Выбрать главу

— Posso dedicarvi qualche minuto. Cosa volete sapere? — Hallam era sorridente. Fu l’ultima volta che sorrise in presenza di Lamont.

— La realizzazione di una Pompa funzionante ed efficace, professore, avvenne a velocità fantastica — cominciò Lamont. — Dopo che il Progetto Pompa…

— Il progetto della Pompa Elettronica Inter-Universale — precisò Hallam, ancora sorridente.

— Sì, certo — annuì Lamont, poi si schiarì la gola. — Ecco, usavo solo il gergo corrente. Dunque, dopo che il progetto ebbe inizio, i particolari tecnico-costruttivi vennero sviluppati con grande rapidità e con pochissimo spreco di energie.

— È vero — disse Hallam, con una punta di compiacimento. — Molti hanno tentato di convincermi che tutto il merito era mio, perché l’ho diretto con vigore e senza remore, ma non ci tengo particolarmente che voi lo sottolineiate troppo nel vostro libro. Il fatto è che nel progetto avevamo una quantità di talenti, e non vorrei che i meriti dei singoli individui venissero oscurati dando eccessivo rilievo alla parte da me sostenuta.

Lamont scosse la testa, un po’ seccato: trovava inutile quella precisazione. Replicò: — Non mi riferivo a questo. Intendevo parlare dell’intelligenza all’altra estremità… dei para-uomini, per usare la definizione del pubblico. Sono stati loro a dare l’avvio. Noi li abbiamo scoperti dopo il primo trasferimento di plutonio in cambio del tungsteno, ma, per poter effettuare il trasferimento, ci hanno scoperto loro per primi, e basandosi solo su ipotesi teoriche, senza nemmeno il vantaggio dell’indizio che noi avevamo, grazie a loro. E poi c’è la lamina di ferro che ci hanno fatto avere…

Il sorriso di Hallam era ormai scomparso, e per sempre. Con la fronte aggrottata disse, in tono alto: — Quei simboli erano incomprensibili. Niente che li riguardi è stato…

— Le figure geometriche erano comprensibili, professore L’ho esaminata anch’io ed è evidente che ci indicavano gli schemi geometrici della Pompa. A me pare che…

La poltrona di Hallam venne spinta all’indietro con fracasso rabbioso. — Lasciamo perdere l’argomento, giovanotto! — esclamò Hallam. — Il lavoro lo abbiamo fatto noi, non loro!

— Sì… ma non è forse vero che loro?…

— Che loro cosa?

Lamont si accorse finalmente dell’uragano di emozioni che aveva suscitato, ma non riusciva a capirne la causa. Rispose, incerto: — Che loro sono più intelligenti di noi… che il lavoro essenziale lo hanno fatto loro. C’è qualche dubbio in proposito, professore?

Rosso in faccia, Hallam si era alzato. — Ci sono tutti i dubbi possibili! — strillò. — Io non voglio che qui si faccia del misticismo. Ce n’è anche troppo, di quello! Statemi a sentire, giovanotto. — Avanzò fin davanti a Lamont, ancora seduto e completamente sbalordito, e gli scosse l’indice tozzo sotto il naso. — Se il vostro libro intende sostenere che noi siamo stati marionette manovrate dai para-uomini, non verrà mai pubblicato da questo ente. E da nessun altro, se sarà per me. Non voglio che si degradino il genere umano e l’intelligenza umana e non voglio nemmeno che ai para-uomini sia assegnata la parte di dei!

Lamont non poté fare altro che andarsene, perplesso e piuttosto sconvolto per aver dato origine a un profondo risentimento, mentre aveva chiesto solo un po’ di buona volontà.

E subito dopo scoprì che le sue fonti storielle si erano d’un tratto prosciugate: tutti quelli che fino a una settimana prima erano stati abbastanza loquaci adesso non ricordavano più niente e non avevano più tempo per altri colloqui.

Sulle prime ne fu irritato, poi, lentamente, dentro di lui nacque e crebbe la collera. Ristudiò i dati che già possedeva da un’altra angolazione e, mentre prima si limitava a fare domande, adesso cominciò a insistere per scavare più a fondo. Quando lo incontrava in qualche occasione ufficiale, Hallam faceva la faccia scura e lo ignorava, e Lamont, a sua volta, assunse man mano un atteggiamento sempre più sprezzante.

Il risultato definitivo fu che la carriera di Lamont come para-teorico s’interruppe agli inizi, e lui ripiegò, ma con più determinazione di prima, verso la carriera secondaria di storico della scienza.

6 (continuazione)

— Quel maledetto imbecille — borbottò Lamont, ricordando il passato. — Avresti dovuto vederlo, Mike, com’era terrorizzato alla sola idea che fosse l’altra parte la forza motrice del progetto. Quando ci ripenso, mi chiedo sempre… come ho fatto a conoscerlo, anche solo superficialmene, e a non capire subito che avrebbe reagito a quel modo. Tu dovresti ringraziare il Cielo di non aver mai dovuto lavorare con lui.

— Lo ringrazio — disse Bronowski con noncuranza, — anche se qualche volta nemmeno tu sei un angelo.

— Non lamentarti. Col tipo di lavoro che svolgi, tu non sollevi problemi!

— E nemmeno interesse. A chi importa del mio lavoro, tranne che a me e ad altre cinque persone in tutto il mondo? O forse ad altre sei… se ben ricordi.

Lamont ricordava. — Ah, sì — disse.

4

L’aspetto placido di Bronowski non ingannava nessuno che lo conoscesse anche non troppo bene. Aveva un’intelligenza acuta e macinava un problema finché non ne trovava la soluzione, oppure finché non lo aveva talmente sviscerato da sapere per certo che non esisteva alcuna soluzione.

Prendiamo come esempio le iscrizioni etrusche sulle quali aveva costruito la sua reputazione. La lingua etrusca era stata una lingua viva fino al I secolo d.C, ma l’imperialismo culturale dei Romani aveva fatto tabula rasa ed essa era scomparsa quasi completamente. Le iscrizioni sopravvissute al massacro dell’ostilità o, peggio, dell’indifferenza dei Romani, erano scritte in lettere greche, in modo che i Romani potessero pronunciarle, ma era tutto qui. Pareva che l’etrusco non avesse alcun rapporto con nessuna delle lingue dei popoli circostanti; pareva una lingua arcaica; pareva addirittura che non fosse di ceppo indoeuropeo.

Di conseguenza Bronowski passò a studiare un’altra lingua che pareva non avere alcun rapporto con le lingue dei popoli circostanti, che pareva arcaica e che pareva addirittura non essere di ceppo indoeuropeo… ma che era ancora una lingua viva e parlata in una regione non proprio lontanissima da quella in cui erano vissuti gli Etruschi.

Cosa si poteva dire della lingua basca, infatti?, si chiese Bronowski. E usò il basco come guida. Prima di lui lo aveva già fatto qualcun altro, ma poi aveva rinunciato. Bronowski non rinunciò.

Fu una dura fatica perché il basco, linguaggio già di per sé estremamente difficile, gli forniva solo appigli molto vaghi. Mentre procedeva, Bronowski scoprì un numero via via maggiore di motivi per sospettare che fosse esistito qualche rapporto culturale tra gli antichi abitanti dell’Italia settentrionale e quelli della Spagna settentrionale. Riuscì anche a riscontrare, con una notevole quantità di campioni, la forte probabilità di un’espansione nell’Europa occidentale di Celti primitivi, che possedevano una lingua di cui l’etrusco e il basco erano gli ultimi e pallidi epigoni. In duemila anni, tuttavia, il basco si era evoluto ed era stato non poco contaminato dallo spagnolo. Tentare dapprima di ricavare logicamente la sua struttura grammaticale al tempo dei Romani, e successivamente metterla in rapporto con l’etrusco era un’impresa di una difficoltà inimmaginabile, e Bronowski, compiendola con pieno successo, sbalordì i filologi del mondo intero.