas finisca, e l’attrito vi farà rallentare fino a fermarvi.

— Non sarò mai capace di ricordare tutte queste cose.

— Ma sì, invece! E poi io sarò al vostro fianco, pronta ad aiutarvi. Caso mai poi doveste cadere senza che riesca a impedirvelo, non fate niente; lasciatevi semplicemente andare, scivolando a ruzzoloni. Non ci sono sassi contro cui possiate urtare.

Denison deglutì a vuoto fissando la discesa: il pendio, rivolto a sud, scintillava alla luce della Terra, e le più piccole imperfezioni risaltavano nitide, facendo spiccare minuscole zone d’ombra, cosicché il terreno pareva macchiato. Il grande semicerchio della Terra solcava il cielo nero proprio davanti a lui.

— Pronto? — domandò Selene posandogli una mano guantata fra le scapole.

— Pronto — rispose Denison con un filo di voce.

— E allora… via! — disse lei dandogli una spinta. Denison cominciò a muoversi, dapprima lentamente. Si voltò vacillando, e lei gli disse: — Non preoccupatevi, sono qui di fianco a voi.

D’un tratto Denison non sentì più il terreno sotto i piedi. Il gas cominciava ad uscire. Per un momento gli sembrò di star fermo. Non c’era l’attrito dell’aria contro il corpo, né aveva la sensazione di scivolare. Ma quando tornò a voltarsi verso Selene, notò che al suo fianco le luci e le ombre fuggivano all’indietro a velocità crescente.

— Tenete gli occhi fissi sulla Terra finché la velocità aumenta — disse lei. — Più andrete forte, più sarete stabile. Piegate le ginocchia… Andate proprio benino.

— Per un Immi — ansimò Denison.

— Come va?

— Mi pare di volare. — Le luci e le ombre si confondevano ai suoi fianchi in un grigiore uniforme. Gli parve di perdere l’equilibrio e tornò a fissare la Terra. — Ma non è un paragone che possiate capire — aggiunse poi — dato che sulla Luna non si vola.

— No, non capisco. Volare deve essere come scivolare!

Denison andava ormai abbastanza forte da provare una sensazione di moto senza bisogno di guardare di fianco. Il panorama lunare che gli sfuggiva rapido ai lati, andava allargandosi davanti a lui. — Che velocità si può raggiungere con gli scivoli? — domandò.

— Durante una gara sono state cronometrate velocità superiori alle cento miglia orarie, su pendenze più forti di questa, naturalmente. Voi starete andando sulle trentacinque…

— A me pare di essere molto più veloce.

— No. Guardate, Ben, abbiamo raggiunto il piano e non siete caduto. Su, reggetevi… Il gas sta per finire e sentirete attrito. Non fate niente; continuate a lasciarvi andare.

Selene non aveva ancora finito di parlare che Denison cominciò a sentire una pressione sotto le suole. Gli parve che la velocità fosse improvvisamente aumentata e strinse forte i pugni per impedirsi di sollevare le braccia in un gesto istintivo di equilibrio. Sapeva che, se l’avesse fatto, sarebbe invece caduto disastrosamente.