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— In fin dei conti ci sono dei vantaggi ad avere la Terra vicina — gli fece notare Denison. — Avete l’afflusso degli immigranti, godete degli scambi culturali. Avete a portata di mano un pianeta abitato da due miliardi di persone. Perché volete rinunciare a tutto questo?

— Ci rinunceremo molto volentieri.

— Parlate a nome vostro o di tutta la popolazione lunare? Io credo che parliate solo per voi, Neville. Nel vostro carattere ci sono dei lati strani. Vi rifiutate di salire in superficie, mentre gli altri Lunariti lo fanno senza difficoltà, anche se non con entusiasmo. L’interno della Luna non è il grembo materno, per loro, come invece lo è per voi. Non è la loro prigione, come invece è la vostra. In voi esiste un fattore nevrotico che la maggior parte dei Lunariti non ha, o ha in maniera molto inferiore. Se allontanate la Luna dalla Terra, essa diventerà una prigione per tutti. Diventerà una prigione da cui nessuno — e non solo voi — potrà mai uscire… Ma forse è proprio questo che volete.

— Voglio che il mio mondo sia libero e indipendente, e senza influenze esterne.

— Potete costruirvi tutte le navi che volete. Con esse, vi sarà facile muovervi a velocità prossime a quella della luce, dopo che avete trasferito l’inerzia nel cosmeg. Sarete in grado di esplorare tutto l’universo in un ciclo vitale. Non vi piacerebbe disporre di una nave capace di tanto?

— No — rispose Neville con disgusto.

— Davvero? O è solo perché così non vi sarebbe possibile portarvi con voi la Luna ovunque andrete? Ma sono sicuro che la maggior parte dei Lunariti non la pensa così.

— Non è affar vostro.

— Come no? Io sono un immigrante che fra poco avrà la cittadinanza. Non voglio che, a scegliere per me, sia qualcuno che non ha la forza di emergere in superficie e che vuole trasformare la sua prigione personale in una prigione comune. Io ho lasciato la Terra per sempre, ma solo per venire sulla Luna, per restare a un quarto di milione di miglia dal pianeta dove sono nato. Non voglio finire chissà dove.

— E allora tornatevene sulla Terra — ribatté Neville con indifferenza. — Ne avete ancora il tempo.

— E gli altri cittadini della Luna? Gli altri immigranti?

— Ormai è deciso.

— Non è vero… Selene!

Selene entrò.

Aveva un’espressione solenne e gli occhi pieni di sfida.

— Da quanto tempo eri in ascolto nella stanza vicina? — le domandò Neville.

— Da prima che tu arrivassi, Barron.

Neville guardò Selene, poi Denison, poi ancora Selene. — Voi due… — cominciò, puntando l’indice contro di loro.

— Non so cosa vuoi dire con quel “voi due” — lo interruppe Selene — ma Ben ha scoperto da tempo quello che ti ha appena spiegato sull’inerzia.

— Non è stata colpa di Selene — intervenne Denison. — Il Commissario notò un oggetto volante, una volta che nessuno pensava che potesse vederlo. Quando me lo disse, pensai che Selene stesse facendo degli esperimenti relativi a un problema che ignoravo. Ci pensai e scoprii che era possibile trasferire l’inerzia. Dopo di che…

— Be’, se sapevate tutto non importa — disse Neville.

— Importa, eccome! — ribatté Selene. — Ne ho parlato con Ben e ho scoperto che non ero poi obbligata ad accettare sempre le tue opinioni. Forse non andrò mai sulla Terra, e può anche darsi che non ne abbia voglia. Ma ho scoperto che mi piace vederla in cielo, e sapere che è sempre lì, quando ho voglia di guardarla. Ho parlato con gli altri del Gruppo. Non tutti hanno voglia di andarsene. La maggior parte preferisce che si costruiscano navi stellari. Chi vuole, potrà partire, e chi non vuole resterà qui.

— Tu hai parlato — disse Neville con voce strozzata. — Chi ti aveva dato il diritto di…

— Me lo sono preso io, Barron. E del resto, non ha più importanza. Abbiamo votato, e tu sei in minoranza.

— Tutto per causa di… — Neville si alzò, avventandosi minaccioso contro Denison.

— Vi prego di non perdere la calma — intervenne il Commissario. — Dottor Neville, anche se voi siete nato sulla Luna non credo che avreste la meglio, contro noi due.

— Noi tre, vorrete dire — lo corresse Selene. — Anch’io sono nata sulla Luna, e se vai a cercare la causa e la colpa, sono stata io, non loro, Barron.

— Sentite, Neville — s’intromise a questo punto Denison. — Per quel che importa alla Terra, la Luna può anche andare in malora. La Terra può costruire delle stazioni spaziali. Ma tutta la faccenda sta molto a cuore ai cittadini della Luna… a Selene, a me, a tutti. Nessuno vi impedirà di avventurarvi nello spazio, di andarvene, di essere libero. Potete fare quello che volete, andarvene, star chiuso nel grembo materno… Ma anche gli altri hanno il diritto di scegliere quello che vogliono. E chi vuol restare, resterà.

19

Adesso, nell’appartamento di Selene le finestre, mostravano panorami terrestri.

— La stragrande maggioranza ha votato contro di lui, Ben — disse Selene.

— Non per questo, però, lui rinuncerà. Se nel corso dell’installazione delle stazioni ci saranno attriti con la Terra, la pubblica opinione della Luna potrà cambiare.

— Non è detto che debbano esserci attriti.

— No, infatti. A ogni modo, nella storia il lieto fine non esiste. Esistono solo momenti critici da superare. Noi abbiamo superato questo, ritengo, e ci preoccuperemo degli altri quando sarà il momento. Ma credo che con la costruzione delle navi stellari la tensione diminuirà notevolmente.

— Vivremo abbastanza per vederlo, ne sono sicura.

— Voi, di certo, Selene.

— Anche voi, Ben. Non esagerate con la vostra età. Avete solo quarantotto anni.

— Voi partireste con una delle navi stellari, Selene?

— No. Allora sarò troppo vecchia, e poi mi piace vedere la Terra nel cielo. Forse ci andrà mio figlio. Ben?

— Sì, Selene?

— Ho chiesto il permesso di avere un secondo figlio. Hanno accettato la domanda. Vuoi contribuire?

Denison la fissò negli occhi. Lei non distolse lo sguardo.

— Fecondazione artificiale? — domandò.

— Certo — rispose lei. — La combinazione dei geni dovrebbe essere interessante.

Denison abbassò gli occhi. — Ne sarei lunsigato, Selene.

— È solo questione di buonsenso, Ben — disse lei, sulla difensiva. — È importante che le combinazioni dei geni siano buone, e non c’è niente di male in un po’ d’ingegneria genetica naturale.

— Sicuro.

— Ma questo non significa che io non lo voglia anche per altri motivi… perché tu mi piaci.

Denison annuì ma non disse niente.

— È più importante l’amore del sesso — disse lei quasi con rabbia.

— In questo, sono d’accordo. Se non altro, ti amo anche senza sesso.

— E, già che siamo in tema — riprese lei — è meglio il sesso dell’acrobazia.

— Sono d’accordo anche in questo.

— E inoltre… Oh, maledizione, tu potresti cercare d’imparare!

Denison annuì e disse, sottovoce: — Se tu vuoi insegnarmi.

Con esitazione, fece un passo verso di lei. Selene non si mosse.

Lui smise di esitare.

FINE