Era così ovvio che mi imbarazzava il fatto che nessuno ci avesse pensato. Un detective ferito in servizio ha la possibilità di scegliere a quale sezione essere assegnato. Immagino avessimo ignorato quell'eventualità perché di solito un accoltellamento avrebbe mandato in tilt il tam-tam della polizia. E invece non ne avevamo sentito parlare.
«Cristo» commentai. «Ma com'è successo?»
«Ero infiltrata all'università di Dublino» iniziò Cassie. Questo spiegava sia i vestiti sia che non fossimo a conoscenza di quell'informazione; sui poliziotti che lavorano sotto copertura c'è la massima segretezza. «È così che sono diventata detective tanto in fretta. Al campus c'era un giro di droga e alla Narcotici volevano scoprire chi c'era dietro, avevano bisogno di una persona che potesse passare per una studentessa. Ufficialmente, ero iscritta a un corso postlaurea in psicologia; prima dell'Accademia di polizia mi sono fatta qualche anno di psicologia al Trinity, quindi la materia la conoscevo… e l'aspetto della studentessa ce l'ho.»
Era vero. Il suo volto aveva una purezza che non ho mai visto in nessun altro. La pelle era senza pori come quella di un bambino e i tratti, la bocca grande, gli zigomi alti e arrotondati, il naso regolare, le sopracciglia dall'ampia curvatura facevano sembrare le altre persone confuse e indistinte. Da quello che potevo giudicare, non si truccava mai, tranne che per un po' di burrocacao leggermente rosso che profumava di cannella e che la faceva sembrare ancora più giovane. Pochi l'avrebbero considerata bella, ma i miei gusti sono sempre stati orientati verso i prototipi e non i prodotti in serie. Mi piaceva molto di più guardare lei che una qualsiasi delle bionde prosperose e clonate che le riviste costantemente mi inducono a desiderare, insultando così la mia intelligenza.
«E la copertura ti è saltata?»
«No» rispose, indignata. «Ho scoperto chi era lo spacciatore principale, un ragazzo ricco ma decerebrato di Blackrock, che naturalmente studiava economia e business. Per mesi mi sono impegnata per diventargli amica, ridevo alle sue battute di merda, gli rileggevo le tesine. Poi gli proposi di occuparmi io dello smercio con le ragazze, sarebbero state meno nervose a comprare droga da un'altra donna, no? L'idea gli piacque, tutto filava a meraviglia e ogni tanto buttavo lì che forse sarebbe stato più facile se avessi incontrato direttamente il suo fornitore invece di ricevere la roba tramite lui. Solo che proprio in quel periodo l'amico cominciò a farsi un po' troppo del suo stesso speed; era maggio e aveva gli esami. Divenne paranoico, decise che stavo cercando di fregargli il giro, così mi rifilò una coltellata.» Bevve un sorso dalla tazza. «Non dirlo a Quigley però. L'operazione è ancora in corso, quindi non dovrei nemmeno parlarne. Lascia che il povero stronzo si goda le sue illusioni.»
Rimasi molto colpito dalla faccenda, e non solo per la coltellata. Dopotutto, mi dissi, non aveva fatto qualcosa di particolarmente coraggioso o intelligente, semplicemente non era riuscita a scansarsi in tempo. Ero colpito anche dal pensiero di un lavoro oscuro, adrenalinico come quello sotto copertura, e dalla totale noncuranza con la quale lei aveva raccontato la storia. Poiché avevo lavorato sodo a perfezionare un atteggiamento di disinvolta indifferenza, so riconoscere l'indifferenza vera quando la vedo.
«Cristo» commentai di nuovo. «Immagino che si sia beccato un trattamento di prima classe quando l'hanno portato dentro.» Non ho mai picchiato un sospettato, non credo ce ne sia bisogno, basta che creda che potresti farlo, ma ci sono colleghi che lo fanno e a chi accoltella un poliziotto è probabile che spuntino dei lividi durante il tragitto verso la stazione di polizia.
Sollevò un sopracciglio e mi guardò divertita. «Certo che no. Avrebbe mandato in fumo tutta l'operazione. Hanno bisogno di lui per arrivare al suo fornitore e hanno ricominciato con un altro agente infiltrato.»
«Ma tu non vuoi che lo arrestino?» ribattei, frustrato dalla sua calma e dalla mia strisciante ingenuità. «Ti ha accoltellato!»
Cassie scrollò le spalle. «Dopotutto, se ci pensi bene, da un certo punto di vista ha ragione lui: stavo facendo finta di essere sua amica per fotterlo. E lui era uno spacciatore drogato. Si è comportato di conseguenza.»
Dopo di che la mia memoria torna a farsi nebulosa. So che, deciso a mia volta a fare colpo su di lei, e non essendo mai stato accoltellato o coinvolto in una sparatoria o roba del genere, le raccontai la storia lunga, sconnessa e quasi tutta vera di un tipo che aveva minacciato di buttarsi dal tetto di un condominio con il figlio piccolo quando ancora stavo alla Violenza domestica. Credo sinceramente di essere stato un po' alticcio: altro motivo per cui sono così certo che stessimo bevendo whisky caldo. Ricordo una infiammata conversazione su Wilfred Owen, credo, Cassie in ginocchio sul divano che gesticola, la sua sigaretta che si consuma, non fumata e dimenticata nel posacenere. Ci prendevamo in giro, in maniera brillante ma guardinghi come bambini timidi che si incontrano la prima volta, l'uno a controllare segretamente la reazione dell'altro per essere certi entrambi di non aver superato qualche confine o aver ferito dei sentimenti. Davanti al caminetto e con i Cowboy Junkies in sottofondo, Cassie che canticchiava piano, con un tono dolce e rauco.
«La droga che ti passava il tuo amico spacciatore» chiesi, più tardi, «la vendevi davvero agli studenti?»
Cassie si alzò per mettere il bollitore sul fuoco. «Qualche volta» rispose.
«E la cosa non ti faceva star male?»
«Tutto del fatto di essere sotto copertura mi faceva star male» rispose. «Tutto.»
Quando la mattina dopo arrivammo al lavoro eravamo amici. Fu proprio così semplice: piantammo i semi senza pensarci e ci risvegliammo con la nostra pianta di fagiolo che era spuntata. Durante la pausa incrociai lo sguardo di Cassie e mimai una sigaretta, così uscimmo e ci sedemmo a gambe incrociate alle estremità opposte di una panchina, come due reggilibro. Alla fine del turno mi aspettò, inveendo al cielo per la mia lungaggine: «È come uscire con Paris Hilton. Non dimenticarti la matita per le labbra, tesoro, mica vogliamo che l'autista debba tornare indietro apposta.» Propose "una pinta" mentre scendevamo le scale. Non riesco a spiegare l'alchimia che aveva tramutato una serata nell'equivalente di anni trascorsi insieme serenamente; l'unico motivo che riesco a trovare è che forse avevamo riconosciuto, in modo così certo da non lasciar spazio nemmeno alla sorpresa, di condividere la stessa moneta.
Non appena ebbe finito il training con Costello, facemmo squadra io e lei. O'Kelly cercò di metterci i bastoni tra le ruote, non gli piaceva l'idea di due pivelli che lavoravano insieme e, inoltre, doveva anche trovare qualcuno per Quigley. Ma per una fortuna sfacciata più che per affinate capacità investigative, avevo trovato un tipo che si vantava di aver ucciso il barbone, quindi ero entrato nella manica di O'Kelly e ne approfittai. Ci avvisò che ci avrebbe affidato solo i casi più semplici e le situazioni disperate, «niente che necessiti di vero lavoro da detective». Annuimmo docilmente e lo ringraziammo di nuovo, ben consapevoli che gli assassini non sono così attenti da far sì che i casi complessi si presentino secondo una precisa rotazione. Cassie spostò la sua roba sulla scrivania di fianco alla mia, Costello finì con Quigley e come un labrador martirizzato ci rivolse sguardi di rimprovero per settimane intere.
Nei due anni successivi ci guadagnammo, credo, una buona reputazione nell'ambito della squadra. Portammo in ufficio il sospettato per l'aggressione nel vicolo, un drogato di nome Wayne, e lo interrogammo per sei ore finché non confessò, anche se, cancellando dal nastro tutte le ripetizioni di "Ma vaffanculo", dubito che resterebbero più di quaranta minuti. «Wayne…» dissi a Cassie, mentre gli prendevamo una Sprite e dallo specchio unidirezionale lo osservavamo schiacciarsi i brufoli. «Perché i suoi genitori non gli hanno tatuato in fronte alla nascita "Nessuno nella mia famiglia ha mai finito la scuola superiore"?» Wayne aveva picchiato a morte il barbone, conosciuto col nome di Eddie Barba, perché quel poveretto gli aveva rubato una coperta. Dopo aver firmato la confessione, volle sapere se poteva riavere la sua coperta; lo consegnammo agli agenti in divisa e gli dicemmo che ci avrebbero pensato loro, quindi andammo a casa di Cassie con una bottiglia di champagne e restammo alzati a parlare fino alle sei del mattino per poi arrivare tardi al lavoro, imbarazzati e ancora con la ridarella.