E inoltre immagino, se proprio vogliamo essere onesti, che lusingasse sia il mio ego sia il mio senso del pittoresco l'idea di custodire quello strano e opprimente segreto in un caso del genere senza destare alcun sospetto. Forse all'epoca pensavo che fosse una di quelle cose che anche l'enigmatico cane sciolto di Central Casting avrebbe fatto.
Chiamai la sezione Persone scomparse e quasi subito mi fornirono una possibile identificazione. Katharine Devlin, dodici anni, un metro e quarantacinque, corporatura snella, capelli lunghi e scuri, occhi nocciola, era scomparsa dal 29 di Knocknaree Grove (questo me lo ricordavo: tutto a Knocknaree si chiamava Knocknaree Grove o Close o Place o Lane, col risultato che la posta finiva invariabilmente all'indirizzo sbagliato) alle 10.15 del giorno prima, quando sua madre era andata per svegliarla e aveva scoperto che non c'era. Dai dodici anni in su vengono considerati abbastanza grandi per decidere da soli se concedersi una scappatina, e sembrava che anche lei lo avesse fatto volontariamente, così a Persone scomparse le avevano concesso un giorno per tornare a casa prima di avviare le ricerche. Avevano già fatto preparare il comunicato stampa da inviare ai mezzi di comunicazione per il telegiornale della sera.
Provai un senso di sollievo forse esagerato per l'avvenuta identificazione, anche se non ancora sicura al cento per cento. Ovviamente sapevo che una ragazzina, soprattutto se in buona salute, ben accudita e in un Paese piccolo come l'Irlanda, non può essere ritrovata cadavere senza che qualcuno salti fuori e la riconosca, ma c'era tutta una serie di elementi in quel caso che mi dava i brividi, e penso che una parte di me, cedendo alla superstizione, avesse creduto che la bambina sarebbe rimasta senza nome come se fosse spuntata dal nulla e che il suo DNA si sarebbe rivelato compatibile con il sangue delle mie scarpe e altre cose della serie X-Files. Sophie ci inviò una Polaroid del suo volto scattata da un'angolazione meno angosciante per mostrarla alla famiglia e così tornammo alle baracche di lamiera.
Come uno degli ometti degli antichi orologi svizzeri, Hunt emerse da una di esse mentre ci stavamo avvicinando. «Avete… voglio dire, è certo che sia un omicidio, vero? Quella povera bambina, è orribile.»
«Stiamo trattando la cosa come sospetta» risposi. «Quello che dobbiamo fare ora è scambiare due chiacchiere veloci con il suo gruppo. Poi vorremmo parlare anche con la persona che ha trovato il corpo; gli altri possono tornare al lavoro, ma devono stare fuori dalla zona delimitata come scena del crimine. Con loro parleremo dopo.»
«Come… c'è qualcosa che mostri… dove non devono stare? Il nastro e tutto il resto.»
«La scena del crimine è stata delimitata da un nastro» chiarii. «Basta che ne stiano fuori e andrà tutto bene.»
«Dobbiamo anche chiederle di assegnarci un luogo da usare come ufficio, qui sul sito» chiese Cassie. «Per tutto il giorno e magari anche più a lungo. Qual è secondo lei il posto migliore?»
«Usate pure la baracca dei reperti» intervenne Mark, materializzatosi da chissà dove. «Dell'ufficio vero e proprio ne abbiamo bisogno noi, e tutto il resto è una babilonia.» Non avevo mai sentito il termine usato in quel senso ma, da quello che potevamo vedere dalla porta, l'interno della baracca dalla quale era uscito Hunt era tutto una fanghiglia calpestata, banchi di lavoro curvi sotto il peso di attrezzi d'ogni genere, biciclette e corpetti gialli fosforescenti che mi ricordavano purtroppo il mio periodo in uniforme, e quindi risultava appropriato.
«Basta che ci siano un tavolo e qualche sedia e andrà benissimo» dissi io.
«Baracca dei reperti» ripeté Mark, e fece un cenno con la testa verso un'altra baracca.
«Cos'ha Damien?» chiese d'un tratto Cassie a Hunt.
Lui sbatté le palpebre, confuso, la bocca aperta, vera caricatura della sorpresa. «Damien… chi?»
«Damien del suo gruppo. Prima ci ha detto che di solito sono Mark e Damien a condurre le visite, ma Damien non era disponibile per il detective Ryan. Come mai?»
«Damien è uno dei due che hanno scoperto il corpo» spiegò Mark, mentre Hunt ci stava arrivando. «È rimasto scioccato.»
«Damien e poi?» chiese Cassie mentre scriveva.
«Donnelly» rispose allegramente Hunt, di nuovo su un terreno sicuro. «Damien Donnelly. Li firmo io gli assegni, sapete» aggiunse a mo' di spiegazione.
«Ed era con qualcuno quando ha scoperto il corpo?»
«Mel Jackson» si intromise Mark. «Melanie.»
«Andiamo a parlarci» dissi io.
Gli archeologi erano ancora a tavola nella loro mensa improvvisata. Erano in quindici o venti. Quando entrammo, voltarono simultaneamente le facce verso la porta, attenti e in sincrono come tanti uccellini. Erano tutti giovani, poco più che ventenni, e lo sembravano ancora di più a causa dell'abbigliamento grunge da studenti: pantaloni militari dimessi; pantaloncini corti, cascanti e ottimistici; magliette sbiadite di gruppi rock, tipo Nirvana e REM. Per non parlare di un'innocenza battuta dal vento e fresca di vita all'aria aperta che, sebbene fossi certo fosse solo illusoria, mi fece pensare ai kibbutz e alla serie TV Una famiglia americana. Le ragazze non erano truccate e avevano i capelli raccolti in una coda o in trecce: dovevano essere pratiche, non carine. I ragazzi non erano rasati di fresco e avevano scottature da prolungata esposizione al sole che si stavano spellando. Uno di loro, con una faccia da vero incubo notturno per il povero insegnante e un berretto di lana, si era annoiato e, con la fiamma di un accendino, aveva cominciato a sciogliere della roba su un CD rotto. Il risultato (cucchiaino piegato, monete, cellophane di pacchetto di sigarette e due patatine) era sorprendentemente piacevole, come una delle tante e meno ironiche manifestazioni di arte moderna urbana. C'era un forno a microonde macchiato di resti di cibo in un angolo, e una parte di me, piccola e inappropriata, avrebbe voluto suggerire all'artista di metterci dentro il suo CD per vedere cosa ne sarebbe stato.
Cassie e io cominciammo a parlare contemporaneamente, ma poi fui io a proseguire. Ufficialmente era lei il detective in capo, perché era stata lei a dire: «Lo prendiamo noi»; ma non abbiamo mai lavorato così e il resto della squadra era abituato a vedere "M &R" scribacchiato sulla lavagna dei casi, solo che avvertivo il bisogno impellente e ostinato di chiarire che ero in grado di gestire quel caso bene quanto lei.
«Buongiorno» esordii. La maggior parte di loro mormorò qualcosa; lo "Scultore" pronunciò con voce alta e stentorea: «Buon pomeriggio!». Tecnicamente era corretto, ma mi chiesi su quale delle ragazze stesse cercando di fare colpo. «Sono il detective Ryan, e questo è il detective Maddox. Come già sapete, questa mattina, qui nel sito, è stato rinvenuto il corpo di una ragazzina.»
Uno dei ragazzi espirò forte l'aria, poi trattenne di nuovo il respiro. Era in un angolo, stretto tra due ragazze che sembravano proteggerlo, e stringeva nervosamente una grossa tazza fumante tra le mani; aveva i capelli corti, marroni e ricci, e una faccia dolce e onesta, con le lentiggini, da componente di una boy-band. Ero quasi sicuro che quello fosse Damien Donnelly; gli altri apparivano mogi mogi (tranne lo Scultore) ma non traumatizzati, lui invece, sotto le lentiggini, era pallido e stringeva la tazza con troppa forza.