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Mathews si era giocato tutto concentrandosi su Damien. In cambio della sua testimonianza contro di lui, aveva offerto a Rosalind una sospensione della condanna a tre anni per condotta imprudente e per resistenza a pubblico ufficiale in occasione dell'arresto. Il solito tam-tam interno aveva fatto circolare la voce che le erano già state rivolte cinque o sei proposte di matrimonio e che i giornali e gli editori si stavano già accapigliando per assicurarsi i diritti della sua storia.

Quando uscii dal tribunale scorsi Jonathan Devlin che fumava, appoggiato a un muro. Con la sigaretta vicino al petto, aveva la testa rovesciata all'indietro per osservare i gabbiani che roteavano sul fiume. Estrassi il mio pacchetto dal cappotto e mi unii a lui.

Mi lanciò un'occhiata e distolse nuovamente lo sguardo.

«Come va?» domandai.

Scrollò le spalle con veemenza. «Come può immaginare. Jessica ha tentato di uccidersi. È andata a letto e si è tagliata le vene col mio rasoio.»

«Mi dispiace» dissi. «Sta bene ora?»

Ebbe una specie di tic a un angolo della bocca mentre gli si formava un sorriso triste. «Sì. Fortunatamente, si è tagliata in orizzontale invece che in verticale, più o meno.»

Mi accesi la sigaretta mettendo le mani a coppa attorno alla fiamma. Era una giornata ventosa, con nuvole violacee che si addensavano. Erano previste piogge intense per la notte. «Posso farle una domanda?» chiesi. «Del tutto ufficiosa, stia certo.»

Mi squadrò con occhi scuri e senza speranza, segnati da qualcosa che somigliava al disprezzo. «Perché no?»

«Lei sapeva, vero? L'ha sempre saputo.»

Rimase a lungo in silenzio, tanto che mi chiesi se avrebbe ignorato la domanda. Alla fine sospirò e rispose: «Non è che sapessi. Non poteva essere stata materialmente lei perché era dalle cugine e non sapevo nulla di questo tipo, questo Damien. Ma mi facevo delle domande. Conosco Rosalind e mi interrogavo…».

«E non ha fatto nulla.» Avevo cercato di mantenere la voce inespressiva, ma doveva esserci finita ugualmente una nota accusatoria. Avrebbe potuto dirci il primo giorno com'era Rosalind, avrebbe potuto dirlo a qualcun altro negli anni precedenti, quando Katy aveva cominciato a stare male. Anche se sapevo che, alla lunga, non avrebbe fatto alcuna differenza, non potevo non pensare a tutte le vittime che quel silenzio si era lasciato dietro, a tutte le macerie che aveva prodotto.

Jonathan lanciò il mozzicone della sigaretta e si voltò per guardarmi dritto in faccia, con le mani infilate nelle tasche del soprabito. «Secondo lei, cosa avrei dovuto fare?» chiese, con voce bassa e dura. «È figlia mia anche lei. Ne avevo già persa una. Margaret non voleva sentire parlare male di lei. Anni fa cercai di mandare Rosalind da uno psicologo per tutte le bugie che diceva e Margaret divenne isterica e minacciò di lasciarmi e di portare via con sé le ragazze. E non sapevo nulla. Non avrei avuto un cazzo da dirvi! La tenevo d'occhio e pregavo che fosse stato uno degli imprenditori edili che lavorano nella zona. Lei cosa avrebbe fatto?»

«Non lo so» risposi, con sincerità. «Molto probabilmente quello che ha fatto lei.» Continuava a fissarmi, col respiro affannoso, le narici dilatate. Spostai la testa e tirai una boccata dalla sigaretta. Con un sospiro, Devlin si riappoggiò al muro.

«Adesso ho io una cosa da chiederle» cominciò. «Rosalind ci ha preso quando diceva che lei è quello a cui sparirono i due amici?»

La domanda non mi sorprese. Aveva il diritto di ascoltare o vedere tutte le registrazioni degli interrogatori a Rosalind e, da un certo punto di vista, mi ero sempre aspettato che me lo chiedesse, prima o poi. Sapevo che avrei dovuto negarlo – ufficialmente, era una storia che mi ero inventato, in maniera legale anche se un po' impietosamente, per guadagnarmi la fiducia di Rosalind – ma non ne avevo la forza, e poi non ne vedevo il motivo. «Esatto» risposi. «Adam Ryan.»

Jonathan voltò la testa e mi guardò a lungo. Mi chiesi quali ricordi stesse cercando di associare al mio volto.

«Noi non c'entrammo con quella faccenda» disse, e il tono sottomesso della sua voce, gentile, quasi pietosa, mi stupì. «Voglio che lo sappia. Niente di niente.»

«Lo so. Mi dispiace di essermi accanito.»

Annuì, lentamente. «Probabilmente avrei fatto la stessa cosa, al suo posto. E non è che fossi l'innocenza dipinta. Vide quello che facemmo a Sandra, vero? Lei c'era.»

«Sì» confermai. «Sandra non sporgerà denuncia.»

Mosse la testa come se quel pensiero lo disturbasse. Il fiume era scuro e compatto, con una lucentezza oleosa e poco piacevole. C'era qualcosa nell'acqua, forse un pesce morto, o dei rifiuti, e i gabbiani ci si accanivano.

«Cosa farà, ora?» chiesi inutilmente.

Jonathan scosse il capo e fissò il cielo sempre più basso. Aveva l'aria stanca; non quel genere di stanchezza che avrebbe potuto eliminare con una buona nottata di sonno e con una vacanza. Era qualcosa di intimo e incancellabile che si era sedimentato in solchi profondi intorno agli occhi e alla bocca. «Ci trasferiamo. Ci scagliano mattoni contro le finestre, qualcuno ha scritto "pidoffilo" con lo spray sull'auto; chi l'ha fatto non sa scrivere, ma il messaggio è chiaro. Potrò resistere fino a quando la faccenda dell'autostrada non si sarà sistemata, in un modo o nell'altro, ma dopo…»

Le accuse di abuso infantile, a prescindere da quanto possano essere infondate, devono essere controllate. L'indagine rispetto a quelle di Damien contro Jonathan non aveva portato a nulla che avesse potuto dimostrarle, al contrario, avevamo trovato materiale per confutarle, e quelli della sezione Crimini sessuali avevano lavorato con la massima discrezione. Ma per qualche misterioso sistema che funziona come i tamburi della giungla, i vicini vengono a sapere sempre tutto. C'è un sacco di gente che pensa che non c'è fumo senza arrosto.

«Manderò Rosalind in terapia, come ha detto il giudice. Ho letto delle cose e dappertutto dicono che non funzionano per le persone come lei perché sono fatte così e non c'è cura che tenga, ma devo tentare. E la terrò a casa con me il più a lungo possibile per vedere cosa combina ed eventualmente intervenire se scopro che fa i suoi giochetti con qualcun altro. A ottobre inizierà il college, musica al Trinity, ma le ho detto che l'affitto di un appartamento non glielo pago. Resterà a casa, oppure dovrà trovarsi un lavoro. Margaret continua a credere che non abbia fatto nulla e che siete stati voi a incastrarla, ma è contenta di tenersela vicina ancora per un po'. Dice che Rosalind è sensibile.» Si schiarì la voce e produsse un suono sgradevole, come se quella parola avesse un saporaccio. «Jess andrà a vivere ad Athlone, da mia sorella, non appena le cicatrici sul braccio saranno un po' meno evidenti. Cerchiamo di tenerla al sicuro.»

La bocca gli si storse in un mezzo sorriso amaro. «Far del male a sua sorella…» Per un istante pensai a come doveva essere stata quella casa negli ultimi diciotto anni, a come doveva essere ora, e lo stomaco mi si rivoltò per l'orrore.

«Vuole sapere una cosa?» disse improvvisamente Jonathan, con una nota di dolore. «Margaret e io uscivamo da un paio di mesi soltanto quando lei scoprì di essere incinta. Eravamo terrorizzati. Una volta riuscii a tirar fuori che forse poteva pensare a… a prendere la nave per l'Inghilterra. Ma… vabbè, lei è molto religiosa. Già stava malissimo all'idea di essere rimasta incinta, parlare poi di… è una brava donna, non mi pento di averla sposata. Ma se avessi saputo cosa… quello che… come sarebbe stata Rosalind, che Dio mi perdoni, ce l'avrei trascinata io su quella nave.»

"Vorrei tanto che l'avessi fatto" stavo per dirgli, ma sarebbe stata una crudeltà. «Mi dispiace» ripetei inutilmente.